31 ottobre 2012

Dell'acqua, del vino e della Multiservizi: prime considerazioni

Aveva ragione Charles Baudelaire nel dire che chi beve acqua ha qualcosa da nascondere. E credo che saremmo tutti d'accordo nel privatizzare l'acqua se in cambio ci garantissero fontane pubbliche irrorate di rosso o di spumeggianti bolle della Valdobbiadene. Purtroppo però il Paese di Bengodi - con le sue salsicce attaccate ai fili - è soltanto uno sfogo onirico da contrapporre alla crisi e quindi è meglio impegnarsi direttamente nella difesa dell'acqua e dei beni comuni. Meno saporiti ma altrettanto gustosi dello Spirito Di Vino. Anni fa, a un convegno sulle ricchezze del futuro, ebbi modo di ascoltare le parole ciniche dell'amministratore delegato di un'azienda petrolifera, che invece di parlare di benzine, nafte e idrocarburi concentrò tutta la sua prolusione sull'acqua, sulla sua natura di "oro blu" e di risorsa strategica dal punto di vista macroeconomico, geopolitico e commerciale. Ovviamente l'acqua è diventata anche un grande affare per la politica. A tutti i livelli. E la tendenza è quella di spingere verso la creazione di società - le cosiddette multiutilities - capaci di abbinare la gestione idrica, la distrubuzione del gas e la fornitura di energia elettrica. Questa ricerca ostinata della dimensione e delle economie di scala nella gestione dell'acqua, ha determinato il superamento della vecchia gestione municipale degli acquedotti, ritenuta inefficiente e primordiale. In realtà l'approccio artigianale e la prossimità dei vecchi "fontanieri" ai problemi dei cittadini consentiva una erogazione del servizio di tutto rispetto, senza costi esorbitanti e con una mantenzione intelligente e minuziosa che teneva in efficienza la rete senza ricorrere a grandi investimenti. Servizio che non sembra molto migliorato col nuovo corso societario e modernista, visti e considerati i livelli nazionali di dispersione idrica, la condizione generale delle reti e l'entità delle tariffe applicate ai cittadini consumatori. Nella provincia di Ancona opera la Multiservizi Spa, una società a totale capitale pubblico, partecipata in maniera non paritaria da 46 comuni soci della provincia. L'assetto societario attuale è fondato sulla centralità di Ancona e Senigallia, detentori in solido di circa il 57% del pacchetto azionario a fronte del 4,4% di Fabriano e dello 0,2% di Serra San Quirico, come si può desumere dal bilancio consolidato della Multiservizi Spa del 2010, a pag.38,  di cui si riporta il link http://www.multiservizi-spa.it/images/stories/Bilancio_consolidato_anno__2010.pdf). Ciò significa che i comuni dell'area montana forniscono l'acqua ma non contano nulla in termini di governance e la costa si prende l'acqua che arriva dai monti e ci comanda pure sopra. E qui entra in ballo il federalismo della risorse, tema che, con ogni probabilità, non suscita nè emozioni nè decisioni nel Sindaco Sagramola, notoriamente centralista, ma che potrebbe rappresentare un'interessante chiave di lettura per i cittadini e per le realtà associative che disdegnalo la privatizzazione del patrimonio idrico locale ma, nel contempo, non si fidano dei carrozzni pubblici che maneggiano, spesso in modo opaco, centinaia di milioni di euro. Federalismo delle risorse vuol dire che siccome l'acqua sgorga nell'area compresa tra Fabriano e Serra San Quirico è la zona montana la proprietaria della risorsa idrica e che il possesso deve trovare un suo riconoscimento. Ciò non significa che sia buona cosa assetare la costa, costringendo i comuni di mare a dissalare l'acqua dell'Adriatico, ma semplicemente creare condizioni vantaggiose per le comunità dell'entroterra montano. Le possibilità sono sostanzialmente quattro:
  1. battersi per una revisione delle quote societarie di partecipazione che valorizzi il ruolo dell'entroterra nella governance della Multiservizi. Per farlo occorre trattare con energia politica, senza sudditanza e con la volontà di tirare fuori anche un bel po' di soldi
  2. lavorare per redigere accordi compensativi capaci di creare condizioni di vantaggio economico con sgravi consistenti sulle bollette delle popolazioni montane;
  3. attivarsi per la costituzione di un consorzio montano per la gestione del servizio idrico in grado di trattare da pari a pari le condizioni di accesso al servizio idrico con altri soggetti provinciali coinvolti
  4. uscire dalla Multiservizi, magari anche forzando la normativa e tornare alla gestione municipale del servizio, anche se ciò significasse violare la legge con l'intento di accedere un riflettore sovracomunale e nazionale sulla questione acqua.
Purtroppo per la nostra comunità temo che l'amministrazione comunale non sceglierà tra nessuna di queste quattro soluzioni, accampando il solito feticcio della "normativa che nol consente", rivendicando i valori statalisti della centralizzazione del servizio e la dura lex degli equilibri politici provinciali e regionali, ossia le faccende domestiche del Pd e dell'Udc. Ragion per cui l'acqua continuerà imperterrita ad andare verso il mare e il vino continuerà gioioso a far cantare. Prosit!
    

30 ottobre 2012

Pino Pariano che s'incazza e ti spiazza


Pino Pariano nella rappresentazione di Fabrizio Moscè
 Il Presidente del Consiglio Comunale Pariano ha cominciato a tirare sassi in piccionaia. La politica ha le sue rese dei conti, i suoi dinamismi legati alla memoria dei torti, le sue regole d'onore che prima o poi preludono ad azioni conseguenti. Pariano è stato un recordman di preferenze nel Pd, ottenute setacciando il territorio come fosse un cumulo di farina da monitorare fino all'ultimo granello, con modalità e approcci da vecchio partito comunista più che da forza di governo moderata e postmoderna. Un peccato di lesa maestà culturale, un crimine sociologico che molti nel partito democratico non gli hanno perdonato. Non per malizia o malanimo. Semplicemente per estraneità culturale da questo modo talpesco e proletario di concepire la rappresentanza politica e la ricerca del consenso. E la dura legge dei numeri, impostata e imposta da Sagramola come criterio assoluto di selezione dei suoi uomini all'Avana, ha portato Pariano sullo scranno più alto, quello di Presidente del Consiglio Comunale. Una carica in apparenza notarile ma ferocemente politica se uno si mette in testa di usare il bisturi o il piccone. E da quella posizione Pinone il Calabro ha cominciato a ricavarsi, mano a mano, una nicchia sempre più solida. Tanto solida da permettergli di consumare un primo sberleffo, presentando, in Consiglio Comunale, un ordine del giorno sulla nomina degli scrutatori per le elezioni. In apparenza potrebbe essere derubricato a ordine del giorno innocuo ma è invece di quelli che consentono di scartare di lato rispetto ai vincoli di maggioranza e di cominciare a muoversi in autonomia rispetto ai diktat della coalizione. Pariano parla di nuora affinché la suocera intenda e lancia un duplice avviso: uno alla maggioranza e uno al Sindaco. Il primo rintocco è fortemente simbolico perché siamo di fronte al primo ordine del giorno proveniente dalla maggioranza; una maggioranza che fino ad ora ha brillato per un allineamento alla Giunta capace di sconfinare in un mutismo complice, subalterno e integrale. In questo modo Pariano ha voluto dire ai sodali di partito che è uscito dal porto, che batterà sempre di più i coglioni sul tavolo e che la sua autonomia se la coltiva senza il benestare del Sindaco, della Giunta, della Coalizione e del Partito. Un problema in più per Sagramola, specie se il ricorso al Tar darà ragione a Paoletti buttando fuori dal Consiglio Bonafoni e la sua lacrima sul viso. Primo insegnamento: mai mettere un interlocutore all'angolo, senza lasciargli una via di fuga, perché strattonandolo e stringendolo si crea un nemico che, prima o poi, si vendicherà presentando il conto. Ma la vera sassata giunge col secondo avviso che va a colpire direttamente il Sindaco, laddove Pariano chiede che il primo cittadino intervenga sulla Commissione Elettorale affinché la nomina degli scrutatori per i seggi - che avviene a chiamata diretta - sia orientata da criteri legati alla situazione occupazionale di chi inoltra la domanda. Ovvero che si privilegino disoccupati, cassintegrati e persone comunque in situazioni di disagio occupazionale. Sollecitare questa definizione di criteri vuol dire, implicitamente, che ad oggi di criteri non ce ne sono e che, quindi, le nomine a scrutatori sono legate a fattori e situazioni totalmente personalistiche e in quanto tali discutibili e contestabili. Trattasi, insomma, di doloroso calcione perché  ultimamente, il Sindaco è stato chiamato in causa per l'assegnazione, senza criteri ufficiali e condivisi, di prestazioni legali a figure ritenute vicine all'amministrazione. Sagramola si è difeso ricorrendo alla tesi dell'incarico fiduciario; tesi che non venne utilizzata quando si discusse della nomina a portavoce che Sagramola preferì transitare attraverso un bando pubblico. Ovviamente l'ordine del giorno di Pariano non accenna minimamente a questi temi, ma nel leggerlo non si può fare a meno di intravvedere una leggerissima e bonaria malizia: coinvolgere il Sindaco nella ricerca di criteri, proprio mentre l'opposizione lo critica per l'assenza di criteri, vuol dire far battere la lingua dove il dente duole. Cosa accadrà in Consiglio quando verrà il momento di discutere l'ordine del giorno parianeo? L'opposizione non potrà non votarlo senza essere accusata di commistione col sistema delle nomine degli scrutatori. E lo voterà ovviamente Pariano. Se la maggioranza dice no scopre le vergogne e va alla rottura col Presidente del Consiglio Comunale. Un rischio che in questa fase non può correre perchè porterebbe a una crisi politica che, pare per altre concretissime ragioni, abbia già lambito la coalizione che governa la città. L'ordine del giorno verrà quindi votato all'unanimità e non farà altro che acuire il malanimo del partito democratico verso il Presidente del Consiglio Comunale che, in questo modo, potrà gioiosamente rimarcare la propria autonomia e coerenza rispetto al ruolo di garanzia ricoperto. Comunque vada, insomma, per lui sarà un successo. A riprova che sottovalutare gli altri è il più sciocco dei peccati e farsene beffe il più oneroso dei rischi.
    

29 ottobre 2012

FaVrià e le primarie inesistenti

Il Pd di Fabriano è un aggregato di individualità, tenute assieme dalla efficace colla del potere. Nell'ultimo lustro, a parte qualche stentata discussione pubblica sui nomi dei candidati a Sindaco, i democratici non hanno brillato per lo spessore dell'analisi politica e e per la vivacità della dialettica interna. Tanto che è assai difficile individuare specifiche aree politiche, correnti e gruppi che ragionino al di là del destino del singolo iscritto al partito. Resta in piedi - come eredità del contratto siglato con la nascita del Partito Democratico - soltanto una generica articolazione tra ex Ds ed ex Margherita: con i primi che portano la croce e fanno il lavoro sporco e gli ex dc che banchettano, bacchettano e dicono la messa. Una delle cose più stupefacenti di questi ultimi mesi, ad esempio, è stata la totale assenza di una qualsiasi presa di posizione - da parte di chicchessia - sulle primarie del Partito Democratico. Non c'è stato un solo dirigente, iscritto o simpatizzante del partito di Fabriano che abbia apertamente dichiarato se sta con Bersani o con Renzi e perché privilegia l'uno piuttosto che l'altro. Come mi ha ironicamente ricordato un amico piddino, l'attesa e il riserbo dureranno fin quando non sarà reso noto il responso della Sibilla Cumana, ossia del Governatore Gianmario Spacca. Segno che da queste parti alla sferzante tramontana decisionista si preferisce l'umidiccio e levantino soffio di scirocco che accompagna e dilaziona l'attesa. E l'acqua in bocca come risposta di massa è la prova provata che la passione politica, la vision del futuro e un qualche residuo di ideologia sono stati livellati al ribasso da una pratica politica in cui contano soltanto le cariche elettive e i ruoli di governo. Considerata, quindi, la centralità strategica degli equilibri di potere nella costruzione della linea del partito democratico e il ruolo egemone espresso dal Governatore è facile immaginare un pieno di consensi del gruppo dirigente locale per Bersani, a cui non è detto che le urne fabrianesi corrisponderanno con un plebiscito altrettanto massiccio e rilevante. Nel frattempo su Facebook è nato un gruppo denominato Fabriano per Renzi Adesso, di cui per il momento si ignorano i promotori, ,che sembra aver ricevuto un interessamento soltanto dal capogruppo del Pd in consiglio comunale Riccardo Crocetti che per dialettica e fisiognomica non sembra l'incarnazione più riuscita dell'archetipo renziano. E così ho provato a prendere contatto con il gruppo, per conoscerne i promotori che, per il momento, si sono ovviamente guardati dal rispondermi. Intanto sarà interessante sapere chi e quanti fabrianesi si muoveranno, mercoledì pomeriggio, in direzione di Ancona per ascoltare il Sindaco di Firenze che interverrà alla Mole vanvitelliana. Certo è che pensando spassionatamente ai dirigenti del Pd locale e da quanto tempo frequentano la scena politica, è davvero difficile e inverosimile immaginarli nei panni dei rottamatori e dei promotori di un profondo e radicale rinnovamento generazionale. La dimensione della politica fabrianese è, infatti, intimamente connessa all'eternità e al fatto che non ci debba mai essere niente di nuovo sotto il sole. E quindi, l'essere tutti convintamente con Bersani corrisponde non solo al probabile e possibile volere del Governatore ma anche a militanze ormai millenarie che non possono essere cancellate cambiando le parole d'ordine e ricorrendo alla scorciatoia del giovanilismo e del "tutti a casa". Bersani quindi è l'unico candidato possibile per un democratico medio iscritto al partito di Fabriano. Un candidato un po' di culo e un po' di cuore. Un candidato che Spacca.
    

28 ottobre 2012

Una pallottola spuntata a FaVritown

Le avventure di Nick Carter chiudevano Super Gulp, l'unico spazio dedicato ai bambini nella settimana televisiva di fine anni settanta. E Nick Carter giungeva al  the end con una storica frase: "Tutto è bene quel che finisce bene! E l'ultimo chiuda la porta". La pallottola recapitata a Sagramola somiglia molto alle avventure di Nick Carter: uno spavento di poche ore, le forze dell'ordine a seguire piste, segnalazioni e precedenti, e la politica a fare da unitaria corona al Sindaco con dichiarazioni e intenti bipartisan. Alla fine il malintenzionato è stato preso e denunciato e abbiamo scoperto che si trattava della stessa persona che, un po' di mesi fa, prese in ostaggio la segretaria di Sorci per convincerlo a dargli un lavoro. Un'azione recidiva che toglie ogni valenza di "disperazione sociale" al gesto intimidatorio, riconducendolo esclusivamente alla devianza di una singola persona. Da questo punto di vista bisogna dato atto a Sagramola di aver gestito la vicenda col massimo della riservatezza e senza farsi prendere dalla tentazione di utilizzare politicamente l'accaduto facendo leva sull'antico vizio di creare un'associazione di idee tra dissenso politico e intimidazione, tra opposizione politica e devianza sociale. Così come merita un plauso l'efficacia dell'operato delle forze dell'ordine che, chiudendo rapidamente l'inchiesta, hanno evitato alla città di avere un sindaco a bagnomaria, impaurito e quindi soggetto a una condizione di disagio e difficoltà che ne poteva pregiudicare - almeno in linea teorica - una lucida e consapevole assunzione di responsabilità nelle scelte e nelle decisioni. E' un peccato, in questo senso, che Sagramola stamattina abbia deciso di non seguire il consiglio di Nick Carter. Mi sarei aspettato che archiviasse la faccenda uscendo per ultimo e chiudendo la porta. Invece ha preferito politicizzare le proprie dichiarazioni, stabilendo un nesso tra la pallottola spuntata e la crisi economica e sociale che vive la città. Ragion per cui ogni manifestazione di disagio sociale dei faVrianesi, ogni tentativo di dare uno sbocco politico alle difficoltà, ogni forma di conflitto sociale organizzato e articolato verrà liberamente ed abusivamente associata all'idea del gesto disperato, della minaccia personale e dell'intimidazione subdola. Quando la politica sente nell'aria l'odore di un incombente declino manifesta sempre lo stesso riflesso condizionato: creare associazioni di idee, assimilazioni ed equazioni che possano suggestionare nel profondo gli orientamenti e le posizioni dell'elettorato. Farebbe quindi bene Sagramola, che proviene dall'universo del cattolicesimo democratico, a prendere le distanze da se stesso, restituendo l'accaduto alla sua reale natura di comportamento riconducibile allo smarrimento di un singolo, senza registrarne, in modo forzato, un'origine sociale che non ha e che non merita di avere.
    

26 ottobre 2012

La Indesit in rosa e i salami di Santino

Insaccato in budello gentile anche detto culare
Quando alle grandi calure estive subentrano i primi acquazzoni la terra emana un inconfondibile odore e si riempie di lumache e vermi inumiditi. Con la crisi economica il fenomeno si replica, con la differenza che alle lumache subentrano gli economisti e i vermi vengono rimpiazzati da indovini più ispirati di una Sibilla Cumana. E' quel che accade anche in piccoli centri come FaVriano, che in questo periodo difetta sicuramente di produzione e fatturati ma non si fa mancare nulla in quanto a generazione - a ciclo continuo - di figli della dea Minerva ed emuli reincarnati di Adamo Smith. E' sempre più diffusa, infatti, la tendenza a incontrare conoscitori del mercato alla cassa del supermercato, decodificatori di scenari che sorseggiano il caffè al bar e visionari proiettati in avanti che si fermano a parlare di lavatrici mentre hai in mano dodici bottiglie da un litro e mezzo di acqua da caricare in auto. Ragion per cui il cassintegrato, la casalinga e il pizzicagnolo - tanto per dire di qualcuno - sono arrivati al punto di parlare quasi con affetto della "crisi del bianco", maneggiandola con quella confidenza che si riserva alle cose e alle situazioni che si conoscono a menadito e col supporto della scienza. E cresce senza tregua e senza sosta anche il numero dei faVrianesi che medita a voce alta sui limiti e sui rischi intrinseci del monoprodotto e su un futuro necessariamente multilevel. Insomma, sono morti e sepolti i tempi in cui si discettava su chi fosse il migliore dei tre porchettari del mercato del sabato e se fossero più degne di bisboccia le salsicce di Santino o quelle di Bilei, con annesso codazzo di tifosi e palati addestrati al consumo e alla tenzone gastronomica. Questo improvviso interesse per le dinamiche settoriali, le crisi congiunturali e le apocalissi distrettuali, oltre ad aver abbassato di molto il livello qualitativo e godereccio delle conversazioni, ha prodotto effetti miraggio confinanti col delirio. Il più clamoroso è quello che vuole il "bianco" totalmente devastato dalla concorrenza sleale e dai satanici meccanismi del WTO e della globalizzazione. Esattamente ciò che avrebbe condotto al baratro il terzismo della Ardo - dio ci scampi dal solo alludere a responsabilità di proprietà e management -, che sarebbe alla base delle voci che danno sulla rampa di lancio tutta la baracca e tutti i burattini Indesit e ipotizzano inevitabili accordi con grandi produttori mondiali, premessa necessaria di trasferimenti di sovranità, di proprietà, di decisione e di lavoro ispirati dal complotto delle forze economiche e dei poteri forti. Poi in un giorno qualunque l'occhio cade su una notizia on line, ove si narra che Indesit vede rosa e tutto il viola addobbo funebre che avevamo preventivato e percepito si volge al roseo e quindi al celestino: "A dispetto della crisi e del rallentamento del settore, Indesit chiude il terzo trimestre con risultati in controtendenza e stima un aumento dei ricavi anche per tutto il 2012. Se il numero di elettrodomestici venduti scende, il prezzo e il margine medio sale, a dimostrazione del fatto che l’azienda di Fabriano si è ritagliata una forte posizione nel segmento medio alto della gamma, che è anche quello con margini maggiori. Tra gennaio e settembre i ricavi di Indesit sono saliti del 4,6% a 797,6 milioni, ma ancor più significativo è l’aumento dell’utile operativo, cresciuto del 22,5% a 43,1 milioni e quello netto del 37,6% a 20,6 milioni." Verrebbe subito da commentare e sti cazzi! Dopo averci trapanato per anni il cerebro, fino a convincerci tutti di essere giustamente condannati a morte in nome del libero mercato e del liberissimo profitto, apriamo il giornale e scopriamo che Indesit scoppia di salute? Come direbbe il Marche del Grillo, permettete che so un po' incazzato? La chiusura di None, il dolore per la fabbrica piemontese troppo costosa, i fischietti della manifestazione nazionale degli operai del gruppo tenutasi a Fabriano, le voci insistenti su nuovi approdi milanesi di tutti le funzioni decisionali dell'azienda. Ci eravamo fatti l'idea che Indesit soffrisse, che avesse poggiato un po' di culo a terra e che, per solidarietà territoriale e originaria, fosse quasi necessario un accordo di popolo sui suoi saluti e baci al paesello. Invece cresce tutto: utili, ricavi, margini operativi. E diminuiscono i debiti, ossia il contrario di quanto accade a chi è davvero in crisi e tira il fiato coi denti. E allora, come mai questo bisogno di mollare gli ormeggi, questo fare di necessità virtù quando la necessità non sembra così necessaria come moltissimo si è detto, scritto e pensato? Preferisco non darmi risposte e fare un salto, colesterolico ma liberante, da Santino Tritelli, perché c'è più verità in quel soppressato di budello gentile che in mille bilanci consolidati e millanta crisi ma non troppo del bianco che più bianco non si può.
    

24 ottobre 2012

Orzowei tra sicurezza e partecipazione

Ogni giorno che passa l'assessore Paglialunga mi ricorda sempre di sempre di più Orzowei, l'eroe della nostra infanzia televisiva. Un ragazzo cresciuto in Africa con una tribù di etnia Swazi, che si trova a vivere emarginato a causa della sua pelle bianca e, alla fine, viene adottato da una tribù di Boscimani dove riesce a diventare un guerriero. Il povero Orzowei ce la sta mettendo tutta per non farsi emarginare dagli Swazi sagramoliani, ma l'operazione è davvero difficile e costellata di prove impegnative. Mariowei è, infatti, un bianco tra i neri, un corpo estraneo rispetto ai totem e ai tabù del nuovo corso politico locale, una piaga accolta come prova d'espiazione dal cattocomunismo di governo. Il problema di Mariowei è che non ci sono più boscimani a renderlo guerriero e a temperarne la frustrazione. Il capo tribù Sorci si sbatte come un moscone recluso nell'abitacolo di una Fiat Punto, il vice Romani sembra ripiegato su cotiche e fagioli e l'ex Costantini coi capelli alla Conan il Barbaro e il colorito da alpino sullo Stelvio è sparito nel nulla. Per queste e altre ragioni Orzowei ha cominciato a pensare a un'altra vita, pungolando giusto a lato del villaggio Swazi, per salvarsi tenendo sulle spine i permalosi guerrieri sagramoliani. L'altro ieri ha, quindi, pensato bene di rilanciare sulla partecipazione, con un intervento problematico sul rinnovo dei comitati di quartiere e di frazioni, una delle grandi bufale della inesistente e impossibile democrazia diretta. Approfittando della sponda del Polo 3.0, che vorrebbe foraggiare i minibaracconi partecipativi con lilleri e risorse da scialacquare in sagre e cavoli, Paglialunga ha provato a rilanciare il tema - che appartiene alle sue deleghe - senza che la notizia trovasse sponde e commenti di rilievo. Fossi al suo posto farei il possibile per chiudere queste pletoriche strutture, ma siccome sono generoso rilancio ad Orzewei l'unica idea partecipativa che può funzionare e cioè attribuire le funzioni consultive direttamente alle quattro porte del Palio - una sorta di modello senese in do minore - che a loro volta istituiranno strutture di consultazione con il contado e le frazioni, senza oneri aggiuntivi sul bilancio comunale. Poi è stata la volta della sicurezza che, assieme al commercio, è l'altra delega di peso attribuita a Paglialunga dopo il niet sull'ambiente. E qui Orzowei ha fatto una cazzata, lasciando che fossero i solerti mandinghi del commercio a tematizzare la questione telecamere e a lanciare l'allarme sul centro storico in mano alla microcriminalità. In questo modo il Ragazzo della Savana si è fatto dettare l'agenda politica da una categoria economica e il fatto che sulla stampa di oggi si parli apertamente di impiegare i vigili pure di notte -quasi come i portieri di notte cantati da Enrico Ruggeri, è, purtroppo, il sintomo di una risposta subalterna e poco convinta. Certo, non è facile far passare certi temi in una Giunta convinta che tocca volesse tutti bene, che il prossimo è buono e caro e si fa cattivo solo per via della crisi e dell'Occidente corrotto, però un qualche slancio davvero guerrigliero Orzowei poteva inventarselo. Con un approccio di natura culturale e senza cadere, vista l'incompatibilità con il pensiero politico della sua maggioranza, in complicate tentazioni rondiste. Far tornare gente in centro, popolarlo di passeggini e carrozzine, organizzare piccoli momenti di aggregazione a basso costo è il modo più efficace di tagliare le unghie alla microcriminalità. Anche perché pure nella vita urbana vale il principio biologico che regola la vita  nella savana: se una specie abbandona un pezzo di territorio quel territorio verrà sicuramente occupato da un'altra specie. E queste cose non può non saperle Orzowei, un ragazzo avvezzo alle tribù, ai trappoloni e agli animali feroci. E allora corri ragazzo vai e non fermarti mai!

    

Bonafoni e il make up della Pinacoteca

Un paio di mesi fa scrissi un post sul destino di FaVriano, sostenendo che chi nasce tondo non può morire quadrato. In quel breve testo espressi un giudizio secco e anche un po' volgare sulla Pinacoteca di Fabriano. Un affondo di cui fui giustamente rimproverato da un lettore anonimo che, con severa eleganza, mi fece notare i rischi connessi a una semplificazione estrema dei concetti. Al netto di alcune parole urticanti, la tesi che sostenevo è che la Pinacoteca non è attrattiva perché non contiene opere in grado di alimentare una costanza di flussi turistici, ma soltanto cose riservate alle sguardo attento di una nicchia di conoscitori esperti e di cultori abituati ad apprezzare opere minori o ritenute tali dal profano. Sono tuttora convinto di questa tesi, rispetto alla quale ho trovato conforto anche in alcuni passi scritti dallo storico dell'arte Ernst Gombrich nella prefazione alla sua Storia dell'Arte, laddove rimarca l'importanza di avvicinarsi alle opere con sguardo vergine e lasciandosi contagiare e trasportare dal gioco delle sensazioni visive. Visitando la Pinacoteca Civica di Fabriano, sono sincero, non ho mai provato emozioni e sensazioni visive particolarmente intense. Fino a convincermi che questa tendenza all'arido fosse espressione di un mio limite di gusto e sensibilità. Poi, finalmente, ho letto l'inchiesta del Carlino, pubblicata ieri, sugli accessi alla Pinacoteca Molajoli, che si appresta a festeggiare i 150 anni di vita. E a quel punto mi sono reso conto di aver tenuto un atteggiamento assai più diffuso di quel che pensassi. I numeri dei visitatori sono da abbandono e rappresentano la pietra tombale sull'ipotesi di una città capace di sviluppare un minimo di turismo culturale. Un'amministrazione attenta, dovrebbe avviare, tempestivamente, una riflessione in materia. E visto che non ci sono soldi da investire sarebbe opportuno farlo avvalendosi di competenze presenti in città. Non faccio nomi per la semplice ragione che le persone che capiscono di arte e di strumenti per la fruizione dell'arte non arrivano a una decina.E sono convinto che la cosa migliore, nei momenti di crisi, sia valorizzare le competenze che ci sono, industriandosi per produrre le candele con la cera che si ha a disposizione. Invece il primo consulto, la prima operazione di pronto soccorso ha fatto registrare un solenne faccia a faccia tra l'assessore alla cultura e il consigliere comunale Giancarlo Bonafoni, eletto per la prima volta nel 1985 di cui nessuno, credo, abbia mai sospettato un "saper essere" e un "saper fare" tanto intimamente legato all'arte e agli spazi espositivi. Ce lo ricordiamo sicuramente come straordinario animatore del Dopolavoro Ferroviario, promotore del Parcheggione rinominato Piazza dei Maestri del Lavoro e come uno dei pochi democristiani capaci di sopravvivere in quel covo di comunisti che erano le Ferrovie dello Stato. Ma come esperto di tempere su tavola no. Sicuramente Patty dai Capelli Rossi avrà avuto le sue buone ragioni per convocarlo ma è straordinario e singolare che sia Giancarlo Bonafoni - politico con gli occhi a piagne, i capelli sospettosamente corvini e lo sguardo reso incalzante da un eyeliner naturale degno di un make up d'alta scuola - a sancire la poca idoneità dell'attuale sede della Pinacoteca che non sarebbe adatta per mostre permanenti ma soltanto per esposizioni temporanee. Personalmente ho un rispetto assoluto per l'arte accompagnato da una profonda ignoranza in materia, ma credo che il problema non siano tanto le caratteristiche della struttura quanto la natura del contenuto. La Pinacoteca così com'è, a mio avviso, non è nella condizione di esprimere una sua autonoma attrattività, ma può far parte di una offerta integrata di cui può essere soltanto "attore non protagonista". Servirebbero mostre temporanee attrattive e di grido ma per metterle in piedi serve un direttore artistico esperto di mostre, di arte e capace di mettere sul tavolo relazioni e contatti importanti sempre più necessari per inserirsi bene in certi circuiti elitari. Si tratta di una figura professionale costosa, che va presa dall'esterno e che rappresenterebbe un investimento prezioso sul futuro.   Ma conoscendo Fabriano è assai probabile che la direzione sia affidata a un dopolavorista pronto a organizzare una mostra strappacapelli dal titolo "L'odore delle traversine e il suono delle rotaie".
    

23 ottobre 2012

Accordo di Programma: il buio oltre la siepe

La polemica tra grandi industrie fabrianesi e Consiglio Comunale, a seguito della defezione delle aziende dal consesso di sabato mattina, ha fatto passare sottotraccia la firma dell'Accordo di Programma, che ha visto protagonisti il Ministro dello Sviluppo Economico Passera e i governatori di Marche e Umbria Spacca e Marini. Paradossalmente, questo sguardo rivolto altrove ha consentito che il rinnovo dell'Accordo di Programma venisse ammantato di toni e tratti salvifici, anche attraverso resoconti giornalistici patinati e tutti tesi a narrarne in positivo le potenzialità, l'impatto e le prospettiva. L'accordo, concretamente, stanzia 35 milioni di euro per interventi di rilancio e reindustrializzazione delle aree colpite dalla crisi della Antonio Merloni, ripartiti al 50% tra Marche ed Umbria. Ma come sempre accade quando c'è di mezzo la spesa pubblica - anche quando dovrebbe andare a sostegno di processo economici fondamentali per la vita delle comunità più esposte alla crisi - il denaro svolazza e si disperde in mille rivoli e rigagnoli. Sono infatti 56 i comuni marchigiani e 24 quelli umbri che potranno beneficiare degli interventi previsti dall'Accordo di Programma. Per un totale di 80 comuni coinvolti. Una esagerazione che balza agli occhi se solo si focalizza lo sguardo sul vero epicentro della crisi, territorialmente delimitata dalla dorsale appenninica e ai comuni di Fabriano, Nocera Umbra e Gualdo Tadino. Per queste ragioni si fa fatica a comprendere l'bnorme dilatazione di comuni che vede coinvolte - tanto per restare nelle Marche - anche realtà dello jesino, del pesarese e del maceratese. Non si tratta di fare del microcampanilismo, ma se è vero che il grosso della crisi riguarda il distretto metalmeccanico di Fabriano, a che serve e a chi serve questa estensione del territorio coinvolto? The answer, my friend, is blowing in the wind. Dal punto di vista dei contenuti l'equa ripartizione dei finanziamenti tra Marche ed Umbria riduce a 17 milioni di euro la portata degli interventi previsti nelle Marche e considerato che i comuni coinvolti sono 56, la sensazione è quella di un provvedimento fondato su un basso livello di sostegno finanziario alla potenziale progettualità. L'Accordo di Programma, inoltre, funziona attraverso misure nazionali che fanno riferimento alla legge n.181/89, che è stata potenziata per attrarre investimenti e, a cascata, creare teorica occupazione. Si passa, infatti, da un sostegno ai progetti del 50% al 75%, ma a condizione che si assuma una quota minima di lavoratori ex Ardo. L'accordo prevede anche un bonus occupazionale vincolato al reimpiego di dipendenti ex-Ardo. Concretamente, quindi, l'Accordo di Programma è uno strumento col fiato corto dal punto di vista delle risorse finanziaria messe a disposizione, che diventa cortissimo per via del numero di comuni e territori coinvolti e che precipita in un'apnea devastante perché traccia, di nuovo, una linea di demarcazione tra esuberi di serie A - quelli ex Ardo - ed esuberi di serie B - quelli del resto del mondo -. Si tratta di una scelta che non considera il sistema di ammortizzatori sociali già attivo per gli ex lavoratori Ardo e che consente di non drammatizzare la situazione del territorio. Ma allora, perchè non utilizzare le risorse dell'Accordo di Programma per tenere in vita piccole e medie imprese che, magari, hanno ancora i requisiti industriali per andare avanti, piuttosto che disperdere risorse ed energie in mille rivoli? Ci vuole una scienza infusa per a capire che un imprenditore assume se ha bisogno di assumere e sceglie sulla base di requisiti di utilità e non certo perché lo Stato gli regala un bonus? Siamo ancora convinti che l'occupazione possa crescere per decreto e che il rilancio di un territorio si realizzi con 17 milioni di euro sparsi, come briciole di pane, in ogni dove? Non è forse ora di giudicare le scelte compiute nella loro nuda e cruda concretezza piuttosto che farsi rintronare l'occhio da fumisterie ammantate di assi, misure, interventi e normative?
    

22 ottobre 2012

FaVriano tra parricidio e fratricidio

Il Consiglio Comunale di sabato e lo scivolone mediatico di Confindustria Ancona di ieri rischiano di offrire, al giudizio dei cittadini, una vista eccessivamente semplificata sullo stato dei rapporti tra politica e impresa nel nostro territorio. Infatti, non è in corso alcun processo di bolscevizzazione della giunta Sagramola e nessuna trasformazione di Confindustria Ancona in organizzazione radicale della rappresentanza imprenditoriale. Insomma, chi immagina un Sagramola in basco, stella rossa e sigaro cubano pecca di ingenuità visionaria, così come chi crede che Confindustria, governativa e contrattualista per vocazione e cultura, possa trasformarsi, di colpo, in un avamposto di rottura e conflitto con le istituzioni. La vera sfida, che forse non è emersa con sufficiente chiarezza dopo il Consiglio Comunale di sabato, in realtà riguarda i fabrianesi, il loro rapporto con la politica e la loro capacità di sfrondare, nell'approccio al sistema d'impresa, quell'elemento di ammirazione, stupore e subalternità che ne ha segnato a fondo i comportamenti, l'identità e l'autopercezione. Anche se, per ragioni facili da comprendere, è poco gradito il rimando storico, occorre inquadrare una tradizione faVrianese di rapporti triangolari tra politica, cittadini e imprese. Fabriano è stata, essenzialmente, una signoria economica, un assolutismo non illuminato che, senza eccezioni di autonomia, ha accorpato istituzioni, politica e società civile in una forma di totalitarismo blando ma occhiuto. Ma attenzione! Fabriano non ha subito questa situazione ma l'ha alimentata col consenso, dando per scontato che la politica, le giunte e i consigli comunali fossero dirette emanazioni del potere economico, appendici naturali del marchio di fabbrica. Come ho detto sabato mattina, intervenendo in Consiglio comunale, le imprese del territorio non hanno fatto niente di strano rispetto a questa lunga vicenda: abituate a convocare non hanno accettato di essere convocate dalla politica, perché - visto l'andazzo cinquantennale - è come se gli addetto al magazzino avessero provato a mettere sull'attenti il consiglio di amministrazione. Per questo la rivendicazione di autonomia, incarnata dalle parole di Sagramola, è solo il preludio della necessaria separazione tra economia e politica, una lacerazione iniziale di quel cordone ombelicale che invece di proteggere la comunità la sta strangolando. Il punto chiave, quindi, non è alimentare un solco incolmabile nelle relazioni tra politica e impresa a Fabriano, ma aiutare la formazione di un clima di autonomia totalmente estraneo alla cultura locale. Per riuscirci sono necessari alcuni presupposti: innanzitutto una cittadinanza capace di consolidare una società civile - che non ha mai attecchito - fatta di associazionismo, di iniziative autonome e di attività che nascono dal basso, aiutando la formazione di uno spirito critico diffuso, capace di incidere sulle decisioni politiche e di vigilare sull'attività degli organi rappresentativi; e in parallelo una politica che migliora in qualità e autonomia, una politica che studia, allarga la visuale e fa della competenza - non solo amministrativa ma di visione e di intuito - lo strumento essenziale di emancipazione dai poteri economici e di autorevolezza nei confronti dei cittadini. Quanto accaduto sabato non è di certo una pietra miliare nella vicenda della nostra città ma può essere l'occasione per dare concretezza al parricidio. Ha scritto Umberto Saba in Scorciatoie e Raccontini: "Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuto, in tutta la sua storia - da Roma ad oggi - una sola vera rivoluzione? La risposta - chiave che apre molte porte - è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani… “Combatteremo - fece stampare quest’ultimo in un suo manifesto - fratelli contro fratelli”. (Favorito, non determinato, dalle circostanze, fu un grido del cuore, il grido di uno che - diventato chiaro a se stesso - finalmente si sfoghi). Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda), un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli."
    

21 ottobre 2012

Confindustria, il gatto e il pesce

L'ordine del giorno unitario votato dal Consiglio Comunale di ieri e la netta rivendicazione di autonomia della politica fabrianese dal sistema delle imprese, incarnata dalle parole del Sindaco Sagramola, non è piaciuta per niente a Confindustria Ancona. E puntualmente stamattina, sulla pagina di Fabriano del Resto del Carlino, c'è da fare i conti con la presa di posizione dell'organizzazione di rappresentanza provinciale degli imprenditori. Parole che aggravano ulteriormente il quadro già emerso nella giornata di ieri e che appartengono a un modus operandi così ingenuo da risultare incompatibile con lo stile di una organizzazione capace di diplomazie raffinate e di indubbie qualità di interlocuzione istituzionale. Il comunicato di Confindustria, infatti, smentisce in toto le lettere e le mail inviate al Sindaco dalle imprese associate e ieri assenti. Lettere e comunicazioni di cui, ieri mattina, ha dato pubblica lettura in Consiglio Comunale l'assessore Giuseppe Galli e in cui si giustificava l'assenza attribuendola a impegni pregressi o a classiche circostanze di diniego. Oggi grazie a Confindustria - che forse avrebbe dovuto raccogliere qualche informazione in più prima di pronunciarsi pubblicamente - sappiamo che oltre a essere assenti dal Consiglio Comunale aperto le Sette Sorelle del comprensorio fabrianese non hanno avuto neanche lo stile e il coraggio intellettuale di dire la verità. Nell comunicato dell'organizzazione datoriale si afferma infatti "che non si tratta di boicottaggio, ma di definire modalità più opportune di confronto, stante la complessità del momento". E di seguito che "la politica deve prendere atto che le modalità di confronto e di coinvolgimento delle imprese non sono le stesse dell’amministrazione pubblica: ai momenti di elevata visibilità il mondo delle industrie preferisce l’operatività e la concretezza. Oggi quello che conta non è tanto confrontarsi sul passato quando piuttosto ragionare insieme su come impostare il futuro". Tradotto in un essenziale parla come mangi ciò significa che le imprese non amano i confronti in pubblico - neppure nello spazio protetto delle istituzioni -, non amano assumersi responsabilità circa il passato e prediligono i faccia a faccia riservati, in camera caritatis, dove non ci sono orecchie critiche che ascoltano e cittadini incazzati che democraticamente giudicano. Insomma tutto quel susseguirsi di scuse per l'assenza, per gli impegni pregressi, per il profondo dolore del non esserci erano una vera bufala casertana, di quelle buone per cittadini con l'anello al naso. Invece, come diceva quel vecchio anarchico di Giuseppe Prezzolini, la maggior parte di noi, più che in Confindustria, si riconosce nella Società degli Apoti, ossia di quelli che non la bevono. Uno scetticismo ironico e di buon senso che trova conferma e si rafforza leggendo l'ultimo capoverso della lettera inviata al Sindaco Sagramola da Confindustria, che riporto perchè vale più di mille proclami: "Focalizziamoci allora, pragmaticamente, sui singoli temi di interesse delle aziende e lavoriamo insieme sulle politiche di sviluppo del territorio, a partire da una progettualità condivisa per utilizzare al meglio i fondi scaturiti dall’Accordo di Programma". Che tradotto significa: noi non ci veniamo a riferire se ci convocate per parlare di futuro di fronte ai cittadini fabrianesi. Però siamo pronti a correre, col fremito di un Bolt alle Olimpiadi, appena ci sarà da discutere su come allocare i milioni di euro messi a disposizione dall'Accordo di Programma. Si tratta di parole che vale la pena di accogliere con allegria e sollievo perchè mai scivolone fu più rivelatorio, clamoroso e ingenuo di questo. E spero, davvero, che Sagramola sia capace di fare quel che consigliavano le vecchie nonne col fazzoletto in testa: con un occhio guardare il gatto e con l'altro friggere il pesce. Anche se il gatto è così ingenuo da dichiarare, alla luce del sole e con spavalderia, che per arrivare al pesce non intende nè bussare all'uscio nè pulirsi le scarpe. E nel caso che si risponda con un coro unanime come l'ordine del giorno votato ieri: no grazie!
    

20 ottobre 2012

Sindaco e Consiglio alla Prova del Cuoco

Immagine di Fabrizio Moscè
Un Consiglio Comunale maledettamente difficile quello di stamattina. Le grandi imprese locali, invitate a parlare di futuro, hanno disertato in massa, come Sette Sorelle invitate a un ballo ricchissimo di zucche ma avaro di principi e cavalli bianchi. Sette seggiole in velluto azzurro rimaste desolatamente vuote. E appoggiato al sedile un foglio bianco e abbandonato, con su scritto "riservato". Nessun culo assiso, nessuna camicia inamidata, nessun orologio agnellesco sul polsino e neanche un paio di gemelli d'oro da esibire facendo risalire, con disinvoltura, la camicia in direzione della mano.  Una straordinaria metafora visiva del vaffanculo che le grandi imprese fabrianesi hanno riservato al Consiglio Comunale, delegittimandolo crudelmente nella sua funzione di massimo organo della rappresentanza politica cittadina. Tutto previsto e annunciato e non è un caso che, già da ieri sera, circolasse il testo di un ordine del giorno che stigmatizzava l'unanime assenza degli impresari. Di fronte a questa polpetta avvelenata Amministrazione e Consiglio potevano lasciarci le penne, segnando in negativo - dopo poco più di cento giorni di attività - il tragitto di un intero mandato amministrativo. Serviva una prova corale di orgoglio e di dignità politica: da parte del Sindaco e del Consiglio Comunale. I consiglieri, mediamente, si sono guardati bene dal rilevare il rischio politico e amministrativo a cui erano stato oggettivamente sottoposti dal gran rifiuto delle grandi imprese. Meglio guardare altrove, immaginare scenari futuri e futuribili, rimarcare i molti (?) elementi di ottimismo che una situazione tanto drammatica regala agli occhi imbambolati dei cittadini. Ma alla fine l'operazione "salviamo faccia e culo" è andata a buon fine. Come un'Antonella Clerici zompettante tra le cazzarole, è stato Sagramola a preparare e miscelare gli ingredienti della ricetta salvavita: prendendo atto che una stagione politica e amministrativa si è conclusa e che da questo momento la politica fa la politica e l'impresa fa l'impresa. Una dichiarazione di intenti impegnativa e fumante, che colloca il Clericione in una frontiera di cui dovrà essere, ogni giorno, interprete e protagonista. E alla fine anche il Consiglio Comunale ha capito quanto scottassero, sulle chiappe svestite, certi piani di cottura rinunciando a giocare la solita partita di chi è più bravo tra la squadra del Pomodoro e quella dei Peperoni, come accade nei siparietti della Prova del Cuoco. Il risultato finale è un piatto unico - in forma di ordine del giorno - che non sarà prelibato, per via del poco condimento, ma un suo sapore ce l'ha, laddove si afferma che quanto accaduto e la "fotografia, ormai evidente, della fine di un modello di sviluppo del nostro territorio, che ha visto alcune delle più grandi imprese, durante i tempi più floridi, decidere ritmi e tempi di vita della nostra comunità per poi, nella crisi, andarsene, disinteressarsi del territorio o nella migliore delle ipotesi non avere idee di ripresa e sviluppo" e dove si prende atto "che per troppo tempo le grandi imprese sono state gli interlocutori privilegiati per le varie amministrazioni comunali che si sono succedute e che oggi però le condizioni sono mutate e si necessità di un confronto ampio e aperto con tutti gli attori della vita sociale ed economica di Fabriano". Insomma, per una volta il consiglio comunale ha risposto con una prontezza e un decoro capaci di avvicinare città e istituzioni. E Sagramola, adesso, potrà  liberarsi da un peso, esibendosi in quel rutto libero da Gianc'Arlotto che ha trattenuto per tutta la mattina. E poi, per concludere alla grande, ci saranno "le tagliatelle di nonna Pina, un pieno di energia, effetto vitamina. Mangiate calde col ragù ti fannoil pieno per sei giorni e anche più".
    

19 ottobre 2012

Di un'impresa de FaVrià e del suo salvataggio

Scrivo queste righe mentre mi galleggia dentro un'insorgente acidità, dovuta allo sgarbo delle multinazionali fabrianesi che hanno rifiutato l'invito a discutere di futuro nel Consiglio Comunale di domani di cui diserteranno forse unanimemente i lavori. Insomma, carta, penna e calamaio stavolta mi servono per evidenziare un contrappasso buono e raccontare la storia amara di un'impresa fabrianese. Di quelle che impiegano una decina di persone, vivono quotidianamente appese a un filo, vengono trattate con spocchia e supponenza dalle banche e al minimo errore di gestione precipitano in un baratro da cui è sempre più difficile riemergere. L'imprenditore fabrianese di cui racconterò la storia  non cerca pubblicità, non vuole elemosinare denari e compatimento e se per il momento ha scelto l'anonimato lo ha fatto solo per non subire pressioni o colpi bassi che potrebbero risultare letali. Per questo lo chiamerò Signor Bonaventura e Speranza Srl la sua azienda. Speranza Srl, grazie a un affitto di ramo d'azienda, ha ereditato da un'altra società un fatturato di 1,7 milioni di euro e un margine operativo lordo (MOL) di circa il 10%. Segno di una realtà produttiva e industriale sufficientemente redditizia. A causa di errori e problemi nella gestione finanziaria e nella catena delle consegne, l'azienda ha ridotto il fatturato a 1,2 milioni di euro, con conseguente contrazione del margine operativo. Ecco allora che il Sig. Bonaventura, per tenere in vita la Speranza Srl, fa lo cosa più naturale di questo mondo: s'arma di coraggio e fiducia e bussa all'uscio delle banche, senza ricordare che il sistema finanziario apre l'ombrello quando splende il sole e lo chiude quando comincia a piovere. Infatti, nonostante un complicato gioco di mutui e garanzie, tutti i tentativi di ampliare le fonti di finanziamento dell'impresa naufragano miseramente. La Speranza Srl, anche a seguito di questa sprangata sul muso, ha i giorni contati. Il Sig. Bonaventura e i suoi dieci collaboratori, a questo punto, possono prepararsi in molti modi alla "domenica delle salme": chiudendo baracca e burattini, mettendosi a fare altro, oppure facendola finita come è accaduto recentemente a tanti piccoli e disperati imprenditori del Nord. Già, perché per il salvataggio servono 200.000 euro, ossia una cifra che di questi tempi farebbe sciogliere i cani anche al più equilibrato dei monaci buddisti. L' imprenditore fabrianese però ha qualche asso nella manica: la volontà assoluta di tenere in vita l'azienda, di continuare a pagare stipendi e contributi ai collaboratori e di aiutare questa città, con il suo impegno quotidiano, a resistere e a tenere botta. Grazie alla dignità del lavoro e al senso di appartenenza alla comunità al Sig. Bonaventura è venuta un'idea estrema come la situazione che vive, gli si è accesa quella strana lampadina che di solito arde nella mente di chi, come rimarcava il trailer di un vecchio film, ha subìto un danno e per questo sa di poter sopravvivere: sbattersene i coglioni delle banche e delle marchette istituzionali rivolgendosi direttamente alla società civile, ossia ai faVrianesi. Non per chiedere una impossibile e intollerabile elemosina ma per rilanciare un'altra opzione di business, personalizzata e solidale. Il Sig. Bonaventura è disposto a mettere a disposizione dei fabrianesi - singoli o associati - il 60% delle quote della società che, è bene ricordarlo, ha problemi di natura finanziaria ma può ancora dire la sua a livello industriale. Chi contribuisce, con una base minima di 100 euro e multipli di cento, diventa proprietario pro quota di una società strutturata, che dal terzo al quinto anno restituirebbe - a chi ne facesse richiesta - gli interessi maturati e il capitale investito. Si tratterebbe, inutile dirlo, di un'operazione alla luce del sole, a cui il Sig.Bonaventura intende dare le più ampie garanzie di trasparenza e formalizzazione. Personalmente credo si possa trattare di un'operazione a sfondo sociale e comunitario, in grado di incarnare una buona prassi diventando una formula di salvataggio capace di parlare oltre i confini della nostra realtà locale. E di fronte alla vecchia furberia del "prendi i soldi e scappa", di cui danno quotidianamente prova certe grandi realtà industriali, la sforzo creativo del Sig.Bonaventura e della sua Speranza di trovare una soluzione che possa divenire modello di "salvataggio locale", è davvero qualcosa che sale nello stomaco come un bicarbonato chiamato a spegnere insorgenti acidità. Insomma, cari lettori, è solo un impraticabile idealismo o una soluzione mediamente plausibile? Proviamo a discuterne.
    

Fois Gras "FaVrià": il declino d'un DOP

Domani in Consiglio Comunale, con ogni probabilità, non ci sarà anima viva a rappresentare le principali imprese del territorio. Perché il nuovo capitalismo cognitivo è nomade e il capitale itinerante. E anche se sei cresciuto dimensionalmente tra questi quattro cantoni, non puoi esimerti dal ragionare di mobilità, competitività e globalizzazione. Per le aziende condannate ai ritmi e allo stress del turbocapitalismo, in crisi di successione e di alleanze strategiche, un consiglio comunale equivale a una cagata di vacca in alpeggio, da evitare con perizia e senza troppi complimenti. La maleducazione del diniego e la finta educazione della lettera di scuse per emendare l'assenza, quindi, esprimono un comune sentire, una scrollata di spalle che, a tutti i livelli, l'economia dispensa alla politica perché alla fine, per decidere, si bussa sempre a denari e senza i rallentamenti e gli impacci di una democrazia rappresentativa sputtanata dagli scandali e dalla imperante medietà del ceto politico. Per questo il Consiglio Comunale di domani sarà ricordato come l'epilogo di una brutta storia, un calcio bene assestato al culone flaccido di una città di capetti in disuso e capireparto "capisciotti", costretti a ridimensionare sicumera e pretese. La frattura tra imprenditoria locale e faVrianesità rappresenta la fine di un modello culturale, che è quello del Fois Gras "FaVrià": un esercito di oche obbedienti e giulive, costrette ad accumulare più benessere del giusto e del necessario, in cambio di una totale stanzialità culturale, civile e politica, buona per non disperdere energie lavorative e mantenere fegati ingrossati, ingrassati e, per questo, fedeli alla causa metalmeccanica e all'accumulazione bilaterale di capitale aziendale e di patrimonio familiare. Da domani le oche del Perigord fabrianese avranno la possibilità di comprendere, anche nella dimensione del simbolico, che tutto quel ben di Dio, quel grasso in esubero e quel benessere sgocciolante non erano un dono dell'impresa madre dedita alla filantropia, ma il corrispettivo di un grande disegno di industrializzazione senza fratture; un'industrializzazione necessariamente collegata alle strategie di produttività di un sistema che fingeva di essere aperto e rinascimentale per far transitare meglio la grande suppostona prussiana e assistenzialista. Il Fois Gras "FaVrià" è, quindi, apparso, per decenni, una leccornia originalissima, un prodotto tipico inimitabile, un sapore differente in cui convergevano la tenacia dei marchigiani, la sopportazione dei mezzadri e il genius loci delle genti pedemontane. Oggi sappiamo, con certezza, che era soltanto una sbobba adulterata e funzionale ad altro. Da questo momento, quindi, le oche allevate in batteria dovranno abituarsi a sopravvivere senza la sponda di allevamenti tristi ma rassicuranti, senza il quadretto domenicale di famiglie riunite per il pranzo col padre che, al momento della moka, annuncia di aver parlato con Tizio, Caio e Sempronio che  metteranno una toppa per questo figlio che non riesce a trovare .lavoro. Si racconta che a Monterrey in California, in una baia popolata di pellicani, furono insediati stabilimenti che inscatolavano pesce per le truppe americane dislocate in Europa a combattere i nazisti. Col passare del tempo i pellicani smisero di cacciare, alimentandosi con gli scarti prodotti dall'industria conserviera. Fin quando, per via di questa inattesa zona di comfort, rischiarono di estinguersi e furono salvati soltanto dal sopraggiungere di pellicani selvatici, ivi condotti per insegnare ai "viziati" a cacciare di nuovo e a salvare il becco e l'equilibrio di un intero ecosistema in crisi. 
    

18 ottobre 2012

Sidonia, Godot e la Fondazione

Sui quotidiani di oggi viene adombrata la possibilità che possa esserci anche Sonia Ruggeri tra i papabili per la presidenza della Fondazione Carifac. Un asso nella manica spuntato a seguito del dibattito sui costi di funzionamento della Fondazione, che ha visto protagonisti di una gustosa polemica fratricida l'ex Sindaco Roberto Sorci e i vertici della stessa Fondazione. Il nome della Ruggeri sarebbe comparso sulla scena come opzione spendibile per rafforzare la credibilità e il ruolo di un istituto ormai percepito dai faVrianesi come il fortilizio autoreferenziale - lesionato da intollerabili routine corporative - di quel che resta dell'anemica e grigia borghesia cittadina. Sonia Ruggeri è una donna colta e gentile che è stata capace di essere protagonista della politica locale senza subire quella mutazione genetica che, per la cosiddetta eterogenesi dei fini, trasforma anche le figure migliori in operose sentinelle del sistema della transazione continua e dei suoi riti mediatori. Purtroppo, però, è inseguita da uno storico e malevolo destino: quello di essere chiamata in causa ogniqualvolta ci sia di mezzo una sozzeria da mondare o un discredito da archiviare. Si è fatto per anni e anni, bruciandolo sistematicamente, il suo nome come candidato sindaco ma, al pari del Signor Godot di Beckett, non è mai arrivata all'appuntamento ed è quindi svanita, quasi come una promessa che fosse necessario tradire, l'ascesa al massimo soglio della politica cittadina. La Ruggeri ha fatto per lungo tempo e bene l'assessore alla cultura e oggi, visto che quella delega è oggettivamente vacante, ne sentiamo la mancanza perchè è come se se fosse sparito il collante del buongoverno della cosa pubblica. Fare l'assessore alla cultura a Fabriano rientra, infatti, in una sorta di grande disegno salvifico e missionario; un disegno degno di ammirazione perchè riflettere sulla cultura, da queste parti, è come parlare di diritti sindacali a Marchionne o chiedere ai grandi gruppi industriali locali se preferiscono restare qui o togliersi dai coglioni pagando le maestranze giusto quattro denari. Ma poi quest'anno Sonia ha deciso di gettare il cuore oltre la siepe - in faccia alla nomea di figura tirata in ballo per caso e per l'utile altrui - partecipando  alle primarie contro il vecchio amico e sodale Giancarlone Sagramola. Una scelta dolorosa, una frattura umana e culturale che, a consuntivo, ha spinto la Professoressa a lasciare il Pd e la politica attiva anche per via di accadimenti e tradimenti che hanno fatto delle primarie un oggettivo mattatoio politico di cui è risultata l'unica vittima sacrificale. E il fatto che si faccia il suo nome per la Fondazione trasmette, ancora e di nuovo, l'impressione che si voglia aggiungere al danno pure la beffa. Perchè il rischio concreto è che il suo nome e la sua figura siano utilizzati come specchietto per le allodole, come parafulmine su cui scaricare tutte le tensioni, gli interessi e i magheggi che circolano attorno alla Fondazione. Non ho alcun titolo per dare consigli a Sonia Ruggeri, ma fossi al suo posto mi terrei ben lontano da certe cariche e certi ambienti. Ma se mai dovesse diventare Presidente della Fondazione Carifac sono certo che lo farebbe con onestà e intelletto e, per questo, avrebbe il mio sostegno e quello di tanti faVrianesi. Anche se credo che, per stile e carattere, entrerebbe in quelle stanze felpate con un sorriso gentile scambiato dalle vecchie volpi come una garanzia di pronto cedimento alla legge del più forte. E il sorriso gentile, per rivelarsi efficace maschera di decisioni coraggiose, funziona solo quando è accompagnato da mitragliatori pronti a spargere sangue e dolore. E immaginare la Professoressa Ruggeri con la bandana in fronte, gli anfibi ai piedi e il fucile a tracolla mi riesce oggettivamente difficile. Ma se per caso accadesse sarebbe la più piacevole e magnifica delle sorprese.
    

17 ottobre 2012

Imprese in fuga: i rischi del Consiglio aperto

Sabato prossimo, alle 9 di mattina, l'Oratorio della Carità ospiterà l'ormai famigerato Consiglio Comunale aperto con i vertici delle principali aziende che operano sul territorio faVrianese. Sono stati invitati i sette principali gruppi industriali che generano, cumulativamente, la quasi totalità del valore aggiunto prodotto nel nostro territorio. L'organizzazione dell'incontro prevede che siano solo i consiglieri comunali i soggetti titolati a rivolgere domande ai rappresentanti delle imprese coinvolte mentre ai cittadini spetterà il ruolo di comparse a cui non sarà concesso, di default, diritto di parola e di intervento. Insomma i cittadini faVrianesi assisteranno a una sorta di Maurizio Costanzo Show in cui sarà difficile capire quali possano essere le strategie e il futuro di questo gruppi che molto hanno avuto dalla nostra gente. Ragion per cui l'effetto finale sarà, probabilmente, di grande delusione e inutilità. A meno che qualche consigliere comunale non abbia il coraggio e la voglia di prendere il toro per le corna tirando fuori i temi e gli argomenti che davvero scottano. E stamattina Emanuele Rossi del SEL, nelle sue dichiarazioni alla stampa, ha adombrato un approccio muscolare all'incontro rimarcandone puntualmente limiti e difetti. E quindi, speriamo che questa presa di posizione possa essere il preludio di un benefico contagio in grado di trasformare tutti i consiglieri comunali in veri e pugnaci difensori degli interessi  dei cittadini e della collettività faVrianese. Purtroppo, conoscendoli, possiamo già anticipare che si verificherà per l'ennesima volta l'esattezza della Legge di Pareto, ossia che l'80% delle domande importanti verrà formulato dal 20% dei consiglieri presenti. Nel caso immagino siano sei degli otto consiglieri dell'opposizione e sono aperte le scommesse per individuare nomi e cognomi dei potenziali coraggiosi. In realtà il successo di questo Consiglio Comunale aperto sarà anche intimamente connesso alla qualità dei rappresentanti delle imprese che prenderanno parte ai lavori. La scala del successo dell'operazione "trasparenza sul futuro" può essere articolata su tre situazioni di contesto:
1. Colpo Gobbo: partecipano figure di primo piano (proprietà o amministratori delegati) e fanno luce sulle proprie intenzioni. Nel caso successo del Movimento 5 Stelle e dell'assessore Galli.
2. Vittoria di Pirro: partecipano figure di primo piano (proprietà o amministratori delegati) ma non fanno luce sul futuro. Sconfitta per l'opposizione e successo dell'assessore Galli riconosciuto come interlocutore.
3. Figura di merda: partecipano figure di seconda linea che, ovviamente, non fanno luce sul futuro. Sconfitta per l'opposizione e per l'assessore Galli  non riconosciuto come interlocutore di sistema.
Personalmente escluderei il colpo gobbo in quanto improbabile. La Figura di Merda, come sappiamo bene, è sempre in agguato dietro l'angolo, ma spero vivamente che sabato non si manifesti, perché sarebbe una prova insostenibile per l'intera collettività faVrianese. Scommetto quindi sulla Vittoria di Pirro che, a mio avviso, non è solo una circostanza plausibile ma anche la metafora più azzeccata di quanto sta accadendo attorno a noi.
    

15 ottobre 2012

Le forbici e il paracadutista

Felix Baumgartner ci ha fatto vivere una grande emozione col suo lancio da 39.000 metri. Un'emozione a cui ogni vertiginoso degno di questo nome - a partire dal sottoscritto - ha partecipato con una sorta di inevitabile palpito aggiuntivo. Lanciarsi da quell'altezza è come arrivare da un altro pianeta e atterrare dopo aver guardato le cose da un punto di vista radicalmente lontano ed estraneo da quel che ci circonda. Fabriano ha il suo Paracadutista Felix nella figura di Roberto Sorci, un Bob Mousegartner che ultimamente sembra essersi lanciato da una capsula condotta a grandi altezze da un aerostato decollato direttamente da Via Dante. Per quel che mi riguarda sono aperto a qualsiasi novità di posizioni, perché le cose sono sempre dinamiche e rispondere al dinamismo con un approccio statico significa condannarsi all'impotenza. Ma c'è un però e cioè che Sorci non si è dato nemmeno il tempo di far decantare una situazione che lo ha visto al centro della scena per dieci anni. E la posizione, quasi da tribuno, assunta nei confronti della Fondazione della Cassa di Risparmio - che mi trova sostanzialmente d'accordo nei contenuti - lo fa somigliare, appunto, a un paracadutista che si lancia su Fabriano dopo essere rimasto appeso per dieci anni in una capsula, a 40 km di distanza dalla Piazza Alta. Dopo la lettera agli azionisti, i manifesti in cui si riporta la medesima e le riflessioni in forma di quaderni sull'economia cittadina oggi Bob Mousegartner ha prodotto un altro affondo nei confronti della Fondazione, in merito in merito agli oltre 400 mila euro che l'istituto spende per sostenere il funzionamento della propria struttura. Il fatto che Sorci abbia colto l'occasione per intervenire sulla vicenda con accuse pesanti, sposta l'attenzione dai numeri alla polemica creando, per l'ennesima volta, quel clima di confusione in cui tutto s'annebbia e diventa incomprensibile. L'elemento su cui deve focalizzarsi l'attenzione dell'opinione pubblica fabrianese è che la Fondazione destina il 27% di quanto erogato - come riporta dettagliatamente il Carlino di ieri - ai compensi di 9 esponenti del Consiglio di Amministrazione, 17 membri del comitato di indirizzo, il segretario, una dipendente e "enne" consulenti. La sfida del nuovo Presidente sarà quindi quella di azzerare la cifra perché la situazione economica di Fabriano rende intollerabile che un istituto che appartiene alla collettività fabrianese sostenga costi di struttura di questa portata. Il problema è che se a rivendicare il taglio è Sorci diventa altissima la possibilità che accada esattamente il contrario, perché in certe situazioni la psicologia gioca il suo sorprendentissimo ruolo. E in questo momento servono censori credibili e coi piedi per terra e non ex Sindaci che atterrano come se avessero pascolato quieti in un altro pianeta. Cazzo!
    

14 ottobre 2012

Homo Papirus Belvederensis: storia di un miracolo genetico

Ieri a Piero Angela è stato consegnato il Premio Città di Fabriano. Pronunciando qualche parola di ringraziamento il grande divulgatore ha colto al balzo la palla della pessima situazione locale per annunciare che sta mettendo a punto un programma sulla crisi economica. I giornali che, come sempre, amano esagerare scrivono, stamattina, di un Piero Angela addirittura in procinto di portare Fabriano in televisione. Sappiamo bene di che morte muore chi vive sperando e sinceramente Piero Angela lo associo alla divulgazione scientifica, al viaggio intorno all'uomo e al mondo di Quark più che alle questioni macroeconomiche. Per questo, se fossi stato presente alla cerimonia, gli avrei chiesto, piuttosto, di organizzare una prima serata di approfondimento tematico sull'homo papirus belvederensis. Trattasi, infatti, di specie locale vocata alla conservazione di un patrimonio genetico irripetibile e reso immutabile dalla periodica consuetudine con i piani alti del potere. Tracce di DNA dell'Homo Papirus vengono rintracciate, in posizioni politiche apicali, già nel 1975 quando viene eletto Consigliere Provinciale della Democrazia Cristiana a cui si aggiungerà un anno dopo, per via di un posto vacante, l'attuale Presidente della Cassa di Risparmio Domenico Giraldi. Quest'ultimo eletto per la prima volta consigliere comunale a Fabriano nel 1960, ovvero cinquantadue anni fa, ovviamente nelle liste del partito cattolico. Nel 1978 l'homo papirus belvederensis assume l'incarico di coosegretario politico della Democrazia Cristiana fabrianese e nel 1991 - ossia in una fase di grandi rivolgimenti politici post Muro di Berlino - diviene segretario unico del partito. E' arcinota ai concittadini tutti, inoltre, la lunghissima carriera di uomo forte della sanità fabrianese e provinciale: nel 1969 ricopre l’incarico di direttore amministrativo dell’ex Usl di Fabriano, quindi nel ’93 viene nominato commissario straordinario dell’ex Usl di Jesi, nel ’95 torna a Fabriano come direttore amministrativo e per concludere una carriera sicuramente brillante viene nominato Direttore Generale di Zona della Asl 6 di Fabriano. Ma l'homo papirus belvederensis, nonostante le settantatrè primavere consiglino una serena quiescenza, lavora indefessamente alla propria immortalità e viene unanimemente considerato colui che subentrerà al defunto Abramo Galassi come Presidente della Fondazione. Riflettendo su tali carriere e su questa inossidabile dotazione genetica, il mio cuore si è aperto a un moto di gioia perchè ho capito che Fabriano avrà pure consumato la sua età dell'oro ma, in parallelo, ha gettato le basi di una rivoluzione genetica e biologica, fondata su un'immortalità che non ha più bisogno delle pozioni che il dott. Scapagnini da Catania rifilava al Berlusca ma soltanto delle fattezze malinconiche del Pierrot di Belvedere. Pardon, dell'homo papirus belvederensis.
    

13 ottobre 2012

L'ombra dei nani e i reperti di Tuficum

C'è un vecchio proverbio cinese che mi piace molto riportare perchè racconta, con sintesi e saggezza, come il protagonismo dei potenti, nei momenti di vero declino, restituisca spesso l'impressione di una loro imprevista autorevolezza: "quando il sole è al tramonto l'ombra dei nani si allunga". Da questo punto di vista è stata un'esperienza straordinaria sbirciare i giornali di oggi, che riportano la notizia del prolungamento dei tempi di apertura dello svincolo di Albacina della Statale 76. Una dilazione temporale che sta procurando disagio ai lavoratori della Indesit di Borgo Tufico che sono quasi più incazzati per questo che per le voci di trasferimento della multinazionale del bianco. E la cosa, ovviamente, ha messo in allarme la politica, che quando sente il disagio dei cittadini immagina, all'istante, il turnover dei voti, ossia la conservazione del proprio culo. E quando c'è di mezzo il culo state certi che si attivano due circuiti: rassicuranti dichiarazioni ufficiali e colpe sparse in ogni dove. E così abbiamo scoperto che il ritardo, che tanto ammorba la classe operaia indesittiana, deriverebbe dall'emergere di antiche tombe lungo il tracciato dei lavori. E quando c'è di mezzo la storia si fermano i cantieri e tutti manifestano sensibilità archeologiche da fare una pippa a Heinrich Schliemann che localizzò e scoprì i ruderi di Troia. L'assessore regionale alle Infrastrutture Eusebi si è precipitato in città, accompagnato dal compagno di partito Mario Paglialunga, quest'ultimo notoriamente cultore di scavi, reperti e vestigia del passato. Il Carlino, sempre sopra le righe quando decide di non restarne drammaticamente sotto, ha immediatamente evocato l'impero romano e la battaglia di Tuficum. Tanto per condire e nobilitare a cazzo la vicenda. Ora, sarà anche vero che da questo momento in poi ogni metro di lavori avrà bisogno del consenso della Sovrintendenza, ma la cosa emana l'odore piccante della scusa gratuita per un ritardo che, probabilmente, dipende più dall'agire degli uomini del nostro tempo che da ciò che lasciarono quelli dei tempi antichi. Anche perchè colpisce l'improvviso timore reverenziale verso questa casuale azione di ritrovamento, manifestato da chi fa parte di una giunta che, senza battere ciglio, si appresta a intonacare, con cemento e fibre di carbonio, niente meno che un ponte progettato e realizzato da un genio del Rinascimento come Bernardo Rossellino e ricordato dal Vasari come opera di sicuro e ardimentoso ingegno. Se mai i nostri pronipoti dovessero trovare, fra qualche generazione, la fossa comune in cui verrà seppellita questa classe politica, sono certo che non chiederanno il consulto vincolante della Sovrintendenza ma ordineranno direttamente breccia e bitume per cancellare ogni traccia del passaggio di questi unni in cellulare e grisaglia.
    

12 ottobre 2012

Fiordaliso tra i barbatrucchi di Giancarlone

Dal 2008 gli organi rappresentativi ed esecutivi della Comunità Montana sono decaduti. Ne fa le veci, in funzione di Commissario Straordinario, quello che una volta era il Presidente dell'Ente, coadiuvato da due assessori e un Consiglio, composto dai Sindaci dei comuni che ricadono nel territorio montano. Le comunità montane sono uno testimonianza emblematica di come acute intuizioni territoriali si siano trasformate, grazie all'abuso politico più levantino, in centri di spesa senza alcuna utilità pubblica. Però queste scatole vuote possono sempre far comodo quando c'è da puntellare un equilibrio che risulta precario o se serve sminare qualche potenziale ordigno politico. E Giancarlone, in veste da Coniglio Mannaro - con lo sguardo contrito e i denti d'acciaio - pare stia pensando bene di pararsi il culo spedendo il nervoso Renzo Stroppa, piddino a tempo determinato, come suo delegato, nel Consiglio della Comunità Montana. Stroppa - anche detto il Corleonese per la concisa concretezza delle sue rivendicazioni, oltre che per l'uso di sgargianti camicioni a scacchi - è da sempre interprete di una linea politica che non ha mai incrociato perplessità: fa dantescamente partito per se stesso e come Tarzan, che s'aggrappava alle liane per spostarsi rapido nella giungla, s'avviluppa ai coglioni degli schieramenti politici per posizionarsi nel modo al lui più consono e utile. Secondo Radio Chiavelli - pettegola e piazzarola emittente politica - il suo sogno sarebbe stato la poltrona da Presidente del Consiglio Comunale, ma ormai Pariano non lo tira giù dallo scranno manco un terremoto tettonico accompagnato dallo tsunami. Di assessorati, poi, nemmeno a parlarne perché se è vero che è forte e insistente il chiacchiericcio su almeno un paio di dimissioni incombenti, di doman non v'è certezza ed è meglio cucinare subito l'uovo, piuttosto che restare al palo in attesa di un'incerta gallina. Insomma, un esempio da manuale di negoziazione win-win: contento Renzino, finalmente convertito da Corleonese a Fiordaliso, e contento Giancarlone che col barbatrucco della delega si è tolto un potenziale sassolino dalla scarpa e ha spaccato come una mela l'Asse del Malumore Stroppa - Paglialunga, che poteva diventare un problema non da poco nel suo personalissimo percorso di sopravvivenza. Adesso Sagramola - che bertoldescamente fa credere d'essere un malpancista e invece decide e di che tinta - per arrivare al Santo Natale in serafica letizia, deve soltanto chiudere un'altra pratica. Una di quelle in do minore e cioè che ruolo assegnare a quel simpatico pennellone del suo omonimo, a quel Giancarlo Bonafoni che ha già cominciato a rizzare il pelo e lanciare segnali di fumo sui risarcimenti per sinistro da pilomat. E come sempre accade si parte da un caso minore e, poi, non si sa dove si va a finire. Nello specifico pare che Sagramola sia intenzionato a rassicurare il Pennellone, in attesa dell'esito del ricorso presentato da Paoletti sull'attribuzione dei seggi. Se la spunta l'ex assessore entra in Consiglio ed esce il Pennellone. In tal caso il problema è risolto, altrimenti Giancarlo ci metterà le mani, regalando qualche costruzione Lego che tenga a freno i capricci. E comunque vada per Sagramola sarà un successo, perché questo è un tempo di navigazioni a vista e il sindaco, in questo senso, è un nostromo insuperabile ed esperto.
    

11 ottobre 2012

Fiamme Gialle in Regione

Non faccio parte, per cultura e tradizione, di quanti di fronte alla febbre alta si scagliano contro il termometro, ritenendolo il vero responsabile della malattia. Per le stesse ragioni non mi verrebbe mai pensato di condannare l'antipolitica che esprime nient'altro che la reazione popolare alle reiterate nefandezze di cui è capace la politica. Si racconta che un ufficiale nazista, guardando il celebre olio su tela in cui Picasso ha raffigurato il bombardamento di Guernica, si rivolse al pittore con una domanda: "Maestro, questo è opera vostra?".- E Picasso prontamente rispose: "No, è opera vostra". E' esattamente quel che abbiamo sotto i nostri occhi: una classe politica sputtanata che si difende alzando i toni contro chi la critica, moltiplicando le manifestazioni di arroganza, inscenando un vittimismo insopportabile e rivendicando un primato di governo che ormai esiste solo nella mente deformata di una casta che è tale non solo per i privilegi, ma anche per aver messo in piedi un microcosmo di aria consumata e di finestre chiuse sul mondo. E lo dico non da grillino - nonostante la casta politica fabrianese cerchi di raccontarmi come tale per accreditarmi come eterno trasformista - ma soltanto da cittadino senza potere, che conosce la fatica di vivere ed è alquanto incazzato con questa aristocrazia senza onore e senza cultura. Da quando è esploso il caso Lazio ha iniziato a tirare una brutta aria attorno alle istituzioni regionali. Prima le ispezioni in Emilia Romagna e Campania, poi l'arresto dell'assessore della Giunta Formigoni e stamattina la finanza alla Regione Marche. Non sappiamo bene se questo blitz faccia seguito all'apertura di una indagine della Procura, se ci siano politici iscritti nel registro degli indagati o se si tratti di un sequestro senza notitia criminis (il che sarebbe cosa alquanto grave e preoccupante per lo stato di diritto). Certo è che, col senno di poi, possiamo comprendere meglio certi nervosismi recenti del Governatore Spacca, probabilmente in preda a una sindrome da accerchiamento che non lo riguarda personalmente ma in quanto figura che incarna simbolicamente e materialmente l'istituzione regionale considerata nel suo insieme. Il punto chiave, come sempre, non è giudiziario ma politico: siamo alla fine di una vicenda delle regioni che, per un periodo, erano sembrate l'unica soluzione in grado di dare alla politica una spinta propulsiva nuova. Qualche giorno fa un amico che se ne intende mi ha detto due cose lucide, condivisibili e taglienti: che l'Italia è vissuta 1946 al 1971 tranquillamente senza regioni - e quindi che non muore nessuno se si dovesse smantellarle - e che esse, di fatto, saranno ricordate più per la moltiplicazione dei centri di spesa che per i servizi realmente erogati ai cittadini. L'Italia del futuro sarà probabilmente fondata su uno Stato centrale e su fortissime autonomie comunali. Per questo è essenziale condurre battaglie vere per il federalismo municipale, opponendosi a tutti quegli atti della Regione - come il conferimento dei rifiuti all'ATA -  che servono soltanto a tenere in piedi un'istituzione che non ha più ragion d'essere se non come grande greppia della dilapidazione. E se per smontare questa farsa del regionalismo - a cui sbagliando in toto ho creduto molto - serve la Guardia di Finanza ben vengano le Fiamme Gialle. Perché mai come ora Parigi val bene una messa.

P.S: Giancarlo Sagramola rispondendo alla mia sollecitazione sui tubi depositata nella Fontana della Piazza bassa si è personalmente impegnato a farli rimuovere stamattina e a chiedere un preventivo per il restauro della Fontana nonostante la penuria di risorse a disposizione dei cittadini. Mi sembrava corretto metterne a conoscenza i lettori.
    

10 ottobre 2012

Il cane, il maiale e la lince

L'esperienza insegna che la politica è una scienza triste, fondata sul primato dei sensi. Chi fa politica ha bisogno di olfatto canino e di gusto e palato suino. Chi la politica, invece, la osserva dall'esterno può affidarsi tranquillamente alle virtù della vista, che serve ad accorgersi degli stracci che volano e di quei particolari che possono sembrare minuti o insignificanti, ma alla fine aprono vasi e vasi di Pandora. Venerdì scorso, a mezza mattina, l'Oratorio della Carità - prima di farsi teatro della brutta performance spacchiana del dopocena - ha ospitato un incontro tra l'amministrazione Comunale e il Dipartimento DICEA della Facoltà di Ingegneria dell'Università Politecnica delle Marche. Con l'obiettivo di dare vita a un Laboratorio Urbano dedicato al governo del territorio e allo sviluppo delle strategie approvate dal Consiglio Comunale, nel mese di marzo del 2012, con il Documento Strutturale intitolato "Fabriano, le sfide di una città in transizione". Di cosa si occuperà questo Laboratorio Urbano, che sarà incentrato sulla collaborazione tra il Dipartimento DICEA e l'Ufficio Tecnico del Comune? Di affrontare e sviluppare quattro dei temi urbanistici contenuti nel Documento Strutturale, tra i quali l'area del vecchio campo sportivo, le zona Enel dismessa sempre al campo sportivo e l'area del Consorzio Agrario. Presentata in questa termini sembrerebbe un'operazione da applauso, di quelle politicamente corrette a cui non si può eccepire nulla. Cosa c'è, infatti, di meglio e di più sano di un organo politico che indirizza, di tecnici che eseguono e di universitari che consigliano e suggeriscono? Personalmente credo, invece, che ci sia molto da dire e da ridire, perché la soluzione tecnica non è mai neutrale e dietro all'idea di élite che fanno e disfano c'è sempre un elemento di frizione col principio democratico del consenso e della partecipazione. Un documento strutturale approvato a marzo è, infatti, un documento oggettivamente svalutato perché, giungendo a fine mandato, vincola e condiziona le scelte dell'amministrazione da poco subentrata. E, come sappiamo bene, la continuità amministrativa è un valore già di per sé discutibile e lo diventa ancor più se non è una libera scelta ma qualcosa che ti ritrovi sul groppone perché te l'ha maliziosamente caricata addosso chi è venuto prima. L'altro aspetto riguarda la selezione delle aree urbanistiche da trattare. Una scelta delegata a una cerchia ristretta di intellettuali del settore e di tecnici municipali che decidono dove e come mettere le mani, senza consultarsi con la popolazione, senza coinvolgere gli organismi partecipativi e senza un disegno di condivisione rispetto alla trasformazione di aree che impattano direttamente e profondamente nella vita dei cittadini. E la cosa è tanto più preoccupante se pensiamo al vero e proprio muro di gomma che i cittadini che hanno chiesto in massa la scoperchiatura del fiume si sono trovati davanti nonostante le mobilitazioni, le firme, le scampagnate collettive alle fonti del Giano. Quando arrivano i Professori e i Tecnici, invece, l'impossibile diventa fattibile, l'inverosimile si fa progettabile e l'opinabile diventa, almeno teoricamente, finanziabile. La verità è che a Fabriano si sta imponendo una questione democratica sempre più pressante e urgente e di cui ogni giorno emerge un lampo o una prova. Per comprendere l'andazzo non c'è bisogno di avere un naso da cane tartufaro o il palato del maiale nero. E' sufficiente l'occhio della lince e uno sguardo attento e senza paraocchi in un tempo in cui, finalmente, ai pacifici amici d'aia subentrano occhiuti e sospettosi animali di bosco.
    

9 ottobre 2012

L'allegro stupro dei nostri monumenti


Come si dice retoricamente il diavolo si annida e prospera allegro nei dettagli. E oggi alle 14.45 ho beccato un interessantissimo dettaglio che racconta meglio di mille narrazioni articolate e dotte l’incuria, il disprezzo e la vocazione al decrepito e al deforme che caratterizza il declino di questa cittadina che sembra nutrire rispetto e ammirazione solo per la memoria delle sue catene di montaggio e dei suoi evolutissimi elettrodomestici. La fontana di Piazza Garibaldi è un monumento che, invece, suscita al massimo indifferenza e che sta lì pronto a farsi pattumiera casuale ma comoda di lattine, bottiglie di plastica e quando serve anche di due tubi come quelli ripresi in foto che migliorano nettamente l'appeal di questa fontana rinascimentale. Già perché quando finisce la Notte Blu e si è fatto molto tardi non c’è niente di stravagante e di anomalo a sfaccendare rapidi utilizzando una fontana rinascimentale – munita di epigrafe aere pubblico restauratus Alexandro VI  Pon Max sedente – come magazzino di prossimità e superficie di appoggio di utensili per cui non si riesce a trovare migliore collocazione. Non è mia intenzione infierire o attribuire responsabilità ma colpisce che nessuno abbia fatto caso a questo obbrobrio considerato che la fontana è collocata in un punto di passaggio pressoché obbligato per accedere e fruire del parcheggio della Piazza Bassa. Certo, un monumento che fa esplicito riferimento a quel mezzo eresiarca paganeggiante di Papa Rodrigo Borgia è una cosa di poco conto in una città che si fa vanto pure di un sampietrino divelto e che s’appella al turismo, un giorno sì e l’altro pure, come alternativa economica alla incipiente deindustrializzazione. Ma certo è che se lo spirito cittadino è giuntio al punto di considerare tollerabili episodi di sprofondamento etico ed estetico come questo, la vedo dura per operazioni più ampie  e profonde di riqualificazione urbana come la riapertura del Ponte dell’Aera e la tutela dei vecchi ponti medievali cittadini. Quando una comunità vive senza scosse questa radicale ”insignificanza dei luoghi” vuol dire che siamo all’ottundimento psichico. E l’ottundimento si disarticola e si sgretola solo martellando con le immagini e le parole, perché purtroppo anche nella tutela del patrimonio pubblico ciò che è lontano dagli occhi alla fine è pure lontano dal cuore, dalla passione e dalla fame di bellezza che tutti abbiamo dentro. Anche se, molto spesso, senza saperlo o senza esserne del tutto consapevoli.