30 novembre 2012

Non ci resta che piangere

La tempistica delle cose è un elemento centrale della dinamica politica. Anche quando sembra che gli accadimenti siano puramente casuali, si scorge sempre l'ombra di una volontà o di un disegno. E questi sono giorni di geroglifici e segnali di fumo. Al limite dell'escalation simbolica. Prima le primarie del Pd, con quello strano risultato a favore di Renzi, in una realtà cittadina di democratici sicuramente famelici ma geneticamente estranei alle onde d'urto del nuovismo e del cambiamento; poi l'ormai sicuro avvento del bambinello montezemoliano, che giunge non certo per portare la buona novella al sagramolismo ma per disarticolarne e affossarne le ambizioni. Ed oggi, tanto per concludere in bellezza il colpo su colpo della settimana che si chiude, l'annuncio dell'elezione di Guido Papiri alla Presidenza della Fondazione Carifac. Trattasi di nomina ampiamente prevista e già in data 8 luglio mi era capitato di commentare il ritorno di Papiri, raccontando il Pierrot di Belvedere tutto intento a passeggiare rimirando, con sicura speme di rispescaggio, le ampie finestre della sede della Fondazione Carifac.  Oggi l'annunciato miracolo dell'eternità che perpetua se stessa si è compiuto: il Pierrot di Belvedere è diventato l'Arlecchino pensoso di Picasso. E la santissima nomina alla Fondazione, guarda caso, avviene proprio mentre si fanno più incalzanti e fondati i sospetti di scissione del PD e le ipotesi di un nuovo gattopardismo centrista, aggregato attorno all'Italia dei carini. Papiri incarna, infatti, quasi plasticamente, il riserbo e la discrezione che servono quando ci sono grandi lavori in corso. E, da questo punto di vista, il curriculum di Papiri costituisce una garanzia per tutti i soggetti coinvolti nel gigantesco magheggio che si profila all'orizzonte: in primis, scissionisti montezemoliani del Pd e uddiccini preoccupati per la tenuta della golden share sulla maggioranza. In natura non esiste, infatti, disegno politico che possa fare a meno di una cassaforte, di un bastione finanziario, di una cattedrale economica in grado di ammorbidire, acquisire e orientare il consenso. Si possono spendere mille parole sul declino della Fondazione e sul profondo taglio di unghie che tale istituto ha subito a seguito dell'acquisizione della Carifac da parte di Veneto Banca. Ma altrettante è possibile pronunciarne per sottolineare il ruolo residuale ma tuttora importante e centrale che la Fondazione ricopre nelle dinamiche economiche e politiche locali. I giornali di oggi raccontano di un Papiri eletto con 17 voti sui 18 possibili. Ciò può significare due cose diversissime, un po' come il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno: che un grande elettore ha disobbedito alle unanimi indicazioni del sistema dando concretezza a una forma di curioso e solitario eroismo; oppure che il disegno centrista, di cui Papiri è parte integrante, ottiene il gradimento della quasi unanimità di ciò che resta della classe dirigente locale. Al cospetto dell'escalation politico finanziaria - a cui abbiamo assistito in questi giorni - spicca, come un controcanto opaco e malconcio, l'operazione Credito Cooperativo, che rischia di diventare la ridotta valtellinese di Peppe Mingarelli e degli ex Ds sempre più in caduta libera. Non ci resta che attendere l'esito del ballottaggio di domenica e l'ultimo valzer delle primarie in chiave faVrianese. Non ci resta che piangere.
    

29 novembre 2012

Centristi, centrini e montezemolini

Tini e Sagramola nella Parabola dei Ciechi (F.Moscè)
La diaspora del Pd e l’ormai certa folgorazione montezemoliana di ambienti democrat e dintorni, un primo effetto sembra averlo già prodotto. Un effetto che rimbomba in quel microcosmo felpato ma conflittuale che ruota attorno agli equilibri interni dell’UDC. Il partito centrista, in questi primi mesi di mandato amministrativo, ha coltivato e affermato un preciso disegno politico: esercitare la leadership sulla coalizione e sul Sindaco, approfittando sia del ruolo chiave di Tini in Giunta che dell’ormai prossimo pronunciamento del TAR sul caso Paoletti. Qest'ultimo una vera e propria Spada di Damocle che pende sulle palle e sulle spalle della maggioranza e potrebbe consegnare la dotazione testicolare di Sagramola direttamente alla stretta sadica e nodosa del Ragioniere di San Donato. Questo disegno politico si era configurato in modo così limpido e ferrigno da non ammettere deroghe, ostacoli o ripensamenti. Al punto che l’UDC poteva serenamente permettersi il lusso di scalciare, dividersi e mettere in quarantena l’assessore Giuseppe Galli denunciandone, senza mai scadere in provvedimenti politici o disciplinari, l’ambizione personale, le mire politiche e il protagonismo mediatico. Ma come sa bene chi ha un po' di dimestichezza con la vita delle organizzazioni politiche, si scagnara solo se l’orizzonte risulta totalmente spoglio di minacce. E fino ad ora, di tuoni e fulmini non se ne è vista neanche l’ombra. Cosicché, la titolarità della golden share uddiccina sulla Giunta Sagramola è apparsa ben racchiusa, se non del tutto sigillata, nel classico e rassicurante ventre di vacca. Ma le primarie del Pd, con gli annessi segnali di accelerazione montezemoliana e il potenziale raddoppio della golden share sulla maggioranza sagramoliana (esercitato anche dal probabile raggruppamento montezemoliano), hanno costretto l’UDC a un repentino cambio di passo e di giudizio, perché raddoppiare la golden share, e condividerla con altri soggetti concorrenti, vuol dire dimezzarne l’effetto, riducendo del 50% il potere contrattuale che si è in grado di esprimere. Per sventare l’attacco montezemoliano, i centristi casiniani (quanta gelosia di posizionamento tra artisti!) hanno quindi deciso, su due piedi, di fare quadrato, chiudendosi a testuggine come una Legione di Cesare nelle campagne d'oltralpe. E se nei giorni scorsi si era apertamente parlato di un’azione punitiva su Galli, con ritiro di una delle deleghe assessorili, di colpo il taglio della cresta galliana è totalmente rientrato nei ranghi e i tagliatori di teste hanno dovuto posare lame e coltellacci. E pare che Tini sia stato in prima linea nel rivendicare il salvataggio – ovviamente momentaneo e frutto di un’altrettanto momentanea union sacrée – del giovane assessore alle Attività Produttive, notoriamente più rivale che sodale di Mariangelo Montini. Un salvacondotto a tempo determinato quindi, dispensato non certo per amore ma a tutela di un potere di interdizione che è parte integrante del disegno di sopravvivenza dell’UDC dopo il crollo dell’azienda-partito Ardo. Il che significa che il montezemolismo in salsa pedemontana, le secessioni in bilico tra il pedemontano e il catalano e gli acronimi stuzzicanti sono abbastanza concreti da essere percepiti e rilevati anche attraverso le reazioni dei tanti sismografi del sistema politico, tramite il repentino riposizionamento dell’UDC e anche per via della fibrillazione degli ex Ds, che iniziano a comprendere di essere destinati davvero a restare col cerino in mano. Per questo, come diceva Corrado annunciando la pubblicità, “continuate a seguirci perché non finisce qui”.
    

28 novembre 2012

Teneri montezemoli fioriscono

William Turner "Approdo nella tempesta" 1801
Signore e signori, oggi ci lasciamo trascinare nell'alveo della fantapolitica! Ma non troppo, perché pure nelle fantasie più estreme cova sempre un anticorpo realistico, la traccia flebile e labile di un disegno che merita di essere osservato dal buco della serratura e attraverso quella gigantesca lente d'ingrandimento che è il sottobosco politico faVrianese. La madre di tutte le tele da fare e disfare, il regno della candida e pazientissima Penelope politica sono state le primarie del PD. A Fabriano, con la vittoria di Renzi, qualcosa è cambiato e pare siano parecchi - nel partito democratico - quelli che hanno fatto d'impassibilità virtù senza mascherare fino in fondo un ghigno di malcelata soddisfazione. Militi non troppo ignoti che hanno votato e fatto votare Renzi con lo spirito degli indiani nel canyon. In silenzio. Con quelle campagne discrete e sottotraccia di cui si è capaci solo per fitta e costante frequentazione di sacrestie, oratori e affini. Obiettivo: consegnare un Pd politicamente e numericamente stremato alla vecchia guardia Ds, incaricata di sopravvivere ma senza troppo contare e cantare. Si mormora di avvisi ai naviganti, di pirati rubizzi, di raminghi pronti a issare la bandiera del nuovo laboratorio imprenditorial-laburista montezemoliano. Ma per dare mercato e mercanzie a un logo, seppur trainato dall'icona ferrarista dell'ispiratore, servono tradimenti pensosi, ripensamenti in corsa, adesioni motivate, passaggi di campo rivendicati ed efficaci strumenti di contrattazione politica. Il montezemolismo deve mettere radici in città e in Consiglio Comunale, senza passare per le elezioni, perché ciò significherebbe attendere cinque anni e consumarsi in lunga e snervante attesa. Ma per entrare in Consiglio necessitano adesioni tra gli attuali eletti e quindi defezioni dai gruppi di appartenenza e cinico tradimento del vincolo politico e morale di mandato. Uno è già montezemoliano e non lo dichiara. Ma di certo attende con ansia, tenuta faticosamente a freno, l'evolversi degli eventi. Ne servono altri due, perché se il TAR dà il via libera a Paoletti la maggioranza perde un consigliere e con tre consiglieri si tiene Sagramola per la coda, costringendolo a una continua pratica negoziale e di concessione politica. E questo raggruppamento montezemoliano si collocherebbe in parallelo ai tre dell'UDC, determinando la formazione di un'area di centro - concorrente e convergente al tempo stesso - capace di esercitare una doppia golden share sulla maggioranza e un vero e proprio ricatto cumulativo. Animato da ben sei consiglieri comunali. Non a caso si parla di incontri notturni, di conciliaboli che si protraggono per ore e si concludono nelle ore più piccole, quando l'occhio non vede e il cuore non duole. Conciliaboli intergruppo e aperture a chi dice no ma poi gioca il gioco oppositorio solo come premessa di stagioni "entriste". Consiglieri, forse assessori. Chissà. Ma di certo si profilano secessioni e poi riaggregazioni e circola una vento quasi catalano di scissione. A Barcellona il leader che proclama e reclama autonomismi si chiama Artur Mas. Ed è curiosa l'omonimia con i nativi della nostra congiura. L'unica differenza è che da noi il cognome si fa d'incanto acronimo, transitando rapido da Mas a M.A.S. E, come sempre accade, chi cerca trova, chi trova rivela e chi rivela chiarisce. E ai Bicarbonati piace alquanto rivelare e chiarire. Ragion per cui non finisce qui.
    

27 novembre 2012

La decadenza di una città nell'albero di Natale

Un blog che parla prevalentemente di politica locale dovrebbe martellare senza sosta sulle primarie del PD, sul silenzio - poco innocente - del gruppo dirigente fabrianese, sulle probabili rincorse a mascherare il dato di domenica, regalando nuovi numeri bersaniani per il ballottaggio della prossima settimana. Invece i Bicarbonati si distraggono con gli alberi di Natale, perché la politica è fortemente influenzata anche dall'universo del simbolico che, come ben sappiamo, racchiude mille spiegazioni, cinquanta sfumature di grigio e, già che ci siamo, pure cento colpi di spazzola prima di andare a dormire. Lo dico senza risparmiare fendenti: questo Albero di Natale - oltre a essere di una tristezza unica e a somigliare tragicamente a un'antenna per la telefonia mobile - dimostra che Fabriano sa reagire solo avversando quel buonsenso che suggerisce orgoglio e dignità tirata a lucido proprio quando si è più mesti, feriti e ripiegati. La Fabriano impoverita avrebbe meritato un abete gigante, con tante palle colorate. Un sempreverde carico di luci, un albero gonfio di rabbia sorridente e non un balocco prefabbricato, ripieno di ferraglia e brutto come un culo, un albero precotto come il riso delle mense, senza neanche la soddisfazione palatale di una spruzzata di passata di pomodoro cinese. Guardandolo fa pensare a quegli svogliati che quando iniziano le feste tirano fuori dalla cantina l'albero già montato e le luci già messe giusto perché così vuole la routine di dicembre.  Sul Resto del Carlino di oggi se ne parla, invece, come di una meravigliosa primizia tecnologica, pensata e ripensata per scongiurare il taglio di un abete vero e regalare ai cittadini l'ardimento di un albero inedito e futurista. E sinceramente quando l'ecologia e l'ambientalismo raggiungono tali vette di politico lirismo viene istintivamente voglia di rovesciare un cassonetto di immondizia, subito dopo il passaggio del camioncino di Ancona Ambiente. Già, perché violentare la tradizione invocando il valore del brutto che avanza, significa recidere radici profonde, assai più profonde di quelle di un abete che è sempre possibile ripiantare. Ma ormai la mission della Giunta Sagramola è quella di prendere sistematicamente le distanze dal decennio del laicissimo Sorci che, udite udite, giunse a garantire la casetta di Babbo Natale, l'alberone vero con le palle dipinte dai bambini delle scuole e una pioggia di immangiabili panettoni a marchio Indesit. Tutto frutto di sponsorizzazioni, tutto distante anni luce dalla buona volontà di un'amministrazione civica ma di certo colpisce che il cattolicissimo Sagramola debutti trasformando il simbolo più amato dai bambini in un mix di antenna telefonica e sostegno metallico per abiti di matrone settecentesche. E qui si apre una vera e propria finestra sul mondo perché, come si dice spesso sommando sincerità e retorica, una città ben governata è una città a misura di bambino. Ma nella città del fare e della creatività riconosciuta pure dall'Unesco, gli occhi del bambino non solo non li danno indietro mai ma non contano nulla, la felicità semplice e primordiale degli infanti non merita spazi e riconoscimento. Siamo cresciuti con la certezza che il Natale fosse la festa dei bambini e dei loro sogni e, per questo, facciamo fatica a immaginarli rapiti e sognanti di fronte a un Albero della Cuccagna, allietato da intermittenze artificiali e da una ferraglia fredda e insincera. A questo punto, per completare l'opera e fare strazio di ogni memoria, si potrebbe immaginare un bel Presepe vivente all'ingresso di Palazzo Chiavelli lasciando alla politica - per evidenti affinità elettive e di pensiero - il diritto di scegliere uno e uno solo tra i tanti figuranti: l'asinello.
    

26 novembre 2012

Fabriano: vince Renzi e mo so cazzi!

Quel che penso delle primarie l'ho scritto ieri e non ci ritorno su. Ma mi è piaciuta la definizione che ne ha dato il sociologo Ilvo Diamanti, firma di punta di Repubblica e osservatore non certo ostile al centro sinistra: un reality di successo. Sottoscrivo e condivido. Ma nonostante le personali riserve qualche dato politico locale emerge con una certa nettezza. Per prima cosa nella nostra città le primarie non hanno tirato. Erano un appuntamento con un forte traino nazionale e di coalizione e questo avrebbe dovuto garantire un'affluenza più alta. Invece hanno votato in 1491 contro i 1476 che si recarono ai seggi per scegliere tra Sagramola e la Ruggeri, nelle primarie del solo PD per la scelta del candidato sindaco. Un segnale di crisi nel rapporto tra il centro sinistra locale e la sua base elettorale, che si fa clamoroso osservando i risultati. Vince Renzi con circa il 42% e quasi 3 punti percentuali di distacco su Bersani, ossia sul candidato che aveva il sostegno sottinteso, anche se mai dichiarato, della gran parte del gruppo dirigente locale del partito. Ciò significa che la vittoria di Renzi non modificherà la linea del partito e tanto meno il suo gruppo dirigente, se è vero che il Comitato Renzi locale era espressione di qualche giovane volenteroso ma intimidito e senza ruoli nel partito. Un partito che si appresta ad eleggere un segretario già designato, espressione dei bersaniani, ossia degli sconfitti nelle primarie locali. Una contraddizione kafkiana che accentua la crisi di rappresentanza politica del vecchio ceppo proveniente dai Ds, moltiplicando - in parallelo - gli effetti prodotti dalla mutazione genetica del partito, generata dalla democristianizzazione del centrosinistra. E la vittoria di Renzi è anche uno schiaffo al Modello Marche se è vero che uno dei punti chiavi della linea proposta dal Sindaco di Firenze era quella di non fare accordi con l'Udc, con l'obiettivo di attrarre direttamente sotto l'ala democratica l'elettorato moderato e di centro. Un tempo la politica era fatta di azioni e reazioni e un risultato come questo, come minimo, avrebbe scatenato, all'interno delle forze politiche, una sanguinosa resa dei conti. Ma, come scrivevo ieri, il PD di Fabriano ha scelto di considerare questa tornata di primarie un appuntamento senza valenza politica locale e come una necessità da archiviare rapidamente e senza troppo discutere. Questo risultato cambia radicalmente la scena perché pare che il grande sconfitto sia il bersaniano Giuseppe Mingarelli, l'uomo che aveva ripreso in mano l'organizzazione del partito, che stava lavorando per la segreteria della sodale Graziella Monacelli e che, pare, sia stato tradito proprio in quel seggio del Borgo che era storicamente una sua zona d'influenza e che è diventato, invece, uno snodo cruciale del successo locale di Matteo Renzi. Sagramola, in tutto questo caos, è l'unico che potrà mettere le chiappe in salvo rivendicando il suo silenzio come espressione di sensibilità istituzionale e di chiara distinzione tra ruoli amministrativi e posizioni politiche. Insomma, sarà pure stata una grande festa della democrazia, come dicono i piddini quando vogliono fare commenti general generici, ma a Fabriano si è consumato un rivolgimento politico: Cesare muore, ma per ora Bruto e i congiurati sono figure senza identità e senza volto. Per ora, ma forse non per sempre.
    

25 novembre 2012

Primarie del Pd e dintorni faVrianesi

Le primarie del PD, come quelle che forse farà pure il PDL, non mi accendono alcuna passione comparabile con quella di un piatto di passatelli in brodo. Perchè è l'idea stessa delle primarie a evocare modernismi smunti, americanismi anemici e una frivolezza politica e istituzionale da cui è bene immunizzarsi mantenendo la distanza di sicurezza. Le primarie, tra l'altro, sintetizzano alcuni elementi che denotano il livello di guardia a cui è giunta la prassi politica: l'autodelegittimazione delle elite di partito che, incapaci di risolvere dilemmi di organigramma e di linea, consegnano gli enigmi irrisolti della propria politica agli umori fluttuanti e sempre scalabili della pubblica opinione; la rinuncia alla leadership, intesa come esercizio del potere decisionale di cui si risponde ai cittadini attraverso le elezioni e al partito tramite i congressi; l'illusione di una democrazia diretta che può esistere solo in forme sanguinarie e che è nemica della sola democrazia possibile che è quella rappresentativa. Il mio interesse per le primarie è, quindi, meramente teatrale, da spettatore che si rivolge a uno spettacolo che somiglia a Uomini e Donne, dove cinque tronisti/e si contendono il voto di una massa di sostenitori languidi e invasati. Poi ci sono le primarie in chiave locale. E qui scatta l'anomalia, la curiosa stortura faVrianese, perchè lo scontro tra i cinque candidati non ha trovato interpreti, non ha generato divisioni, non ha rimescolato equilibri. Il PD di Fabriano partecipa, quindi,  alle primarie con animo notarile, pathos burocratico e fare insulso. Senza incidere la pellicola, ma offrendo spazi e logistica per garantire uno svolgimento di cui prendersi per intero l'onore senza pagare dazio alle reali divisioni politiche che il voto comunque consegnerà. Nessuno sa, di conseguenza, se Sagramola voterà Puppato o - vista la recente conversione al francesismo- se sceglierà Francoise Hollande; così come non c'è concittadino che possa scommettere su un Sorci che parla fiorentino piuttosto che emiliano. Ma in entrambi i casi , visto come parla lui, sarebbe comunque un bel sentire. Ma non sapremo neanche se Peppe Mingarelli, il piu' democristiano tra i comunisti, come un Tabucchi di montagna, sostiene Tabacci invece che Pereira; se Alienello per non sbagliare sostiene tutti e cinque, se Pariano per strafare sostiene se stesso e se Balducci per sostenere tutto e il suo contrario approfitterà dell'occasione per far votare una comitiva di turisti slovacchi obbligati a forzata sosta faVrianese per via di un guasto al pullmann quasi rottamato. Stasera, quale che sia il risultato finale nessuno potrà intestarsi niente senza oggettivo abuso e per una volta saranno orfane tanto la vittoria che la sconfitta. Quando il PD scelse attraverso le primarie il segretario nazionale, i dirigenti del partito faVrianese si schierarono tutti con Franceschini e Letta. E i faVrianesi scelsero Bersani. In un partito semiserio quei dirigenti sarebbero stati inviati a dissodare steppe. Invece rimasero tutti serenamente al loro posto. Oggi, con cipiglio da faVrianesi capisciotti che assai poco intendono, molto presumono e qualcosa apprendono, i dirigenti del PD  hanno coralmente deciso di non decidere, così che stasera tutti possano approfittare dell'occasione dichiarando a posteriori il proprio leader di riferimento o aspettando l'esito del ballottaggio per protrarre ancora un po' il cronico attendismo. Ma mi è venuto pure il sospetto che tutto fosse assai piu' facile e lineare: si tace per paura che nascano correnti e che, da stasera, per occupar poltrone, serva pure qualche timida manifestazione di dialettica e di pensiero. Un rischio che i dirigenti faVrianesi non possono permettersi di correre per manifesto difetto di materia prima politica. E quindi, ci scommetto, stasera tutti i commenti saranno ecumenici e papisti: "è stata una grande festa della democrazia". "E' stata una grande prova di vitalità del PD". Le parole di chi ha perso le parole perchè troppe parole non le ha mai pronunciate.
    

23 novembre 2012

Sagramoulin e l'italico chansonnier

Il soggiorno parigino del Sindaco pare sia terminato e Sagramoulin Rouge è tornato alla base marchigiana con una notizia che cambia aspetto e colore a seconda di come la si gira: pare non ci sia ressa per l'accredito presso l'Unesco e, alla fine dell'opera, i concorrenti della faVrianesità sono soltanto due: una città della Repubblica Ceca e una del Giappone. Considerato che nel mondo ci sono circa duecento Stati e che ogni Stato ha le sue innumerevoli e vispe città, una domanda sorge spontanea nel contribuente stolto e ignorante. Ma nel mondo scarseggiano a tal punto le comunità creative? Oppure trattasi di richiesta all'Unesco che, di fatto, su scala planetaria non muove un baffo a nessuno ? Le somme e i consuntivi ognuno se li racconti come preferisce e come meglio crede ma qualche dubbio sul valore dell'accredito circola e circolerà ancora. In compenso il viaggio parigino pare abbia stimolato anche motivi canori e musicali nel delicato e cattolicissimo animo di Sagramoulin de la Galette. Girando per bistrot e per mercatini dalle parti di Batignolles, pare che Sagramoulin si sia fatto prendere dall'atmosfera, dai ritrovi d'artisti e dalle note degli chansonnier. Ma non potendo garantire, per antico decesso, l'ospitata di George Brassens e Charles Trenet,  Sagramoulin ha ripiegato su Gino Paoli perché se proprio dobbiamo rinunciare a portare Parigi tra questi monti tanto vale accontentarsi di Genova, che non sarà così affascinante ma meglio di Ancona e Ascoli Piceno è di sicuro. Ora è bene ricordare e precisare che il valore della musica non ha un prezzo corrispondente e non ha età, ma organizzare un concerto di Gino Paoli significa rivolgersi a una specifica platea, sia dal punto di vista anagrafico che in relazione ai gusti artistici e musicali. Ed è difficile immaginare e scorgere, in siffatta platea, il dinamismo e lo spirito volitivo della "città creativa", l'afflato parigino degli impressionisti e della soupe à l'oignon. Stamattina, da quel che si dice, Sagramoulin Rouge - accompagnato dalla Rouge Patrizià Rouge - annuncerà, urbi et orbi, la venuta del cantante genovese. Non ci si aspetta, ovviamente, cuori infranti, folle oceaniche e accendini oscillanti per il gran concerto. Ma quattro amici al bar Sagramoulin Rouge sarà capaci di di radunarli di sicuro. Anche perché, da quando Jean Charles è diventato Sindaco, questa città non ha più pareti e alberi ma rotatorie si. Rotatorie infinite. Comunque attendiamo l'evento con una certezza che ci rasserena e ci scalda il cuore, perchè dovrà finire prima o poi questa lunga storia d'amore tra il Sindaco e questo piccolo e sfortunato borgo d'entroterra. E allora rien ne va plus, les jeux sont faits.
    

22 novembre 2012

L'Unesco e l'anticultura cittadina

Quando i fabrianesi fanno i cazzuti in giro per il mondo mi diverto da morire e si affollano associazioni tra i miseri orgogli collinari e i dipinti deformanti di Hieronymus Bosch, che non è una marca di elettrodomestici ma un celebre pittore olandese. Già, perché tocca essere fortemente avvezzi alla singolarità e al paradosso per ostinarsi a chiedere all'Unesco il riconoscimento di Fabriano città creativa. Confesso di provare una certa invidia per gli artefici di questa operazione, perché al posto loro non saprei cosa dire e su quali specchi arrampicarmi di fronte a interlocutori che ti chiedono conto di quanta e quale creatività porti in dotazione. Il concetto di città creativa muove, infatti, dal principio che la cultura giochi un ruolo fondamentale nell'evoluzione e nel rinnovamento anche economico delle città. In questo senso la storia di Fabriano è emblematica della forza d'urto dell'anticultura e di come una comunità possa vivere e prosperare senza dedicare uno straccio di attenzione e di risorse a libri, pitture, teatri e palazzi. Il principio fondativo della nostra comunità è sempre stato "battere la mazza", al punto che nello stemma cittadino, per dire, non è rappresentato un San Gerolamo nello studiolo ma un fabbro nell'officina, ossia una metafora identitaria in cui il fare prevale sul contemplare, che è invece la base logica della creatività culturale. Questo trionfo della manualità e della fatica fisica ha delegittimato tutto ciò che potesse essere ricondotto al gusto, all'estetica, alla sensibilità e alla bellezza, ritenute sensibilità e prerogative da originali scansafatiche e da culattoni eccentrici. E quando Sagramola vola a Parigi, per fare il figo davanti all'Unesco, dovrebbe caricare nella stiva dell'aereo anche qualche piccolo e severo monito: una fontana rinascimentale abbandonata e utilizzata come deposito temporaneo di tubi; un ponte medievale attribuito dal Vasari a un genio dell'architettura come Bernardo Rossellino pronto per essere murato da un mix di cemento e fibra di carbonio; la zona della vecchia cinta muraria con il colpo d'occhio violentato dall'ecomostro in vetro e cemento in cui albergano alcuni uffici del Comune; la chiesa di San Benedetto, che puzza tragicamente di muffa e non pare davvero godere di buona salute; la Fontana Sturinalto abbandonata a se stessa dopo il restauro di una ventina d'anni fa e ormai ridotta a spazio di rincorse per bambini rumorosi e vivaci. Ovviamente sono io a essere nel torto, perché dannarsi nel vedere gente che sostiene cause in cui oggettivamente non crede, che riesce a emozionarsi in base agli obiettivi che desidera raggiungere e piange e ride a comando come se fosse tutto uno straordinario palcoscenico, è un limite di approccio e di visione che farei bene a rimproverarmi e a correggere con perizia e dedizione. Perché quel che conta davvero non è essere città creativa ma fingere di esserlo, aprire una sede Unesco, beccare qualche rivolo di denari per ristrutturare palazzi e caseggiati, millantare un credito culturale che scarseggia per compensare il deflusso di oblò e la sparizione dell'homo faber. Insomma la cultura e la creatività come elementi compensativi, drappi sdruciti con cui coprire la vergogna della deindustrializzazione  improvvisa e il trauma della disoccupazione crescente. Fabriano città creativa è come Bologna città della dieta dissociata, Napoli città della disciplina e Venezia città dell'alpeggio. Contraddizioni in termini, ossimori, bestemmie logiche che non sollevano critiche ma, al massimo, qualche ghigno cinico e in fin dei conti divertito. Un modo tra i tanti per opporsi a questa spericolata finzione che trova ogni giorno un altro sbocco, una inedita ragione e un nuovo interprete.
    

21 novembre 2012

Giuseppe Galli: chi l'ha visto?

Forse è il caso di contattare Federica Sciarelli per far arrivare, a Fabriano, una troupe di "Chi l'ha visto?". Certo, non siamo di fronte al delitto di Avetrana ma ci sono sparizioni comunque degne di nota e di attenzione, anche se l'omicidio, ringraziando Iddio, è puramente e metaforicamente politico. C'è un desaparecido in città, un protagonista della politica che è improvvisamente sparito di scena e di cui si sono perse le tracce. Da qualche giorno, infatti, è il Sindaco in persona a interessarsi delle questioni riguardanti il lavoro e, stamattina, è stato direttamente il primo cittadino a informare la città che è stato istituito un info point per l'applicazione dell'Accordo di Programma. Dettagli e annotazioni che fino a qualche tempo fa sarebbero state interpretate e diffuse dalla viva voce dell'assessore al lavoro e alle attività produttive. Il problema è che Giuseppe Galli, dal giorno del Consiglio Comunale aperto sulla crisi industriale, non canta più. Ho scritto giusto ieri di come si sia pesantemente affermata la pax sagramoliana, e la sensazione è che l'assessore Galli sia una delle vittime predestinate del mortale equilibrio edificato dal Sindaco. Circola voce che Galli sia rimasto schiacciato nella tenaglia Sagramola-Tini, che è l'anello forte all'interno dell'amministrazione comunale. Galli non aveva molto tempo a disposizione per costruire un profilo politico autonomo in grado di resistere alle pressioni interne dell'UDC e della compagine di governo locale. Ci ha provato con un misto di coraggio e incoscienza: aprendo sull'anello Sintagma, facendosi carico di rivoluzionare la Mostra Mercato dell'Artigianato, lavorando in prima persona - con un approccio mediatorio ma fortemente interventista - di fronte alla crisi di piccole aziende locali. Fino al pubblico dissenso espresso sull'aumento dell'IMU che, in qualche modo, ha rappresentato una brutale mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco e dell'Assessore alle Finanze. Quanto basta per essere segati a stretto giro di posta, col supporto di una normativa che, costringendo i consiglieri comunali a dimettersi per fare gli assessori, consegna armi e bagagli il destino di molti politici dotati di consenso e capacità a sottostare ai capricci, ai rancori e al potere assoluto di sindaci che, in qualunque momento, possono procedere al ritiro delle deleghe azzerando prospettive e carriere. A Galli, con stile tipicamente sovietico, è stato imposto il silenzio e la rinuncia a qualsiasi presenza pubblica. Non siamo al "raffreddore" tanto amato dai cremlinologi ma poco ci manca. Non risulta ufficializzato  per ora, alcun ritiro delle deleghe da assessore ma di fatto la responsabilità delle attività produttive sembra essere tornata nelle mani centralizzatrici del primo cittadino. Giuseppe Galli, in questi mesi di ribalta politica, ha pokerato sapendo di avere un sabotatore direttamente dentro di lui, un vietcong che prima o poi lo avrebbe messo in braghe di tela: essere volitivo e anagraficamente giovane; avere i capelli neri e l'accento umbro, scandire le parole invece che mangiarsele, sono peccati che prima o poi dovevano essere espiati, in una città avvezza alla buona digestione e alla cattiva coscienza. Galli, oltre alla propria ferrigna volontà, non aveva alleati forti all'esterno e truppe minacciose da utilizzare come massa di manovra. Men che meno il suo partito, l'UDC, che notoriamente non muore mai per Danzica. Tanto meno quando Danzica è qualcuno antropologicamente e politicamente straniero rispetto ai propri canoni e al proprio modo di essere e di agire. Galli, in questo momento, si trova nella condizione peggiore: non è né dentro né fuori; non è stato sfiduciato ma non gode più di fiducia, c'è ancora ma non deve comparire. E' la condizione peggiore per un politico che abbia un po' di cervello e qualche ambizione, perché il sistema, in questo modo, ti consuma a fuoco lento, fin quando non rimane più nulla di quel che poteva essere. C'è un solo modo per liberarsi dalla colla sagramoliana e dalle ragnatele del Modello Marche: sparigliare, far saltare il tavolo come in saloon del vecchio West, denunciando le censure di ritorno, la congiura del silenzio e il buio a mezzogiorno della nuova sovietologia cattocomunista locale. Perché la buona politica non finisce con la Giunta o col Consiglio Comunale, ma si distende pure fuori dal Palazzo, in mille rivoli di pensiero e di azione che attendono solo di trovare un interprete desideroso di lanciare una sfida e di sfruttare un'occasione. A Galli non si chiede di essere un Solženicyn. Ci basterebbe nei panni di Rango, il camaleonte che rinasce a nuova vita dopo essersi ritrovato da solo in mezzo al deserto; un deserto mille volte meglio di una palma finta, un insetto morto e una bambola senza testa, un braccio e le gambe, con cui si era relazionato nell'acquario di casa in cui era recluso.
    

20 novembre 2012

Il deserto e la pace: il capolavoro al contrario di Sagramola

Michelangelo "Lo schiavo che si ridesta"
Giancarlo Sagramola è sempre stato cosciente di una differenza sostanziale. Quella tra essere eletto Sindaco e fare il Sindaco, tra l'entrare in carica ed esercitare la carica, tra l'essere pubblico ufficiale ed essere pubblico decisore. Consapevole di questa profonda linea di demarcazione, sin dal primo istante successivo all'elezione,  ha operato perseguendo il suo obiettivo principale: fare un deserto e chiamarlo pace. Per riuscirci aveva bisogno di limare e smussare gli angoli, di recidere le lingue lunghe degli assessori, di trasformare in peccato politico ogni forma di presenzialismo che non fosse la sua. Ha sopportato le intemperanze moderniste di Galli, le mire futuribili e futuriste di Alianello, l'eccitazione contabile di Tini, il malumore trattenuto a stento di Paglialunga. Così come non ha battuto ciglio di fronte alle intemperanze del 5 Stelle, al fiorito razionalismo di Ottaviani, alla bonomia urbanesca e al picaresco dinnocenziano. Ha saputo sopportare e attendere di tutto e di più, perché il tempo era clamorosamente dalla sua parte, come un alleato allo stesso tempo ingombrante e discreto. In questo esercizio di pazienza Sagramola era confortato e supportato da una convinzione profonda che è anche la mission del suo mandato: durare e resistere, per superare indenne i prossimi durissimi anni e arrivare al dunque in vantaggio per la rielezione, in barba alle talpe democratiche che già lavorano per togliergli di mano lo scettro. La prima parte dell'operazione è indubbiamente riuscita: le luci della ribalta per assessori e maggioranza si sono spente senza strascichi polemici e l'opposizione sembra ridotta al canoro e alla funzione aggregante, ma innocua, dei karaoke e delle beneficenze. E Sagramola, magari senza alcuna intenzionalità, ha fatto di peggio: ha eliminato il confronto politico e la dialettica sui contenuti. Da settimane non si affrontano più temi politicamente rilevanti e non c'è più, sul tappeto, un argomento politico degno di nota e considerazione. La città che si prepara al grande freddo di un'altra ondata di crisi sociale assiste attonita al dibattito sulle catene antineve in macchina e alla giornata di studi dedicata ai 150 anni della Pinacoteca Comunale. Il capolavoro al contrario di Sagramola - che ha ormai steso il grande e misericordioso manto sulla vita della comunità - non ha la grandezza dei Prigioni di Michelangelo, con l'uomo che cerca di sottrarsi ai vincoli di una realtà che avvolge e imprigiona. Il sindaco ha una concezione assolutamente non titanica del potere e sa che il modo migliore per inghiottire ogni forma di pensiero politico è quello circondarlo di pece, di consumarlo a fuoco lento, di mortificarne le fiamme avvolgendole in una cappa di ascolto, di silenzio e di consenso. C'è un aneddoto che racconta questa snervante sottrazione di energie intellettuali meglio di mille teorie. Durante l'ultimo Consiglio Comunale Sagramola ha accolto l'ordine del giorno dei grillini sulla ripubblicizzazione dell'acqua, ben sapendo che è il primo a credere al ruolo e alla funzione della Multiservizi e, quindi, alle sue richieste di ricapitalizzazione. Il 23 maggio su questo blog rispondeva così a una mia domanda su cosa avrebbe scelto tra rivedere le quote societarie di partecipazione, battersi per sgravi sulle bollette delle popolazioni montane o uscire dalla Multiservizi: "Punto a migliorare i servizi perché l'acqua è un bene di tutti. Noi ci salviamo con l'acqua che viene da Nocera. Multiservizi ha migliorato la gestione dell'acqua ma si può ancora migliorare." Ossia che tutto sarebbe rimasto esattamente come prima. Ma con la posizione in Consiglio ha fottuto l'opposizione costringendola al plauso e togliendole non solo un'arma mediatica ma il senso stesso di una mobilitazione capace di riportare sulla scena un vero tema politico e non una catena antineve, ormai assurta al ruolo di spartiacque tra buona e cattiva politica. L'incubo è cominciato. Andate in pace. Amen
    

19 novembre 2012

Il teatro della verità

Come era prevedibile e certo attorno all'Accordo di Programma è subito cominciata una rappresentazione fantasiosa, una pièce teatrale di evidente stampo pirandelliano. Sagramola, preoccupato dalla possibilità di restare schiacciato dall'onda d'urto spacchiana, ha deciso di giocare d'anticipo, indossando gli abiti dell'attore protagonista. Senza riservarsi un solo istante di ponderata riflessione, il Sindaco è scattato come un velocista alle prese con una gara senza rivincita. I soldi dell'Accordo sono una miseria, le bocche aperte una marea e pochi gli spiccioli per ciascuna delle bocche comunali aperte nella marca anconetana. Meglio muovere le chiappe in anticipo, quindi, perché chi si avvia per tempo mangia quando è ora. Tutto edificante e bello se fosse anche minimamente vero. Infatti, il dato certo è che nessuno immagina l'Accordo di Programma come sorgente d'impresa e levatrice di inediti profili imprenditoriali. Trattasi di verità impronunciabile che se trovasse dimensione reale e parole limpide si porterebbe dietro effetti di guerra civile. E quindi la Ragion di Stato prevede, per la nostra gente, una menzogna sempre più articolata e arzigogolata, popolata di sindaci che, a parole, si dedicano alla maieutica, stimolando la nascita di nuove, impossibili, creature imprenditoriali. Sagramola si è subito immedesimato nel ruolo di animatore, lanciando un accorato appello alle banche. Il ragionamento del Sindaco Catalizzatore è semplice: ci sono risorse economiche, volontà politica, entusiasmo amministrativo ed embrioni d'impresa. Adesso, care banche, tocca a voi! Premesso che le banche non stanno simpatiche a nessuno va detto che, ultimamente, costituiscono pure uno straordinario alibi per tutti ed è davvero facile fare il gioco del cerino e lasciarle col fiammifero in mano. Ma stavolta il rinomato cinismo del credito può fornire una sponda alla verità come già accadde col ricorso sui crediti annullati dall'operazione Gei Pi. Infatti il sistema bancario non caccerà un quattrino per sostenere la menzogna dell'Accordo di Programma, perchè non è possibile, per gli istituti di credito, finanziare qualcosa che non c'è e che non ci sarà. E gli osservatori, come sempre, si divideranno in due fazioni: da un lato i santi bevitori, che punteranno il dito accusando le banche di boicottare le magnifiche sorti e progressive delineate dal blocco politico sindacale spacchiano; dall'altro gli apoti, quelli che non la bevono, che ringrazieranno gli istituti di credito per aver acceso la luce in sala mentre la recita sul palcoscenico cominciava a replicarsi all'infinito. Personalmente mi iscriverò alla fazione degli apoti filobancari. Non per amore di filiali, sportelli e giroconti ma perché sulla questione Ardo e sull'Accordo di Programma si è realizzato uno sfregio quasi sovietico di verità. Chi continua a credere che ci sia qualcosa oltre il deserto di un distretto distrutto somiglia a quei comunisti che partivano per la Russia per andare a vedere il socialismo, rimanevano di merda quando se lo trovavano davanti, ma tornando a casa raccontavano a tutti che bisognava fare come in Russia. E' quel che sta accadendo ora: sono tutti consapevoli della finzione in corso ma nessuno dice che il Re è nudo. Rimandare è un po' morire. Fino alla prossima puntata.
    

17 novembre 2012

Sim Spacca Bim!

Un cassintegrato Ardo è finito nell'inchiesta sulla rete neonazista Stormfront. E questa è già una grossa novità perchè mai avremmo immaginato un fabrianese coinvolto, addirittura, nelle azioni dell'ultradestra. Di solito, dalle nostre parti, il disagio viene elaborato con una bella sbraciolata e un bicchiero de vino del contadì. Quindi sorprende assai immaginare croci celtiche, svastiche e ritratti dell'imbianchino austriaco come modo di esprimere e sublimare la crisi. Probabilmente si tratta di un caso isolato, ma potrebbe anche essere la spia di un'infezione più vasta. Perchè è facile, in un contesto dove si continua ad attingere a piene mani alla menzogna, che le persone più provate ricorrano alla scorciatoia ideologica. Se uno è incazzato magari vota per Grillo, ma quando ci si approssima alla disperazione può succedere che si passi alle intossicazioni pesanti del Reich millenario e dell'antisemitismo. Quindi su questo tema sarebbe intelligente non ridurre il tutto allo stupore della cronaca spicciola ma cominciare a interrogarsi su quali effetti possa produrre una crisi economica e sociale vissuta in totale solitudine e senza la mediazione di un qualche soggetto capace di orientare e portare a sintesi i problemi delle persone. In questo senso spero che Sagramola dia più peso a questo caso che non a quello del disoccupato col proiettile recidivo. Ma, in proposito, nutro qualche dubbio. Anche perchè ieri il Sindaco era in prima fila all'Info Day sull'Accordo di Programma Ardo - tenutosi ad Ancona invece che a Fabriano come sarebbe stato naturale - e non ci risulta che abbia ricordato ai presenti che la crisi Ardo è la crisi di Fabriano e del versante umbro e non di 56 comuni che possono accedere in modo paritario e lineare alle risorse dell'Accordo. Certo è che ieri è stato il giorno del trionfo di Gianmario Spacca, tornato improvvisamente il Goldfinger della politica marchigiana. E' stato il suo giorno perchè, ancora una volta, è riuscito a far passare il messaggio che i soldi li ha messi lui e non lo Stato italiano e che tutto nasca dalla sua ferrea volontà e non, invece, dall'esigenza del Governo di evitare che le crisi territoriali esplodano nel pieno dell'azione di stabilizzazione forzata dei conti pubblici. E la capacità mediatica di Spacca merita un plauso aggiuntivo, perchè è riuscito a dare l'impressione che la moltiplicazione dei pani e dei pesci non sia solo un miracolo evangelico ma pure una concreta realtà marchigiana. I 35 milioni di euro dell'Accordo di Programma, infatti, sono quelli della primavera del 2010 quando - poco prima delle elezioni regionali - venne sottoscritto l'Accordo di Programma, presso la Prefettura di Ancona, con la firma dell'allora ministro Claudio Scajola. Risorse che non erano state investite, in quanto si attendeva la rimodulazione dell'Accordo, ossia la ridefinizione delle regole per utilizzarle. A che serve quindi tutta questa grancassa mediatica quando stiamo parlando di risorse che risalgono al 2010? Utilizziamo due volte gli stessi denari, per prendere per il naso l'elettore intontolito? Proviamo a tenere buono il territorio per qualche altra settimana, facendo vedere che si è fatto il possibile? Un cosa è certa, al di là delle domande e delle risposte: il Governatore non è solo un Goldfinger ma, da ieri, anche un Mago Silvan: Sim Spacca Bim!
    

16 novembre 2012

Info Day....my Day!!!

Stamattina Info Day sull'Accordo di Programma Ardo. Soprassediamo, per non farci il sangue amaro, su questa attrazione fatale per gli anglismi, che sono capaci di restituire una sensazione di mezza festa anche quando ti guardi attorno e c'è solo la luce fioca delle lampade votive. Non è, invece, il caso di soprassedere sulla scelta del luogo. Il buonsenso lasciava presumere che fosse Fabriano la sede prescelta per l'incontro. Per ragioni come minimo elementari: sede produttiva e direzionale della Antonio Merloni e prima vittima sacrificale della sua crisi. Invece il fabrianese Spacca, per questa giornata di indottrinamento sugli usi e i consumi delle risorse messe a disposizione dall'Accordo di programma, ha scelto Ancona. Non se ne comprende il motivo ma a volte la convenienza politica ha ragioni insondabili che la ragione non conosce. Certo è che Fabriano ne esce malissimo. Cornuta e mazziata. Epicentro della crisi, ma inserita tra i 56 comuni coinvolti nell'Accordo, come se fosse uno dei tanti territori appena lambiti dal baratro degli elettrodomestici merloniani. Invece ieri a Fabriano si è svolta l'assemblea degli ex lavoratori Ardo non riassunti nell'operazione Porcarelli. Hanno partecipato circa 300 dei 1300 lavoratori esclusi, al cospetto dei responsabili nazionali del comparto elettrodomestici di Cgil, Cisl e Uil. Per loro si profila un altro anno di cassa integrazione - ma ordinaria - e quindi la mobilità, con durata scaglionata a seconda dell'età del lavoratore. E' un capitolo triste che si avvia alla conclusione e che si porta dieto una beffa aggiuntiva di cui nessuno ha parlato: siccome gli esclusi sono rimasti formalmente dipendenti dell'Antonio Merloni non hanno potuto riscattare nemmeno il trattamento di fine rapporto, che è rimasto congelato nelle scatole cinesi del diritto socitario. Diversamente dai colleghi migrati nella JP Industries che, cambiando società, hanno pututo incassare il TFR. Della serie: non vieni riassunto e per questo non becchi manco la liquidazione, perchè questo Paese quando deve farti il culo te lo fa per bene e con tutti gli onori possibili. A partire dall'anno prossimo quel che resta della Antonio Merloni verrà messo in liquidazione e solo da quel momento, per gli esclusi, sarà possibile vantare i propri crediti nei confronti della società. Se va bene non avranno la liquidazione prima del 2015, quando averla oggi sarebbe servito davvero per dare ai cassintegrati esclusi, e alle loro famiglie, un polmone finanziario con cui affrontare una situazione sempre più difficile per tutti. Un altro capitolo di questa lunga guerra tra poveri.
    

15 novembre 2012

FaVriano città greca e l'apologo dei batteri

Qualche giorno fa, in treno, ho incontrato un medico fabrianese. Abbiamo parlato di sanità, società e futuro. Il tutto in pochi minuti. Con punte apocalittiche e qualche risata. Tra le molte cose che abbiamo rapidamente affastellato mi è rimasto appeso in testa l'apologo dei batteri, che provo a raccontare chiedendo sin d'ora venia, all'amico medico e ai lettori, per le eventuali reinterpretazioni a cazzo di cane. Pare esistano tre tipi di batteri: un primo genere è sostanzialmente predisposto allo scambio. Trae sostanze e benefici dall'organismo in cui è ospitato e a sua volta restituisce risorse all'ospitante. E' quindi un microrganismo "contribuente", che punta al patto sociale e alla convivenza pacifica. C'è poi una seconda tipologia e cioè i batteri che, senza nulla dare, si limitano a sottrarre sostanze all'organismo che, però, riesce a recuperarle agendo altrove in forma compensativa. E in questo caso siamo ai batteri "assistenzalisti", che fanno leva sul welfare dell'ospitante. La terza tipologia è la peggiore e sono i batteri parassiti che sottraggono sostanze e se ne fregano di qualunque razionalità e sopravvivenza perchè il solo scopo che hanno è proseguire nel saccheggio finchè l'organismo gli consente di saccheggiare. Quando l'organismo schiatta, schiatta pure il batterio e buonanotte ai suonatori. Trattasi dei batteri parassiti, di cui ciuscuno di noi può riscontrare ampie casistiche e diffusissime personalizzazioni. Mi è ritornata in mente questa conversazione con l'amico medico leggendo il Resto del Carlino di oggi, dove si apprende che la Caritas, attualmente, sostiene circa 5000 cittadini. Si badi bene: si parla espressamente di cittadini intesi come persone fisiche e non come nucleo familiare, perchè il regolamento della Caritas prevede sia aiutata una persona per ogni nucleo familiare. Il che significa - come giustamente segnala il quotidiano - che sono coinvolte circa 15.000 persone reali. Si tratta di dati letteralmente agghiaccianti. Sia perchè descrivono una realtà in espansione, sia perchè da essi emerge che non regge più la spiegazione classica e rassicurante di aiuti unicamente destinati a famiglie di stranieri. Fabriano sta diventando, a tutti gli effetti, una città greca in territorio italiano, dove la differenza è che non si balla il sirtaki, non è troppo gradita la feta, manca il coraggio antico di Sparta e la rabbia attuale di Atene. Nel nostro piccolo pedemontano siamo economicamente sull'orlo di una guerra civile. E la politica dove sta? Che cosa dicono i decisori istituzionali? Quali dilemmi assalgono quel che resta della classe dirigente? Quali azioni emergenziali si ritiene di mettere in atto per salvare la coesione sociale ed evitare infiltrazioni criminali? La risposta è in alcuni punti dell'ordine del giorno del Consiglio Comunale di oggi. Li riporto perchè contengono uno scampolo di futuro e la spiegazione più concreta del perchè Erode stia regalando a Salomè la testa del Battista: "Interpellanza sulla carenza di segnaletica turistica nella nostra città con particolare riferimento alle indicazioni per l’area di sosta camper"; "Interpellanza sullo stato di fatiscenza della recinzione del laghetto artificiale che si trova nei giardini pubblici ex terreno scuola agraria"; "Interpellanza sul posizionamento di n. 1 cartello turistico itinerari turistici delle "Pievi, Abbazie e Monasteri"; "Interpellanza circa il mancato rifacimento della segnaletica orizzontale in alcune vie della città"; "Interpellanza circa la situazione di pericolo di un muro della Piazzetta di Nebbiano". C'è davvero poco da aggiungere. Dum Romae consolitur, Saguntum expugnatur.
    

14 novembre 2012

Il noioso derby dello scoperchiamento

Fabriano, oltre alla sfiga geografica è pure vittima della sfiga metereologica. C'è un vecchio detto che recita: "Fabriano è la città dello sconforto: piove, tira il vento e suona morto". Questa saggezza popolare ha qualcosa di assai inquietante ma è difficile derubricare il tutto a pregiudizio e sostenere disinvoltamente il contrario. Per una volta, però, avevamo l'occasione di non lamentarci troppo e di non fare del vittimismo scontato perché in questi giorni, in quanto a pioggia, danni, vento e affini, abbiamo visto di molto peggio in zone non troppo distanti da noi. Invece stamattina i giornali aprono con resoconti comprensoriali quasi apocalittici: pioggia in stile biblico, tombini intasati dalla melma, alberi divelti dalle folate che bloccano le strade e, immancabile come il rintocco della mezzanotte, l'occhio attento e vigile del Sindaco, che presidia tutti i punti critici e previene i danni con lo spirito eccelso del boyscout in camiciotto e pantaloncini. Speriamo che tanto zelo non degeneri e che fra poco non ci raccontino che nel suo ufficio di primo cittadino c'è sempre la luce accesa, perché proveremmo un sicuro e doloroso spasimo da comparazione. Alla fine si potrebbe chiudere il discorso inquadrando il tutto in una classica sindrome da dilatazione della realtà. E farci sopra due risate, a metà tra il divertente e l'impietosito. Però, con naturale malizia, non si può non evocare pure una potenziale connessione tra maltempo e scopertura del Giano. Per i sostenitori della tombatura del fiume le esondazioni di questi giorni sono una gigantesca botta di culo, perché consentiranno di indorare ulteriormente lo slogan "prima di tutto la sicurezza", che è diventato il mantra reiterato e retorico di questa amministrazione comunale e di tutto il fronte dei contrari. Un po' di apocalisse sulle piogge di questi giorni in città era quel che ci voleva per rafforzare gli allarmi e rinverdire le posizioni di chi sconsiglia il cielo aperto del fiume. Personalmente mi è sempre piaciuta l'idea del fiume che non s'inabissa, del parco fluviale, del corso d'acqua che ritorna amico della città e dei cittadini. Ma siccome le idee camminano con le gambe degli uomini mi sento di dire che pure nel fronte degli "aperturisti" intravedo ombre che spingono alla diserzione e all'indifferenza: nuovi pretoriani dell'ideale, ambientalisti un tanto al chilo, cultori inattesi del buono e del bello. Con il paradosso finale che, come l'omino di Altan, comincio ad avere opinioni che non condivido, perché la partita tra chi vuole scoperchiare il Giano e chi vuole tenerlo rinserrato e chiuso comincia a somigliare più a un derby tra fazioni che a un confronto tra diversi approcci d'ambiente e d'urbanistica. E allora siano pioggia e apocalisse: "Piove sui nuovi epistemi  del primate a due piedi, sull’uomo indiato, sul cielo ominizzato, sul ceffo dei teologi in tuta o paludati, piove sul progresso della contestazione, piove sui work in regress, piove sui cipressi malati del cimitero, sgocciola sulla pubblica opinione." (E.Montale)
    

13 novembre 2012

I dilemmi del giovane Emanuele

Emanuele Rossi ha dovuto spingere il piede sull'acceleratore per smentire le voci, rilanciate in pompa magna dal Messaggero di ieri, di una sua possibile cooptazione nella maggioranza che governa Fabriano. Un intervento così netto e deciso significa, sostanzialmente, due cose: la prima è che, negli ambienti politici locali, si dà per certo l'esito favorevole a Paoletti nel ricorso al TAR sull'attribuzione dei seggi in Consiglio Comunale, che priverebbe di un consigliere la maggioranza. E forse non è un caso che un prudentissimo attendista come il Sindaco Sagramola si sia subito messo in moto per animare un'azione compensativa sul SEL, onde evitare che, a partire da Natale, sia San Donato la vera Betlemme del potere locale; la seconda è che qualcuno ritiene politicamente plausibile un cedimento strutturale di Rossi di fronte al canto dei sirenoni di maggioranza. La risposta di Rossi è stata tranciante. Di quelle che tagliano i ponti dietro le spalle e cancellano ogni ripensamento. Il consigliere del SEL, infatti, non si è limitato a declinare gentilmente l'invito, lasciando comunque socchiuso l'uscio sul futuro, ma ha argomentato il niet con una escalation di concetti secchi e definitivi: mai col Modello Marche e mai con l'UDC. Neanche se Vendola e Casini decidessero di fare coalizione assieme a livello nazionale. Perché, nel caso, Rossi restituirebbe di corsa la tessera del partito vendoliano. L'impressione è che questa rottura restringa i margini di azione e lo spazio politico di Rossi che, con ogni probabilità, ha parlato più di emozione che di ragione. Ma quel che colpisce è anche la strizza politica del centrosinistra che pur di convincere Rossi, è ben disposto a bypassare alcune posizioni dell'esponente del SEL. Non da ultimo la proposta di istituire il Registro delle Unioni Civili. Una proposta totalmente incompatibile con la sinistra di governo, contro cui si schiererà la maggioranza e anche una quota rilevante di opposizione. Una convergenza bipartisan dettata dall'imperativo assoluto di non inimicarsi la Curia e certi ambienti cattolici ricchi di voti e preferenze. Il che prefigura un ulteriore isolamento politico e culturale di Rossi: verso la maggioranza ma anche all'interno dei confini dell'opposizione. certo è che fare opposizione in solitudine è difficile, specie se l'asse politico della minoranza comincia clamorosamente a propendere in direzione di un civismo in cui è marginale il ruolo e il peso delle questioni sociali, ovvero tutto il pane e il companatico della sinistra radicale. E in questo quadro Rossi farà fatica, ammesso che lo voglia, a trovare sponde nella Lista Urbani e nel Pdl, che - oltre alla siderale lontananza politica - in questo momento sono in tutt'altre faccende affaccendati. Il problema politico del SEL è dunque quasi di ordine dantesco, e concerne il come si sopravviva al limbo, e quale politica sia possibile immaginare quando si è tra color che son sospesi. Non è quindi da escludere che Rossi, dopo la sfuriata di oggi, decida di andare a vedere le carte del centrosinistra e, magari, di guardare con occhi più disponibili anche una lisca di pesce come l'assessorato alle politiche giovanili. Che non sarò molto ma è sempre meglio di una minoranza che si dedica al karaoke.
    

12 novembre 2012

I canti, i balli e la politica

Il TAR delle Marche ha posticipato la decisione sul ricorso presentato da Renato Paoletti. Un mese di meditazione in più prima di avere un pronunciamento ufficiale sull'attribuzione dei seggi in Consiglio Comunale. Un altro mese prima di conoscere chi va e chi viene, se sarà rimpiazzo o conferma tra Paoletti e Bonafoni. Con quest'ultimo risucchiato da un iperattivismo antijella che lo fa oscillare paurosamente tra un parere vincolante sull'utilizzo della Pinacoteca il successo torinese del Salame di Fabriano di cui Bonafoni è stato ambasciatore, oltre che Vicepresidente di un Consorzio a cui la sua coalizione ha destinato, per l'anno che viene, zero euri tondi tondi. Ma per fortuna la dialettica politica novembrina non è ridotta al gioco a somma zero tra Bonafoni e Paoletti, perchè c'è un pezzo di opposizione che ha trovato il modo per attirare curiosità e attenzione. Con un gesto impolitico. Anzi prepolitico. Di quelli che mettono al riparo da critiche e contestazioni. Venerdì prossimo venturo cena in amicizia e serata canora di raccolta fondi per opere sociali. Promotori: Polo 3.0 e Movimento 5 Stelle. Considerate le passioni e i precedenti l'iniziativa porta tutta intera l'impronta dermatologica di Marco Ottaviani che, se non ricordo male, già in passato architettò un'iniziativa canora in collaborazione con Urbani e si esibì in una chiusa sanremese con il figlio di Ivan Graziani durante l'ultima campagna elettorale. E visto che Urbani e il Pdl vivono un travaglio politico di cui non sono chiari gli esiti il Monaco ha preferito riversare attenzioni su chi ha il vento in poppa, ossia il movimento grillin grillesco. Certo, non siamo di fronte a un'azione politica tradizionale, ma vista l'incipiente mummificazione della minoranza è vero che quattro canzoni in compagnia possono catalizzare meglio di un seminario di studi. E dietro al fumo delle penne alla boscaiola, del karaoke trasversale e della raccolta fondi per azioni di buon cuore si staglia nitido il disegno politico: aggregare il Polo 3.0 al Cinque Stelle per dare vita a un rassemblement civico che potrebbe attestarsi attorno a un 30% di voti, la soglia numerica necessaria e forse sufficiente per andare al ballottaggio e magari giocarsi la vittoria al prossimo giro. L'idea è interessante ma per funzionare deve trovare forma elettorale in fretta. Visto che si vota per le comunali tra quasi cinque anni serve una combinazione di fattori che ha del miracoloso. Innanzitutto che il TAR dia ragione a Paoletti, per togliere un seggio alla maggioranza e che qualcuno si decida a presentare il fantomatico ricorso sull'ineleggibilità di Tini, che forse è sparito dalla circolazione per evitare l'innesco di nuove e imprevedibili reazioni chimico politiche. A quel punto - se vince Paoletti e salta Tini - l'effetto domino sarebbe inarrestabile e potrebbero verificarsi anche interessanti tradimenti all'interno della maggioranza, dove covano ambizioni e disegni meritevoli di curioso monitoraggio e approfondita indagine. Altrimenti a Ottaviani e Arcioni toccherà cantare e portare la croce per altri cinque anni, con il rischio concreto di fumarsi le corde vocali, mentre Sagramola se la spassa a colpi di tamburo e cha cha cha. A meno che l'intendimento sia d'altro genere, ossia delineare uno schema informale di alleanza per le regionali. Staremo a vedere. Pardon, a cantare.
    

11 novembre 2012

Il caso Fabriano: Janus Valley o Città della Flatulenza?

Mi è capitato più di una volta di scrivere che il problema di Fabriano non è la globalizzazione economica ma il fatto che la città abbia vissuto sotto una cupola di protezionismo economico fondato sulla mutazione genetica dei due soggetti della modernità: la borghesia e la classe operaia. La borghesia fabrianese - che avrebbe dovuto produrre idee e trasformazione - ha abdicato alla sua responsabilità storica, vivendo a ridosso della grande impresa più come una "nobiltà assenteista" che come protagonista del cambiamento. La classe operaia, d'altro canto, è esistita solo in termini nominali perchè, nel concreto, era una sommatoria di individualità rurali, di mezzadri e coltivatori diretti che hanno vissuto la fabbrica come occasione aggiuntiva ma senza mettere in discussione la centralità culturale e relazionale della campagna. Con questi chiari di luna - e mi scuso se continuo a pensare che certe categorie marxiste abbiano ancora una loro adeguatezza descrittiva - è del tutto naturale che la città viva una profonda crisi di identità e che sia tutto un rincorrersi di ipotesi, di iniziative e di suggestioni sul futuro. Un caos che somiglia ai movimenti di un moscone rinchiuso in una stanza, che sbatte a destra e a manca prima di trovare il pertugio da cui uscire e far ritorno a qualche amatissima deiezione. Fuor di metafora le ipotesi di nuovo sviluppo economico cittadino somigliano assai al volo disordinato del moscone: per il contatto diretto con l'inverosimile e la totale assenza di un sistema d'orientamento condiviso. Il problema di chi racconta quel che accade è che nulla si può obiettare alla "prassi del moscone" senza essere accusati di disfattismo, pessimismo e sabotaggio, come disertori in fuga dalle trincee del Piave. Ieri mattina, tanto per dire, si è tenuto un convegno del Rotary Club di Fabriano, ossia di uno dei due club della borghesia locale, sul fare impresa in città, di cui oggi i giornali offrono un ampio resoconto. Il professor Gregori dell'Università di Ancona ha inquadrato un concetto fondamentale, che credo verrà omertosamente rimosso e occultato dai tanti mosconi locali, e cioè che quando la manifattura emigra lo fa in modo irreversibile e non torna più nel paese di origine. Ciò significa che è necessario dire la verità ai faVrianesi, emancipandoli da quel paternalismo delle idee che è stato il dirimpettaio logico del paternalismo del lavoro. E la verità è che Fabriano deve archiviare le sue nostalgie produttive e quell'appendice del sogno industriale che è l'illusione di inattesi insediamenti produttivi provenienti dalla filantropia di qualche imprenditore non nativo. Il problema cruciale è che vecchio è morto ma il nuovo stenta clamorosamente a nascere. Archiviata la lunga parentesi dell'industria e dello sviluppo senza fratture, occorrerebbe riflettere sulle forme di una nuova economia, che dovrebbe avere una caratteristica di fondo e cioè l'essere quantitativamente in grado di riassorbire gli esuberi di manodopera. Ma siccome l'alternativa all'industria risiede solo nel terziario va sinceramente rimarcato che Fabriano non possiede competenze "soft" adatte alla transizione  ma soltanto abilità di manifattura industriale a basso tasso di valore aggiunto. Morale della favola: bisognerebbe importare competenze dall'esterno per trasferirle ai fabrianesi e dotarli di nuova autonomia economica. Ma si tratta di un investimento molto oneroso anche perchè uno dei problemi congeniti di Fabriano è che non essendo luogo attrattivo e privo di life quality, costringerebbe a caricare un onere aggiuntivo sull'eventuale importazione di competenze. E come scrisse tempo fa l'economista Giacomo Vaciago, ciò che non attira non trattiene. Sono considerazioni fondate o disfattiste? Purtroppo temo che la risposta non sia la seconda. E la fondatezza delle ipotesi trova conferme importanti ripercorrendo alcune tappe della grande illusione. La prima avventura "futurista" fu la Mostra del Gentile. Un evento eccezionale ma non troppo, che spinse imprudentemente molti a parlare di Fabriano come città d'arte, come centro capace di diventare luogo turistico e meta di pellegrinaggi artistici. Ma purtroppo la città Gentile, gentil non fu. Al punto che proprio in questi giorni si ragiona sulla debacle dei numeri della Pinacoteca Civica. Poi fu la volta di Poiesis e della città del fare. Dire, fare, baciare, lettera e testamento. Col testamento in pole position, visto che trattasi di formula che funziona tre giorni l'anno attraverso un format esportabile, che non lascia tracce evidenti nell'economia di medio periodo della città e che si limita al massimo a lubrificare, giusto per qualche ora, le casse di pizzaroli, gelatai e ristoratori. Poi è stata la volta dell'Unesco, con il riconoscimento di Fabriano come città creativa ma anche il gatto sa che queste sono marchette allo stato primordiale e cristallno perchè sfido chiunque a sostenere cosa ci sia di creativo in una città monoprodotto, monocultura e monocerebro. E da ultimo il convegno del Rotary di ieri, dove si giunti a ipotizzare, evocando il caso Pordenone, di Janus Valley, ossia di una Fabriano che risorge e rinasce attraverso un utilizzo strategico e lungimirante del sapere tecnologico (che la città non possiede). Ed è per questo che attendiamo con ansia crescente l'arrivo di un nuovo profeta, di un inedito futurista che ci racconti di un'altra Fabriano ancora, di una ridente città del Peto Mentale in cui grandi opportunità deriveranno dallo sfruttamento energetico della flatulenza cerebrale. Prodotto rispetto al quale la città sa esprimere livelli ineguagliabili di profondità ed eccellenza.
    

9 novembre 2012

Caso Gei Pi: il sindacato in ginocchio

E' evidente che ci piace pensare easy e vincere facile. Ci emoziona azzeccare previsioni e immaginare fatti e reazioni. Col fare da profeti a basso costo e da santoni di provincia. Stamattina la stampa ci aiuta nella missione promuovendo un sentore zuccherino attorno ai soggetti coinvolti nelle ultimissime vicende Ardo. Come previsto l'incontro tra Gei Pi e sindacati, svoltosi ieri mattina, ha confermato amorosi sensi - bilaterali e reticenti - che, diversamente da quel che pensa il giubilante Sindaco, non porteranno nulla di nuovo alla citta' e al territorio. Sembrava dovesse diluviare ed era soltanto canicola agostana travestita d'autunno. Per sincerarsene e' sufficiente misurare la durata del faccia  a faccia. L'incontro e' durato due ore e mezza e chi se ne intende di negoziazioni sindacali sa bene che due ore e mezza`sono il tempo necessario a una stretta di mano senza ombra di dissensi e di problemi veri. Perche' nel caso si tratta per giorni e si usa la notte come momento nevralgico per provocare cedimenti contrattuali nella controparte e risolvere le questioni piu' spinose. Altro che convocazioni a mezza mattina! Quindi, deduttivamente, occorre essere coscienti che non sussistevano disaccordi di sorta e che il patto JP - sindacati confederali, di conseguenza, non ha subito alcuna erosione per via della vendita di alcuni macchinari da parte dell'azienda. A conferma degli amorosi sensi tra le parti vale la pena meditare sui contenuti del verbale divulgati dalla stampa. Un verbale in cui il sindacato prende atto della versione ufficiale dell'azienda sulle motivazioni di vendita; che accetta future cessioni di macchinari non funzionali previa consultazione del sindacato e condivisione della scelta; che plaude a una generica conferma della dimensione degli investimenti da realizzare e, udite udite, che afferma con orgoglio di aver ottenuto l'utilizzo aziendale del ricavato della vendita dei macchinari, come se si trattasse di una felice anomalia e non invece di una regola aurea della gestione d'impresa. Non ci sono invece tracce significative degli elementi che danno sostanza e qualita' a un accordo sindacale. Mancano, ad esempio, specifiche clausole di esigibilita' che, alla fine, sono quelle che evitano che quanto accaduto si ripeta di nuovo. Cosi' come sono assenti i criteri con i quali il sindacato intende valutare, in futuro, la non funzionalita' di altri macchinari eventualmente dismessi e venduti e acconsetire allaloro vendita. Insomma, alla fine dell'opera Gei Pi continuera' coerentemente a fare quel che gli osservatori piu' avveduti hanno capito da tempo e il sindacato a fare il contrario di quel che i lavoratori si aspettano. Ben ci sta. Tutti compresi. Nessuno escluso.

ps: ho dovuto sostituire gli accenti con gli apostrofi per necessita' e non per refuso reiterato

    

8 novembre 2012

Crisi Ardo: teatri e teatrini

I quotidiani di oggi, aggiungendo curiosità a sorpresa, raccontano di quel che sta accadendo ai cancelli Ardo, a seguito della vendita silente di alcuni macchinari da parte di J&P Industries. Non essendo avvezzi al conflitto sociale accade che quando la protesta operaia oltrepassa il limite naturale del mormorìo, tendiamo a reagire con lo stesso stupore del passante che si trovi innanzi a un uomo adulto, nudo e con una borsa a tracolla, alla fermata dell'autobus. Gli operai fabrianesi che bloccano i Tir, senza saperlo producono un ossimoro, raffigurano una pennellata inedita, offrono la prova cromatica di una fiammata sostanzialmente estranea all'humus delle nostre genti. Ed  è proprio in questa estraneità che risiede il fascinoso colpo d'occhio di una classe operaia altrimenti rinchiusa nel perimetro stretto della sua identità collaborativa e sovente collaborazionista. Ma come sempre accade l'emozione dura poco e alla tavolozza impressionista subentrano forme estetiche e politiche che costringono il "verosimile" immaginato a farsi rimpiazzare da un "vero" ripulito d'ogni romanticismo sociale. Non si vogliono sminuire i ruoli e le funzioni di nessuno ma il sopraggiungere, ai cancelli Ardo, di Sagramola e di qualche assessore - per interloquire con le parti, calmare gli animi, farsi garanti e fare i fighi socialmente sensibili al cospetto della stampa - credo abbiano dato alla piccola lotta operaia un non so che di teatrale e di rurale. Un palcoscenico in cui tutti recitano una parte. E la recita è sempre la condizione di clima necessaria per siglare accordi fittizi. Recitano gli operai che, con fare fiabesco, si svegliano dal sonno e scoprono d'essere stati presi per il naso. Recita il Sindaco che, con sprezzo d'ogni logica e un contorsionismo da Circo Togni, va a dire che la protesta dà forza al Piano industriale JP in cui lui è il primo a credere. Recita il sindacato che s'indigna per non essere stato avvisato, senza riconoscere di contare quanto il due di coppe quando è briscola bastoni. Non per malizia altrui ma per deliberata subalternità. E' questo quadro generale che rende involontariamente comica la convocazione dei sindacati al cospetto di Gei Pi per comunicazioni urgenti. Una comicità di cui non si può essere complici. Auspicare un esito piuttosto che un altro significa,infatti, distinguere e vedere nel pascoscenico un indizio di verità che si sovrappone alla recita, sollevandola dal gorgo della finzione. Ma il teatro è teatro. E non è mai a teatro ma solo nella vita che ci si può attendere il colpo di scena. Per qualche ora abbiamo vissuto il romanticismo della lotta sociale. Poi ci ha pensato Sagramola a sostituire il pittorico col fotografico, l'immaginazione col verismo, la poesia con la prosa. E al posto del pennello è comparsa una macchinetta digitale. Sintomo che è proprio vero - parafrasando una canzone di Renzo Arbore di tanti anni fa - che la vita è tutto un click.
    

7 novembre 2012

La JP ai saldi di fine stagione: tra Dallas e le Serre

Aveva ragione Panorama quando, in un articolo a metà tra l'economia e il costume, definì Giovanni Porcarelli un Uomo Misterioso, perchè di lui "non esiste foto e non intende farne" (Leggi qui l'articolo completo). E aveva mille volte ragione chi rilevava, con straordinario e malizioso acume, che non c'era da aspettarsi granchè da un signore capace di ribattezzare un gruppo industriale utilizzando le iniziali americanizzate del proprio nome e cognome, come un Gei Ar (JR) che abbia scambiato la saga di Dallas per la ripida salita delle Serre. Si quella del cuore che batte e del tratturitto. Adesso sappiamo con certezza che Gei Pi, l'Uomo Misterioso, non era esattamente quel campione di ardore e di ardire a cui l'ex Sindaco Sorci propose, manco si trattasse del Gattamelata munito di triplo testicolo, che venisse dedicato un monumento equestre per la perizia e il coraggio manifestati nell'acquisizione della bollita e lessata Antonio Merloni Spa. E' bastato poco per svelare l'arcano, una di quelle operazioni che, più e meglio di mille congetture, restituiscono l'esatta dimensione degli uomini e della loro visione del futuro: Gei Pi, infatti, pare abbia venduto alcuni macchinari per lo stampaggio della plastica (leggi qui JP vende i macchinari). E quando c'è di mezzo la Ardo sappiamo bene che ogni virgola fuori posto equivale a un proposito di dismissione. Ha venduto macchinari senza dire niente a nessuno. Nè ai sindacati, nè ai lavoratori, nè a nessun altro. Zitto e chiotto, ha steso un telo omertoso e via andare incontro a un altro futuro. Proprio lui che l'11 marzo 2012 dichiarava al Messaggero di voler produrre elettrodomestici d'alta gamma. Pardon "di sartoria" come amava precisare (leggi tutta l'intervista Gei Pi al Messaggero marzo 2012) . Pare che gli operai l'abbiano presa molto male. E per questo ieri hanno organizzato un presidio di protesta bloccando i tir e si mormora che oggi, allo stabilimento di Santa Maria, proveranno a fare un bis più partecipato e sostanzioso. Ma conoscendo la vocazione alla lotta sociale e sindacale di cui sono capaci gli operai della Ardo - a metà tra vespertino, il crepuscolare e il gingerino -  c'è concretamente da temere che il presidio sia stato organizzato per garantire un flusso ordinato dei macchinari in uscita e la loro pronta consegna agli acquirenti. Insomma, niente a che vedere con i grandi scioperi alla Fiat del 1944, quando gli operai torinesi furono in prima linea nella difesa degli impianti dalla requisizione ordinata dal generale nazista Zimmermann. In questo drammatico contesto di smantellamento produttivo non poteva mancare l'elemento di piacevole ilarità. Nello specifico, lo abbiamo gi accennato, il mancato preavviso alla trimurti sindacale. Sinceramente non si capisce il motivo di tanto scandalo. Per quale ragione avvisarli in anticipo visto che nel dire di sì sono sempre stati più rapidi di una Porsche e più realisti del re, interpretando con zelo il ruolo di garanti dell'acquisizione e di fustigatori del sistema bancario che si limitava a chiedere il riconoscimento dei crediti e la legalità del diritto societario? Perchè preoccuparsi dell'assenso di organizzazioni già ampiamente ripagate, per il loro aziendalismo, con una politica delle riassunzioni così amichevole da generare la nascita immediata di forme inedite di sindacalismo di base? Qualche settimana fa la JP avrebbe dovuto partecipare al Consiglio Comunale aperto sulla crisi industriale del territorio fabrianese. Fu tra gli assenti ingiustificati. Adesso, anche se con ritardo ex post, abbiamo avuto la pezza d'appoggio, il giustificativo simbolico e materiale di quell'assenza che tanto profondamente colpì il nostro fragile immaginario. ma da questo momento lo sguardo degli osservatori si sposterà naturalmente altrove. Magari in quell'angusta location in cui molto si dibatte dell'Accordo di Programma e di uno Stato assistenzialista costretto a finanziare, tramite robusti dosaggi di cassa integrazione, un'acquisizione di immobili riverniciata di tinte industrialiste sempre più levantine e fittizie. Il Governatore Spacca, antico precursore e propagandista di ombre cinesi, pronuncerà qualche parola inattesa e vigorosa sul lesto commercio dell'imprenditore cerretano o, come se niente fosse, rilancerà l'impegno per case, botteghe e domotiche? E quali fonemi pensosi fioranno dalle ruminanti fauci dell'UDC, il partito della crisi Ardo, che per effetto del tempestivo "comandi" del soldato Porcarelli è riuscito a prendere l'11% e a mettere le mani sulla città, oltre che un dito medio in culo ai fabrianesi? Chi vivrà vedrà e udirà. Nel frattempo stendiamo un velo pietoso sulla vicenda. Che è sempre meglio del telo omertoso utilizzato per nascondere macchine, macchinette e pezzi di ricambio usciti alla chetichella dagli stabilimenti di Santa Maraia e del Maragone. Gei Pi: presente!
    

6 novembre 2012

Lettera aperta agli amici del 5 Stelle

Cari amici del Movimento 5 Stelle di Fabriano,

qualche mese fa non sono stati in pochi, in città, a presagire una mia repentina conversione al grillismo. Era un pronostico sbilenco e senza fondamento perché la mia idea di politica è orgogliosamente anacronistica, fondata sulla centralità dei partiti politici, intesi come soggetti strutturati e organizzati attorno a una comune visione ideologica. Lo ammetto: faccio oggettivamente fatica a concepire la rete, il voto on line, le comunità virtuali e la democrazia diretta, che sono invece il pane quotidiano del vostro impegno e della vostra visione del futuro. Ma se, a torto, sono stato assimilato al Movimento 5 Stelle è perché non mi sono associato al coro primitivo dei demonizzatori, a quelli che desideravano smontarvi non per idiosincrasia ideale ma giusto per mettere al riparo la propria rendita di posizione politica. Ho preferito attendere e capire quali fossero le carte in mano e quali modelli di partecipazione emergessero dal vostro lavoro politico quotidiano. Anche perché se l’antipolitica è così forte è perché la politica ci ha messo del suo sin da quando, dopo Tangentopoli, prese a teorizzare il partito liquido e il primato dei club e dei comitati elettorali sulle vecchie e vetuste sezioni. Concetti che non potevano non condurre al sistema dell'appropriazione indebita e del peculato, perché riducevano la forma partito a sommatoria di individualità ambiziose, narcisiste, anarcoidi e talvolta criminogene. Questo è il dato di partenza e sono convinto che il  successo del Movimento 5 Stelle dipenda anche da questo proliferare di bande, predoni e camarille che hanno delegittimato e seppellito qualsiasi barlume di autoriforma del sistema. Ma con altrettanta sincerità vorrei dirvi che le elezioni siciliane hanno introdotto un'accelerazione che vi riguarda e che non mi piace. In pochi istanti è come se il Movimento 5 Stelle avesse smarrito il suo profilo di forza eretica e gioiosa diventando l'epicentro di una nuova ortodossia che punta a dividere il Paese in buoni e cattivi, in liberi cittadini e servi del partitismo. E come sapete bene ogni ortodossia che si rispetti, specie quando è basata su assunti di puritanesimo manicheo, ha bisogno di una mobilitazione permanente, di nemici alle porte, di infiltrati che tramano fingendosi assertori dell’idea, di "immigrati del partitismo" da tenere alla larga. Ecco quindi le accuse di carrierismo ai Tavolazzi, i sospetti su Favia, le grevi accuse alla Salsi, e addirittura la plateale presa di distanza fisica nei confronti della reproba bolognese che, non a caso, ieri ha parlato di un rischio Scientology per il Movimento. Quello che mi preme dirvi - anche se immagino che dopo questa lettera entrerò di diritto nel novero degli avanzi di partito che intendono fermare il cambiamento - è che il vero sabotatore, il vietcong che attenta alla credibilità del Movimento è dentro di voi, risiede nell'idea che vi sta maturando dentro di essere portatori sani di moralità, ossia una comunità di uomini e donne emendati dal peccato originale del compromesso, della negoziazione e dell'accordo. Ho deciso di scrivere questa lettera aperta non solo a seguito delle vicende nazionale ma dopo aver letto i commenti ai miei ultimi post. Commenti che contengono l'energia in esubero di chi si sente prossimo alla meta, di chi assapora la resa dei conti finale e la costruzione di una democrazia così nuova da generare un filo d'ansia. Il consenso che sale accresce invece la vostra responsabilità nei confronti del Paese. Anche verso chi non vi ha votati e magari vi avversa, perché gli italiani desiderano riformare la democrazia e sperano in un'offerta politica che vada in questa direzione. Senza tabula rasa e senza caccia alle streghe perché ognuno di noi ha un passato e un'appartenenza seppur blanda a una visione o a un partito. Negli anni settanta quando il PCI arrivò al 34% dei consensi  il giornalista Alberto Ronchey scrisse un celebre articolo sul Fattore K, ossia sul destino di un partito sempre più forte e sempre più solo che non poteva accedere al governo del Paese perché osteggiato dichiaratamente da due terzi degli italiani che non lo votavano ma erano disposti - nonostante le mille differenze - a coalizzarsi tra di loro pur di fermarne l'avanzata. Oggi, quindi, il rischio non è il Punto G di cui parla Grillo, riferendosi agli interventi televisivi degli eletti nel Movimento, ma il Fattore G, ossia che più il Movimento cresce elettoralmente più rischia di trovarsi da solo, coalizzando contro di sé la parte maggioritaria della società italiana che, notoriamente, disdegna le rivoluzioni e si stanca presto del rumore di sciabole. Sta a voi scegliere tra barricate e riforme, tra democrazia e giacobinismo. E se il buongiorno si vede dal mattino, ve lo dico con tutta sincerità, non credo proprio che ci attendano delle belle giornate di caldo e di sole.
    

5 novembre 2012

Tra equità e buoni lavoro


La questione delle sovvenzioni ad personam fu un tratto peculiare e certo non edificante della passata amministrazione, un modo veloce ma oneroso di tenere sotto controllo una pentola sociale in ebollizione e abbassare la temperatura attraverso sovvenzioni spesso non giustificate da un bisogno reale ed evidente. Un approccio tampone all'assistenza sociale giustificato, in parte, dalla velocità con cui Fabriano si è trovata ad affrontare una crisi a cui non era preparata, né dal punto di vista culturale né sotto il profilo della capacità di gestione pubblica del problema. Tra l’altro l’idea del finanziamento personalizzato e a pioggia ha avuto il demerito di approfondire la divisione tra fabrianesi storici e neo fabrianesi giunti in città dall'estero o da altre regioni italiane. Grazie a un misto di orgoglio atavico e di welfare familiare i fabrianesi storici hanno, infatti, attinto solo in minima parte alle risorse pubbliche disponibili, come dimostrarono clamorosamente anche i dati relativi all'accesso al Fondo di Solidarietà. Il grosso della torta finì in altre mani e nessuno ha mai spiegato dettagliatamente e compiutamente nelle sedi preposte quanto incise la necessità e quanto invece certe doti recitative e di sfrontatezza. Per queste ragioni sono favorevole alla proposta dei buoni lavoro lanciata dall'amministrazione comunale. Chi ha bisogno di denaro deve poter accedere alle risorse ma in cambio deve essere disponibile a lavorare. Anche se quando sussistono davvero condizioni di necessità, occorre essere consapevoli che il bisogno non attende la chiamata del comune per mettere a posto le fioriere o pulire il laghetto del giardino pubblico. In questo senso credo che il Comune debba accantonare una quota da destinare ad aiuti immediati e urgenti, riferendone al Consiglio Comunale e limitando al massimo quella discrezionalità che così tanto ha contribuito a minare la fiducia dei cittadini rispetto all'equità della pubblica amministrazione. Rispetto all'idea dei buoni lavoro c’è un punto che non mi convince fino in fondo e cioè la possibilità di accesso a risorse pubbliche per i cassintegrati e i lavoratori in mobilità, ossia per soggetti che già godono di un importante ammortizzatore sociale finanziato dalla collettività. Da questo punto di vista credo sia un segnale di equità riconoscere invece un canale di accesso privilegiato ai disoccupati e, in modo particolare, a quanti hanno perduto il lavoro senza accedere ai benefici della cassa integrazione e che magari si trovano in una fascia d’età in cui è difficile ricollocarsi nel mondo del lavoro. Anche se alla fine dei giochi è sempre incombente il rischio di una soluzione all'italiana  accesso alla graduatoria aperto a tutti perché tutti sono uguali quando si parla di esercizio di un diritto. Fin quando non si scopre che tra gli uguali ce ne sono alcuni, che per diverse ragioni, sono più uguali degli altri.