31 gennaio 2013

Le interviste Rischiatutto ai candidati

In questo gennaio che si conclude, il blog batte tutti i record mensili di accesso, con quasi 20.000 visualizzazioni di pagine. Segno che a Fabriano c'è un bisogno di un'informazione politica indipendente, di discussioni libere e senza filtro, di una dialettica aspra ma civile, che stimoli l'intervento e consenta a tutti di proporre punti di vista e riflessioni. Compresi gli attacchi, di solito poco generosi, nei confronti dell'autore, perché anche questo fa parte del gioco visto che chi vuole fare il fornaio non può pretendere di non sporcarsi le mani con la farina. Anche per questo insieme di ragioni credo sia utile mettere un po' di pepe a una campagna elettorale a bassa tensione, contribuire a ravvivarla e, se possibile, dare ai fabrianesi qualche elemento di conoscenza in più sui concittadini che andranno a rappresentare il territorio e la Nazione nelle aule parlamentari. L'idea è quella di far parlare direttamente i candidati, attraverso interviste personali e personalizzate, capaci di farne emergere la visione delle cose, le considerazioni sulla città e sulla politica, i provvedimenti legislativi su cui intendono battersi e il modo in cui vogliono assolvere al mandato di ambasciatori della crisi del nostro territorio. In questo modo si possono bypassare anche i vincoli più ridicoli della par condicio, con i suoi confronti ingessati, le medesime domande valide per tutti - come se la politica non fosse particolarità e discernimento - e i suoi cronometri inflessibili, che riducono il pensiero a slogan e a inutili pillole di efficacia mediatica. Questo blog è  disponibile a intervistare i candidati fabrianesi. Uno per ogni forza politica che ne annoveri  in lista. A chi è disponibile a farsi intervistare chiedo soltanto di dichiarare la propria disponibilità direttamente nel blog e di accettare l'intervista al "buio", ossia senza conoscere in anticipo le domande che, ovviamente, non conterranno agguati e trabocchetti. Chi legge abitualmente questa pagina sa bene che i tranelli sono del tutto distanti dagli interessi dei Bicarbonati, anche perché giocare sporco, oltre a non essere divertente, non aiuterebbe i lettori a comprendere e orientarsi. E' del tutto evidente che potranno dichiararsi disponibili tutti, qualcuno o nessuno. E comunque vada sarà un successo. Ma solo a una condizione: che siano almeno due i candidati che accetteranno di rilasciare l'intervista. Per garantire un minimo di pluralismo,  essenziale per dare credibilità all'operazione e a questa pagina.
    

30 gennaio 2013

La breve campagna dei taciturni

Siamo arrivati al 30 gennaio e quindi mancano poco più di tre settimane alle elezioni politiche. Il tempo stringe ma non c'è segno né traccia di campagna elettorale. I giornali locali hanno approfittato della par condicio per declassare la politica ad argomento tabù a cui preferire porte inceppate, merde di cane e parcheggiatori abusivi. Le plance elettorali, tristissime e spoglie, più adatte all'arredo di una piazza di De Chirico che al sacro brivido della mobilitazione politica ed elettorale.E da ultimi i candidati, drammaticamente taciturni come invisibili nature morte. Undici piccoli indiani, dislocati in diverse liste, che convergono nel tacere forse per timidezza, forse per calcolo o magari per inesperienza e impaccio. Fatto sta che il cittadino elettore si ritrova nel mezzo di un deficit informativo che trasforma l'eleggibilità e la credibilità di un candidato in una questione privata. E c'è da dire che in questo approccio si registra una straordinaria convergenza tra riformisti e conservatori, rivoluzionari e reazionari. A riprova che di notte tutti i gatti sono neri. Da questo punto di vista mi torna in mente il racconto di una vecchia signora fabrianese, scafatissima e saggia, che consigliava al figlio un po' sfigato di andare a trovare la morosa il meno possibile, perché più radi erano gli incontri più si allungava il tempo necessario alla ragazza per svelare tutti i difetti del pretendente. Tra i nostri candidati sembra essersi affermata la stessa logica: farsi vedere il meno possibile e il più tardi possibile, posticipare l'esordio e ricorrere alle magie di una prolungata attesa per occultare, finché si può, i naturali difettucci di fabbricazione. C'è chi sa di essere inesperto, chi non ci capisce una mazza ma è bello così, chi teme la sovraesposizione, chi sa che è lì solo per partecipare e chi ricerca spazi protetti perché teme le molte variabili dell'improvvisazione. A questo punto l'elemento di interesse sarà vedere chi romperà il silenzio e come, chi sarà il più attivo ad attaccare manifesti, chi cercherà di dare un impatto mediatico forte a questo mese che resta, chi cercherà la luce e chi resterà in disparte. Tutto dipende dal bisogno e dalle finalità, da come si determinerà l'incrocio tra ambizioni personali e bisogni politici. Casoli, ad esempio, cercherà di sfruttare tutte le possibili occasioni di contatto con la gente e di confronto con la sua diretta concorrente del 5 Stelle, perché il patron di Elica ha bisogno di risalire. E per risalire deve inseguire, come un segugio, la lepre grillina che, a sua volta, ha tutto da guadagnare dall'evitare confronti con il diretto concorrente perchè chi è in vantaggio di solito scappa. Molto probabilmente non farà troppa campagna elettorale in città Maria Paola Merloni Un po' perché la certezza di essere eletta la dispone su un serenissimo catafalco e un po' perché fare campagna a Fabriano vuol dire approfondire una relazione "calda" con la città che la Merloni non ha mai coltivato e che non credo sia oggi in cima ai suoi pensieri. Sicuramente attivo sarà invece Ottaviani, consapevole di non avere chance di elezione ma che correrà ugualmente per dare fieno al proprio progetto politico di egemonia sull'Udc, di relazione alla pari con la lista Monti di Fabriano e di contatto minaccioso con l'ara pacis sagramoliana. Così come si impegnerà fino allo spasimo Mario Paglialunga. Un po' perché ci spera e un po' per respirare il profumo della libertà rispetto a un ruolo di assessore che lo incolla e non riesce proprio a galvanizzarlo. Gli altri candidati, e lo dico con sincero affetto, faranno tutti la loro parte ma faticheranno da morire a farsi notare e a incidere la pellicola. Ma ci sono anche loro e gli auguriamo vivamente di smentire tutte le nostre previsioni. E' difficile ma a volte capita pure che ci si riesca.
    

29 gennaio 2013

I nuovi equilibri politici a Fabriano

Chiunque osservi le cose della politica senza rischiosi investimenti psicologici, sa bene che le scelte nazionali dei movimenti e dei partiti tendono a ricadere sugli equilibri locali e a incidere sulla formazione di nuove aggregazioni politiche. Immaginare, quindi, una politica municipale staccata dai processi nazionali, significa coltivare un localismo isolazionista che oscilla paurosamente tra l'ingenuo e il demenziale. Ciò vuol dire che dopo le elezioni politiche di febbraio cambierà radicalmente anche la politica fabrianese: ciò che qualche mese fa sembrava impossibile diventerà di colpo praticabile e saranno molti i rapporti politici innaturali ad essere riassorbiti e riabilitati nella nuova fase che si apre. Ad esempio Monti ha affermato che la sua area centrista può allearsi sia con un centrosinistra ripulito di socialdemocratici e sindacalisti che con un centrodestra liberato dall'ipoteca del berlusconismo. Il che, a livello locale, significa che non è più obbligatorio o scontato l'asse tra il centro montiano e il Pd, ma che c'è spazio anche per un accordo elettorale e di governo tra il centro e la destra. Il che prefigura un possibile e auspicabile scongelamento del quadro politico locale. In parallelo è significativo ricordare come Bersani abbia solennemente dichiarato che che non mollerà Vendola e la Cgil solo perché glielo chiede Monti. E questo pronunciamento, di certo, non rende durevole l'opposizione di Emanuele Rossi e del SEL ai democratici. Un ragionamento analogo vale anche guardando al centro. Ottaviani, eletto con una forza di opposizione, si candida alle politiche con un partito che a Fabriano è in maggioranza e a livello nazionale è concorrente del Pd e sostenitore di Monti. E in questo caso il problema è sia di Ottaviani che dell'Udc. Certo è che Ottaviani non potrà più essere, come è stato in questi primi mesi di mandato, il leader indiscusso dell'opposizione consiliare. Così come Rossi non potrà sostenere, troppo a lungo e in forma critico-oppositoria, le istanze di una sinistra sociale ormai riassorbita nel generoso ventre del partito democratico. E, tanto per proseguire, c'è anche il caso Solari, che è stato eletto nelle file dell'opposizione, ma essendo in quota Fli milita in un centro che, pure da queste parti, potrebbe rinegoziare l'alleanza con la sinistra in nome di un patto montanaro tra montiani e Pd. In pratica l'area dell'opposizione consiliare scende da dieci a sette consiglieri e la maggioranza tende potenzialmente a crescere. Paoletti, fino a qualche settimana sospettato d'amorosi sensi con la maggioranza Pd- Udc, è facile che resti all'opposizione, specie ora che è nato, e lotta assieme a noi, il movimento di Ingroia. Movimento che annovera l'Idv, che a Fabriano ha sostenuto Sagramola e oggi si trova nello stesso mazzo di Paoletti che, però, si oppone a Sagramola. Per chi vive di semplificazioni tribunizie, ed è convinto di rappresentare i cittadini buoni e perbene, tutto ciò conferma gli effetti deleteri del partitismo morente. Ma la verità è un'altra e cioè che siamo di fronte a un caos che anticipa il cosmo, caratteristica essenziale di qualsiasi transizione destinata a produrre nuovi equilibri. Il dato politico che conta è che di fronte a tali sommovimenti la Giunta Sagramola pare invecchiata in pochissimi mesi, come il dipinto di Dorian Gray. E non per l'agire nefasto del Sindaco e degli assessori ma per la trasformazione repentina del quadro politico prodotta dalla discesa in campo di Monti e dalla ennesima resurrezione di Berlusconi. Per queste ragioni non è da escludere pure una fine anticipata dell'esperienza Sagramola, la cui vittoria bipolare non può resistere alla formazione di un nuovo schema politico nazionale a tre poli. Un equilibrio che si consoliderà anche in chiave locale e che ha un duplice obiettivo propedeutico a qualsiasi politica di crescita: garantire la governabilità e tutelare il sistema democratico dagli attacchi dei destabilizzatori inconsapevoli e degli indignati professionali. Il grande storico Federico Chabod - in una straordinario saggio introduttivo al Principe del Machiavelli - immagina il grande diplomatico fiorentino, fermo su un lato della Piazza della Signoria, che osserva con l'ironico e malcelato distacco un'infiammata invettiva di Gerolamo Savonarola. A dimostrazione che i sottili equilibri della politica vivono su dinamiche e meccanismi assai più profondi e complessi di quelli evocati dagli spettacoli di un qualunque predicatore in una qualunque piazza urlante e gremita.
    

28 gennaio 2013

La partita al Senato tra Pdl e Cinque Stelle

Intervistata dal Corriere Adriatico Maria Paola Merloni ha pronunciato parole di miele nei confronti di Francesco Casoli, auspicandone l'elezione e rimarcandone forza e competenza. Si tratta di una posizione in cui si condensano diversi elementi e fattori: solidarietà generazionale, esperienze industriali e confindustriali e una comunione di provenienza territoriale e di rango sociale. Ma c'è anche dell'altro, qualcosa che appare con chiarezza di contorni quando la Merloni afferma che tra lei e Casoli c'è distanza politica ma mai e poi mai competizione. Il che corrisponde al vero ed è comprovato dai fatti più che dalle loro volontà. Entrambi, infatti, sono diventati parlamentari nel 2006. E nel 2008 hanno festeggiato la loro riconferma. Con una differenza sostanziale: che la Merloni è stata eletta ambedue le volte alla Camera e Casoli al Senato. Il che ha disinnescato qualsiasi possibilità di una loro contesa sul medesimo elettorato e ogni rischio di misurazione del peso elettorale di ciascuno attraverso il computo delle preferenze, notoriamente non contemplate dal Porcellum. Con questa tornata elettorale il "parallelismo senza conflitto" tra i due imprenditori fabrianesi sarebbe dovuto giungere al capolinea, dato che entrambi sono candidati al Senato. Si profilava, quindi, un'interessante partita politica ed elettorale tra industriali fabrianesi, ma il caos liste del Pdl ha cambiato repentinamente la scena, collocando Casoli in terza posizione nella lista del Pdl, e quindi privandolo di concrete possibilità di approdo a Palazzo Madama. Per questa ragione Maria Paola Merloni può oggi permettersi il lusso di attenersi a un approccio amichevole e sportivo nei confronti di Casoli. Perchè sa bene che la possibilità che Casoli diventi senatore per la terza volta è piuttosto remota e dipende dall'esito di un derby tutto fabrianese tra il patron di Elica e la candidata fabrianese del Movimento Cinque Stelle. Cerchiamo di capire il perché  Le Marche eleggono otto senatori, con premio di maggioranza attribuito su base regionale. Ciò significa che cinque senatori andranno al partito o alla coalizione che prenderà più voti e tre al resto delle liste, ferme restando le soglie di sbarramento a seconda che le liste corrano da sole o in coalizione. Chi compete in solitudine deve, infatti, superare l'8% mentre chi va in coalizione concorre alla ripartizione dei seggi se ottiene almeno il 3% dei voti e se la coalizione di appartenenza supera il 20% dei consensi. A meno di rivoluzioni copernicane, ad oggi non previste e plausibili, nelle Marche il premio di maggioranza andrà sicuramente alla coalizione Pd-Sel, che eleggerà cinque senatori. I restanti tre verranno ripartiti tra tutte le altre liste. Sondaggi alla mano sembrano tre le liste che possono accedere al riparto dei senatori di minoranza: Pdl, Lista Civica per Monti e Movimento Cinque Stelle. Ad oggi, ossia in base alle previsioni correnti, due dei tre seggi senatoriali sembrano già assegnati: uno al Pdl e uno alla lista Civica per Monti. Ciò significa che i due eletti sicuri sono Remigio Ceroni del Pdl e Maria Paola Merloni della Lista Civica per Monti. Resta in ballo il terzo senatore, che dovrebbe andare al Movimento Cinque Stelle, determinando l'elezione della fabrianese Serenella Fucksia al posto di Francesco Casoli. A meno che il Pdl non prenda il doppio più uno dei voti conseguiti dalla lista dei grillini, perché a quel punto scatterebbe il secondo senatore al Popolo della Libertà, con l'elezione di Francesco Casoli. Il che prelude a una campagna elettorale durissima anche sul territorio fabrianese tra il Pdl e il Cinque Stelle. Casoli ha dalla sua l'esperienza, la possibilità di mettere in campo ingenti risorse e la rimonta berlusconiana; Fucksia l'opportunità di cavalcare un'onda di opinione che oltrepassa di molto la sua persona e i modesti mezzi a disposizione dei grillini. Insomma, una pacifica guerra civile tra fabrianesi. Di quelle che piacciono e fanno divertire ma che forse non porteranno bene al nostro territorio.
    

27 gennaio 2013

L'esodo dal Pd e i numeri delle forbici

Proseguiamo in questo sforzo, tra il disperato e il titanico, di connettere i possibili risultati delle elezioni politiche con le ricadute che esse potranno avere sulla politica locale e sulla stabilità del governo cittadino. Ad oggi l'unico spazio adatto alla destabilizzazione, e quindi davvero degno di interesse, si colloca in un punto focale del quadro politico, ossia dove si produce la sovrapposizione tra l'area "merloniana" del Pd e la Lista Civica per Monti. E' un'area di osmosi e migrazione politica, di passaggi clandestini e trappoloni che la rendono davvero interessante dal punto di vista delle nuove alchimie politiche. Il flusso, in questo momento, sembra essere interamente in uscita dal Pd verso Monti, anche perchè le primarie hanno fatto fuori quasi tutti gli uomini del Governatore a favore dell'apparato, ossia di Ucchielli che sarà il probabile candidato del Pd alle regionali del 2015. Ma siccome Spacca gradirebbe il terzo mandato deve mettersi nella condizione di esercitare, craxianamente, un potere di interdizione sul Pd. E ad oggi l'unico modo per farlo è pendere decisamente verso Monti. Ma con prudenza, perchè molto dipenderà dal risultato delle elezioni che si incaricheranno di produrre una selezione darwiniana di molte ipotesi e costruzioni politiche. Siamo, quindi, nel pieno di una fase preparatoria, di cui Fabriano rappresenta un interessante ed emblematico laboratorio di sperimentazione. Segnali e aneddoti chiarissimi e gustosi raccontano di una componente democristiana e merloniana del partito sempre più attratta da una partita in bilico tra l'eresia e il tradimento: votare massicciamente per la Lista Monti al Senato, ovvero per Maria Paola Merloni. Da questo punto di vista sembra abbiano commesso un errore quanti si sono limitati a buttare l'occhio sui nomi dei dirigenti locali del Pd pronti a passare armi e bagagli con la Lista Monti, perchè non erano in ballo le scelte dei singoli ma veri e propri esodi organizzati, politicamente assai più rilevanti e significativi rispetto alla dinamica delle diaspore individuali. La dimensione e la concretezza di questa fuga lenta e prudente dal Pd troveranno nelle urne un'unità di misura incontrovertibile, ossia l'ampiezza della forbice che si aprirà tra il voto per il Pd alla Camera e quello per il Senato. Secondo gli esperti di cantine e sotterranei politici se il voto alla Camera sarà inferiore di almeno 5/6 punti percentuali rispetto a quello del Senato - con un travaso visibile e corrispondente sulla lista Monti per Palazzo Madama - vorrà dire che una specifica componente del partito democratico ha dato ordine ai suoi referenti, sparsi sul territorio, di vibrare la pugnalata finale alla schiena del Pd. Ed è chiaro che sopra la percentuale del 5/6% saremmo direttamente all'ecatombe dei democratici fabrianesi. In parallelo sarà estremamente interessante analizzare come questo dato generale si andrà declinando sul territorio, seggio per seggio, perchè da lì sarà possibile comprendere e svelare l'identità dei congiurati, misurare la convinzione con cui hanno sostenuto l'esodo e se un'operazione tanto pervasiva e devastante sarà in grado di far saltare completamente il tavolo apparentemente solido e ben piantato della politica fabrianese.
    

26 gennaio 2013

L'Assessore e il Comandante: tra viabilità ed elezioni

I quotidiani locali, con impeccabile ma opinabile zelo governativo, stamattina parlano espressamente di rivoluzione. Niente paura: non ci sono nè sanculotti nè bolscevichi in giro. E nemmeno cosacchi col cavallo alla Fontana Sturinalto. I nuovi commissari del popolo non si chiamano Bucharin e Zinoviev, ma Paglialunga e Strippoli. Il che oggettivamente rassicura. L'Assessore e il Comandante hanno convocato la stampa per annunciare l'imminente rivoluzione nella viabilità cittadina. E già il metodo non convince. Primo, perchè non si capisce perchè una figura tecnica e operativa come il Comandante Strippoli debba partecipare a una conferenza stampa in cui si annunciano, ai cittadini, decisioni di natura squisitamente politica, rispetto alle quali ai vigili urbani spettano soltanto compiti di monitoraggio, controllo e sanzione; secondo, perchè a parlare di viabilità è l'assessore Paglialunga che non ha nè la delega alla mobilità nè quella ai trasporti - assegnate a Galli - ma alla Polizia Urbana e al Commercio. E, mi sia consentito, ci vuole una fantasia davvero soggiogata dal bisogno di visibilità elettorale per ricondurre le decisioni relative alla viabilità a faccende di sola competenza dei commercianti e dei vigili. Insomma, a parer mio, a questa conferenza stampa non dovevano partecipare nè Paglialunga nè Strippoli, ma soltanto il desaparecido Galli. E invece è accaduto che c'erano soltanto loro. Il che prefigura una sorta di reggenza forzata nei confronti dell'assessore Galli che qualche domanda, circa il proprio ruolo in questa Giunta, dovrebbe cominciare a farsela. Qualche giorno fa, tanto per dire, Alianello ha comunicato che le rotatorie di Viale Moccia da temporanee diventeranno permanenti e adesso arriva Paglialunga e si mette a fare il demiurgo delle scelte di viabilità, invadendo di brutto la delega del Gallo Peppino. C'è poi il merito della questione, ossia le scelte di cui i quotidiani raccontano il presunto profilo rivoluzionario. Non sbellicativi dal ridere ma la presa del Palazzo d'Inverno si riduce alla chiusura di quel passaggio indecente a lato del Museo della Carta con relativo proseguimento delle auto fino a Via dei Chiavelli. Esattamente come qualche anno fa. Con in più la riduzione di un paio di posti macchina a Piazza Quintino Sella e due spazi di parcheggio per disabili lungo Via Gioberti. Il bello è che questo ritocco minimale viene reso poetico evocando la sua capacità di disincentivare l'uso dei mezzi privati in centro storico e, quindi, come primo passo verso la pedonalizzazione del medesimo. In realtà sulla pedonalizzazione del centro storico è stata messa una pietra tombale esattamente il giorno in cui si è deciso di rendere permanenti le rotatorie di Viale Moccia e di metterne in cantiere altre (alla Pisana e all'Ospedale). Quindi, un osservatore ragionevole, stamattina, dovrebbe prendere le pagine locali dei quotidiani e incartarci le patate o la mortadella. Se ne scriviamo è solo per evidenziare i passi falsi e l'ansia da prestazione generata, nei protagonisti, da candidature come quella di Paglialunga alle elezioni del 24 febbraio. Perchè abbiamo il fondato dubbio che questa conferenza stampa sia stata più uno spot gratuito - in tempo di par condicio - che qualcosa di legato alle scelte che riguardano la vita di Fabriano e dei suoi cittadini. E, andreottianamente, credo di averci azzeccato in pieno, anche se ho commesso il peccato di pensare male.
    

25 gennaio 2013

Sagramolon I°, Faraone indaffarato e silente

Sagramolon I° (di Fabrizio Moscè)
Quando i miei figli si chiudono in camera a giocare sono contento come una pasqua perché posso rubacchiare, senza essere visto da nessuno, qualche necessario momento di svago personale. E il piacere di un solo istante recuperato e recuperabile mi cambia, immediatamente, l'espressione del viso, rendendola festosa e bambinesca. Ma si tratta di uno stato d'animo che dura poco e che, normalmente, si interrompe non per il troppo casino che proviene dalla stanza dei giochi ma per l'eccesso di silenzio che pervade la casa. Il buonsenso popolare insegna che quando i bambini giocano tacendo troppo a lungo, c'è subito da far scattare l'allarme, perché vuol dire che gli infanti sono in procinto di fare qualche cazzata, oppure che la cazzata è già in fase avanzata di realizzazione. In politica vale lo stesso criterio: mai togliere lo sguardo vigile da chi tace troppo a lungo e dà l'impressione di stare con le mani in mano. In questo senso c'è da dire che, ultimamente, abbiamo perso le tracce di Sagramola, che è diventato quasi più misterioso di Tutankhamon, come ha ben sintetizzato Fabrizio Moscè con l'immagine che trovate a corredo di questo post. Un geroglifico di comportamenti oscuri e invisibili quello di Sagramolon I°, sicuramente facilitato dall'attenzione che stiamo tutti dedicando alle elezioni di febbraio, che hanno trasformato la politica comunale in una rassegna di candidati più o meno passibili di elezione e l'azione amministrativa della Giunta in un galleggiamento insipido che non attira più neanche l'attenzione dei giornali e dell'informazione locale. Da quel che so, ma posso sbagliare, non si vede più neanche l'ombra di un Consiglio Comunale così Sagramola si è guardato bene dal sollevare il problema politico del passaggio di Paglialunga - e pare anche della Malefora - al Centro Democratico che ha determinato un cambio di maggioranza politica. I due esponenti politici, infatti, sono stati eletti e nominati, a seguito delle ultime comunali, sotto le insegne dell'Italia dei Valori e oggi si ritrovano in Consiglio e in Giunta indossando un'altra casacca senza che questa abbia stimolato quanto meno il bisogno di una verifica di maggioranza. Niente di male nel cambiare partito e opinione ma sarebbe bene che chi è stato eletto in una formazione politica - quanto meno per rispetto degli elettori che si sono espressi attraverso il voto - lasci l'incarico nel momento stesso in cui decide di fare un'altra scelta. Anche perché nel caso specifico è il Centro Democratico che si è staccato dall'Italia dei Valori e non il contrario. Ma come dicevamo, Sagramola, con l'indifferenza di un Faraone egizio, ha manzonianamente preferito troncare e sopire perché la sua navigazione a vista non contempla deroghe e variazioni di rotta. Quel che preoccupa - in questo contesto di forzata serenità - è lo svaporamento dell'opposizione che, nonostante il comprensibile coinvolgimento elettorale di alcuni suoi esponenti, è stata investita di uno specifico mandato popolare di vigilanza, controllo e denuncia che non sembra appassionarla e coinvolgerla più di tanto. E per questo i bambini, silenziosamente rinchiusi nella stanza dei giochi,.continuano a combinare casini. Senza nessuno che si affacci urlando alla porta, che dichiari un rompete le righe capace di ristabilire i giusti equilibri tra grandi e piccini o che comunichi che l'ora di ricreazione è finita. 
    

24 gennaio 2013

Il senso di Ottaviani per l'Udc e dell'Udc per Ottaviani

C.G Jung interpreta simboli
Il grande psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung concluse la sua lunga vicenda di studioso della mente e degli archetipi pubblicando un libro intitolato "L'uomo e si suoi simboli", una sorta di personale summa theologiae. Scendendo tragicamente in basso, ossia al livello della nostra cronaca spicciola, si potrebbe immaginare l'uscita di un nuovo volume: "Il politico e i suoi simboli", una sorta di Bignami sui significati reconditi evocati dall'agire, consapevole e inconsapevole dei politici. Ieri mattina, tanto per dire, l'Udc ha ufficialmente presentato la candidatura di Marco Ottaviani alla Camera dei Deputati. Una candidatura che non aveva bisogno di essere presentata di nuovo, dato che tutti erano al corrente della scelta del leader del Polo 3.0 di partecipare alla competizione politica col partito di Casini. A che serviva quindi l'organizzare una replica? A generare un simbolo capace di evocare significati. Ottaviani, per esempio, non era solo ma in compagnia di Roberto Pellegrini e Luigi Viventi. Il segretario cittadino dell'Udc e l'assessore regionale erano lì per legittimare in senso partitico il candidato, per rimarcare il loro ruolo di carcerieri politici di Ottaviani o per dichiarare la resa della struttura rispetto alla scalata del Dermatologo al partito centrista? Su questo, ovviamente, il dibattito è aperto, proprio perché una delle caratteristiche dei simboli è quella di essere sufficientemente oscuri da rendere necessario un impegno finalizzato alla decodifica. Viventi e Pellegrini, dal quel che si evince dal breve resoconto del Messaggero, hanno pronunciato una frase secca: "Ottaviani è il nostro candidato". Se uno non si mette tartufescamente alla ricerca dei simboli e dei significati la frase sembra una specie di scoperta dell'acqua calda. L'osservatore di buon senso, ma poco avvezzo alla politica, sarebbe infatti portato a commentare che essendo Ottaviani fabrianese ed essendo, nel contempo, candidato nell'Udc non può che essere il candidato sostenuto dall'Udc fabrianese. Il che renderebbe del tutto superflua e ridondante la frase di Pellegrini e Viventi. Ma i due sono uomini politici e quindi parlano sempre col doppio fondo. E allora cosa significa "Ottaviani è il nostro candidato"? Le possibilità sono almeno tre: la prima è che prevalga il possesso, ossia che Ottaviani risponda al partito di cui è diretta emanazione; la seconda potrebbe lasciar intendere che Ottaviani rappresenti l'Udc e che quindi ogni  sua parola incarni il logos del partito, ossia che il partito è lui; la terza è che Ottaviani non è gradito al corpo del partito e che Viventi e Pellegrini siano i garanti di questa forzatura rispetto agli iscritti e alla struttura. A queste ipotesi corrispondono tre possibili scenari politici: se Ottaviani risponde al partito (significato 1 della frase "Ottaviani è il nostro candidato") vuol dire che l'Udc lo utilizzerà come specchietto per le allodole per recuperare voti in uscita. Il che lascia intendere che il partito di Casini si aggira attorno al 5% e rischia, quindi, di subire l'egemonia della Merloni e della lista montiana. Ergo l'Udc ha bisogno di voti per meglio contrattare il futuro del centro politico fabrianese. Se Ottaviani incarna invece l'UDC (significato 2 della frase "Ottaviani è il nostro candidato") vuol dire che la sua strada nel partito è spianata senza congresso e che Viventi lo ha incoronato come proprio successore anche in Regione. Se Pellegrini e Viventi sono invece i garanti della candidatura Ottaviani rispetto a un partito in subbuglio (significato 3 della frase "Ottaviani è il nostro candidato") vuol dire che la candidatura è episodica e che il sistema Udc rigenererà i suoi equilibri senza la presenza destabilizzante del dermatologo. ma potrebbero esserci anche altri significati e altri simboli nascosti, che sono sfuggiti o che non sono stati correttamente considerati. Questo per dire che la politica ha natura poliedrica e che le semplificazioni a volte aiutano ma assai spesso portano fuori strada. Il punto è che viviamo tempi di demagogia, di pressappochismo e di semplificazione brutale delle cose. E per questo fa più presa un "tutti ladri" che il gusto della differenziazione, dell'analisi e del discernimento.
    

23 gennaio 2013

Il ritorno di Sonia: per un'altra politica, mai col Pd forse con Monti


Sonia Ruggeri è stata una figura di spicco della politica e della cultura fabrianese per quasi venti anni. Qualche mese fa, dopo la sconfitta alle primarie per la candidatura a Sindaco, ha deciso di lasciare il Pd e un'esperienza sul campo che l'ha vista protagonista, come assessore e come esponente di partito, per almeno un decennio. Un'uscita di scena che le ha consentito di meditare senza clamore e senza riflettori accesi sul suo impegno futuro e su un'altra idea di partecipazione. E a volte, specie quando i protagonisti sono persone che hanno una visione acuta dei problemi e provengono da culture politiche radicate e non modaiole, il silenzio diventa quasi un fragore. Per queste ragioni ho deciso di fare come fanno i cani e percepire suoni che sfuggono all'orecchio. Conoscere il punto di vista di chi tace volontariamente, proprio per meglio comprendere i suoni, i rumori e i decibel che popolano il nostro presente e quello della nostra città. Ho chiesto a Sonia Ruggeri se era disponibile a fare una chiacchierata a tutto campo e senza vincoli. Ha accettato senza remore, rompendo per la prima volta il suo prolungato silenzio pubblico, e quel che segue è il sunto della nostra conversazione una e trina: un'intervista che anche una riflessione, un ritorno e una dichiarazione di intenti.


Prof.Ruggeri ha lasciato il Pd otto mesi fa. Un arco di tempo caratterizzato da un sistematico silenzio. La sua vicenda politica è definitivamente chiusa?
Ci sono momenti in cui credo sia necessario mettersi da parte per trovare la lucidità di guardare le cose col giusto distacco. Come diceva Italo Calvino a volte serve allontanarsi per poi tornare. Sto riflettendo su quale sia il modo migliore di tornare a lavorare per un’idea nobile e alta di politica. Sono entrata in politica molto tardi ma ho vissuto questi anni con grandissima intensità. Mi considero una donna di partito ma sono sempre più convinta che i partiti abbiano smarrito ruolo e identità

Una settimana dopo le primarie con Sagramola Lei se ne andò accusando alcuni dirigenti del Pd di averla spinta a candidarsi e poi di averla abbandonata al suo destino. Chi furono i pugnalatori?
Devo precisare una cosa e cioè che la decisione di lasciare il Pd era maturata prima dell’esito delle primarie. La verità è che non condividevo più un certo modo di fare politica. Anzi diciamo che sono uscita da un partito che da anni aveva smesso di fare politica e che viveva sul desiderio di poltrone. E oggi mi rendo conto che questo giudizio trova sempre più riscontri.

Quindi non ci sono stati pugnalatori…
Non mi piace puntare il dito contro nessuno ma ci sono state persone che consideravo amici che hanno insistito affinché partecipassi alle primarie. Il segretario del partito Alianello, ad esempio, si è impegnato molto per convincermi. Alla fine ho accettato per non far saltare la scelta delle primarie. Ma mi sono ritrovata tutto il partito contro. Credo che Roberto Sorci sia stato l’unico a capire quello che provavo. Ma devo dire che quasi nessuno del Direttivo del Pd mi ha sostenuta. Due donne che stimo molto mi sono state accanto e di questo le  ringrazio ancora.

L’UDC aveva promesso di fare campagna per lei ma a conti fatti non portò a votare nessuno. Su quale altare l’ha sacrificata il partito di Casini?
L’Udc non mi ha appoggiata. Forse qualcuno di loro lo ha fatto a livello personale. Circolava voce che la loro intenzione fosse quella di sostenermi ma in realtà questa è stata una chiacchiera senza fondamento. Magari il mio nome è stato fatto solo perché c’era bisogno di qualcuno da immolare come mi è successo spesso anche nei primi anni di impegno politico. Io non condividevo l’idea stessa delle primarie interne e prima di candidarmi, per correttezza, ne ho parlato anche con Sagramola.

Lei pensa che Sagramola fosse un predestinato? In fondo il suo nome era già circolato nel 2007 quando sembrava in bilico una ricandidatura di Sorci…
E’ vero Sagramola era un predestinato ma alla fine il suo nome non usciva mai ufficialmente. Tanto che faticavo a capire la necessità delle primarie in presenza, appunto, di un predestinato. Ma ripeto, non ho rancori. Ho sofferto per come è andata ma ho razionalizzato. La mia sofferenza attuale è quella di una cittadina che si domanda che uso fare dell’esperienza politica accumulata. Credo che si debba volare alto e guardare lontano. Servono competenze, progettualità, spirito di squadra, e passione politica. Una volta i partiti erano questo. Oggi non più. E lo dico con il rammarico profondo della donna di partito.

Sagramola l’ha più cercata in questi mesi? Per essere chiari amicizia distrutta, ricostruita o ancora in stand by?
Io ci tengo molto all’amicizia e alla lealtà. Con Giancarlo siamo sempre amici e sempre con la chiarezza che contraddistingue il nostro rapporto.

Ma le chiede consigli politici?
No, solo raramente. Debbo dire che sono stata invitata una volta ad un tavolo sul 150° della Pinacoteca, ma non sono potuta andare, come al momento feci sapere, per motivi familiari. La nostra amicizia è al netto del rapporto politico

Lei è stata per anni l’emblema del cattolicesimo democratico impegnato in politica. Una sorta di antimerloni. E’ per contrappasso che la sua uscita di scena abbia coinciso con la vittoria di un Sindaco dell’Azione Cattolica?
Antonio Merloni nei primi anni novanta mi invitava a cena e io puntualmente rifiutavo perché in quel momento lo consideravo un segnale di vecchia politica. Per tante cose lo stimavo anche se avevamo una concezione molto diversa del fare politica e dell’ispirazione ideale. I miei ideali erano quelli tradizione del Partito Popolare e della Democrazia Cristiana di De Gasperi e Don Sturzo. Sulla mia uscita di scena e sull’elezione di Sagramola non c’è contrappasso. Nonostante l’origine culturale e ideale comune ci sono sempre state diversità tra di noi. Sagramola, per dire, è molto più di sinistra di me.

Come mai secondo lei il Pd di Fabriano non ha candidato nessuno alle primarie?
Me lo sono chiesta pure io. Credo sia un ulteriore segno di debolezza del Pd di Fabriano che non riesce ad agire a testa alta e in autonomia. Ma lo dico con distacco perché non condivido più nulla della politica del Pd.

Fosse stata deputato del Pd avrebbe lasciato il partito di Bersani per candidarsi con Monti?
No non lo avrei fatto. Per questo sono contenta di non essere un deputato del Pd. Per quel che mi riguarda sono uscita per convinzione e quando non era il “momento dei sospetti”. Diversamente lo avrei sentito come il salto della quaglia.

Quindi non condivide la scelta di Maria Paola Merloni?
Non entro nel merito delle scelte personali e delle motivazioni che ciascuno dà al proprio operato. Certo è che Maria Paola credo avesse interamente consumato il senso del suo impegno nel Pd. E quindi vedo nella scelta la presa d’atto di qualcosa che era cambiato nel profondo.

Chi sono i tre politici fabrianesi da cui comprerebbe un’auto usata?
Diciamo che ci sono politici fabrianesi che stimo. Spacca ad esempio, che ho guardato a lungo come un modello, anche se negli ultimi tempi non l’ho sentito vicino. Ha idee e progettualità, anche se a volte tende troppo alla mediazione. Poi c’è Sorci che ha il difetto opposto, cioè di tendere troppo di frequente alla rottura piuttosto che alla mediazione. Ma è una persona  che ha molte delle doti di cui hanno bisogno i politici e che sa fare politica.

Insomma ammira solo politici della vecchia guardia…
Beh faccio fatica a vedere figure interessanti tra i cosiddetti nuovi….

E tra i politici di opposizione?
Considero Ottaviani una persona molto intelligente e capace anche se troppo segnata dalla prevalenza dell’”io” sul “noi”. E poi anche Urbani che ci mette tanto impegno. Ma il problema è che vedo una opposizione che fatica ad avere un ruolo importante di costruzione e di proposta.

Sagramola non compare……
Sagramola ha un compito difficile perché la crisi pesa e mancano le risorse. Mette tanto impegno, però finora vedo poca regia, e poco volare alto, ossia le qualità necessarie per restituire un ruolo e una dignità alla politica.

Parliamo un attimo di cultura. La Pinacoteca non è attrattiva e il Comune non può permettersi di acquisire opere. Non è il caso di dare un incarico a un direttore esterno esperto e capace di costruire mostre e rassegne di successo?
Prima di lasciare ho consegnato una relazione di fine mandato in cui ho fatto il punto della situazione, cercando di individuare alcuni obiettivi e input. L’Idea era quella di un Piano Territoriale della Cultura che, tra le altre cose, prevedeva un’azione di valorizzazione dei complessi per creare un continuum architettonico che potesse anche far rivivere il centro storico. Dentro c’era il Polo della Parola con l’Archivio Storico del Comune e l’Archivio di Stato, il Polo Bibliotecario, con un importante sezione multimediale, al San Francesco e il Polo delle Arti Visive, nel complesso Spedale del Buon Gesù-Giardini del Poio-Palazzo del Podestà all’interno del quale si sarebbe dovuto lavorare per un polo museale espositivo per grandi Mostre e comprensivo di un progetto sul Gentile virtuale e dell’istituzione del Centro Studi su Gentile da Fabriano. Tale progetto era stato condiviso e fortemente sostenuto dalla Regione e dal suo Presidente e per esso erano stati programmati e approvati dalla Regione stessa ingenti finanziamenti europei. In questo quadro avevamo pensato a un modello gestionale unitario da attribuire a un coordinatore esperto.

E che fine ha fatto questa relazione?
Non so che fine abbia fatto, della cosa avevo parlato con Sagramola, ma forse è ancora presto, siamo appena all’inizio del mandato. Anche perché questo punto di vista era inserito nel progetto presentato all’Unesco. Da questo punto di vista devo dire che Francesca Merloni e suo padre ci hanno dato una grossa mano con Poiesis e con l’Unesco. Attraverso Poiesis abbiamo inserito Fabriano in un reticolo culturale importante e la porta dell’Unesco non si sarebbe aperta senza l’azione di Francesca Merloni. Ma adesso lo scatto dobbiamo farlo noi, collettivamente.

Il centro storico è ridotto a parcheggio diffuso. La pedonalizzazione integrale e l’anello non consentirebbero un recupero drastico di bellezza?
Io credo che non sia più il tempo delle azioni e delle scelte a pioggia. Un progetto di viabilità serio va pensato e realizzato. In questo senso la scelta delle rotatorie permanenti mi preoccupa perché temo che non si parlerà più di un Piano di Viabilità. Magari le rotatorie hanno risolto qualche problema ma manca la visione d’insieme. E senza una visione strategica delle cose Fabriano non ne esce. Si dice che mancano le risorse. E’ vero ma questa difficoltà deve spingerci ad essere ancora più creativi. Bisogna fare squadra anche nella ricerca di nuove linee di finanziamento. E un ruolo spetta anche alla Fondazione Carifac che dovrebbe concentrarsi sempre di più sul finanziamento di progetti strategici.

Sonia Ruggeri alle politiche voterà per il Pd?
Sono sincera: no. Non per rabbia ma per distanza. Alle primarie per la scelta del segretario del partito, diversamente dagli altri esponenti cattolici del partito, votai per Bersani piuttosto che per Franceschini. Bersani è un politico intelligente ma mi ha deluso perché non ha rilanciato quel ruolo alto della politica di cui abbiamo parlato prima.

E il progetto Monti lo giudica interessante?
Monti è una persona che può rilanciare il ruolo dell’Italia in Europa ed è l’unico che alza un po’ il tiro e cerca di proporre un discorso nuovo. Anche se desta qualche preoccupazione l’uso della leva fiscale e, più di tutto, il rischio di poca attenzione agli ultimi. Diciamo che è il politico più in linea con le esigenze del nostro tempo ma a condizione che non abbandoni la strada maestra dell’equità. E su questo penso che la vicinanza di una figura come Riccardi possa costituire un elemento rassicurante e una garanzia.

    

22 gennaio 2013

La versione di Casoli

Sui quotidiani di oggi è possibile trovare un ampio resoconto della "notte dei lunghi coltelli" che ha salvato il coordinatore regionale del Pdl Ceroni e sommerso Francesco Casoli. Una note di inganni, vendette e menzogne che avrebbe entusiasmato Niccolò Machiavelli e fatto impallidire pure la cena di Senigallia con cui Cesare Borgia fece strangolare Vitellozzo Vitelli: vittimismi recitati ad arte, marchigianità rivendicate per nobilitare una battaglia di culo e di cuore, un mors tua vita mea in cui la politica da arte del possibile diviene arte del sopravvivere costi quel che costi. In questo conflitto politico Ceroni ha giocato la parte di Cesare Borgia e Casoli quella di Vitellozzo Vitelli: il carnefice e la vittima. Con Casoli ho parlato brevemente ieri mattina. Solito fraseggio sintetico, accompagnato da un tono della voce deluso ma non depresso. Nel conversare mi ha dato la sua chiave di lettura del passo indietro finale: "Sono entrato in politica perché me lo ha chiesto direttamente Berlusconi. Ed è stato ancora lui a chiedermi un sacrificio personale per l'unità del partito. E ho accettato senza obiezioni". E' la versione di Casoli ma una cosa è certa: in un tempo in cui i partiti sembrano aver incarnato pienamente la profezia di Enrico Mattei degli autobus su cui salire e scendere a seconda delle necessità e delle convenienze, la scelta forse obbligata di Casoli e il suo "obbedisco" alla ragion di partito rappresentano un credito d'onore spendibile in una possibile battaglia politica. Di fronte a Casoli ci sono due strade che divergono radicalmente: uscire di scena riprendendo a tempo pieno il proprio ruolo di imprenditore o giocarsi l'ultima battaglia, come Antonio ad Azio. Insomma una chiusa prosaica o un beau geste intriso di romanticismo. C'è poco tempo per scegliere ma dubito che un uomo di sport estremi come Casoli possa optare per un rientro crepuscolare in azienda. Proseguire la battaglia da terzo in lista significa, però, avventurarsi in una campagna elettorale vecchia maniera. Per spostare consensi e sperando anche nell'effetto traino del berlusconismo in rimonta. Significa migliaia di euro investiti in una battaglia dall'esito incerto; vuol dire comizi, cene, incontri e un'agenda asfissiante. L'obiettivo di una corsa tanto lunga e faticosa è prendere il doppio dei voti del 5 Stelle, condizione decisiva per far scattare l'attribuzione al Pdl del secondo senatore. Con il rischio concreto di arrivare al 24 febbraio con un pugno di mosche in mano e un cospicuo gruzzolo di risorse investito a fondo perduto. Una combinazione di rischio e di redditività dell'investimento che rimanda, quindi, più agli animali spiriti dell'imprenditore che non al naso situazionista del politico. Il terreno migliore di scelta per un imprenditore come Casoli che, se per caso fosse eletto, potrebbe presentare a Berlusconi un conto di successo a cui il Cavaliere è notoriamente sensibile: il credito d'onore acquisito col passo indietro e una rielezione impossibile conseguita emulando la tigna berlusconiana della rimonta. E credo sia proprio questo lo scenario che più lo alletta e che lo tenta tre volte tanto.
    

21 gennaio 2013

I sindaci americani e l'occupazione della fabbrica

Ieri mattina le locandine dei giornali annunciavano, a titolone grassettato, che la protesta dei lavoratori della Best era in procinto di sbarcare in casa Nortek, direttamente negli Stati Uniti. Incuriosito da uno "strillo" che avrebbe fottuto pure l'occhio di Aldo Manuzio ho comperato il Messaggero, imbastendo - in modo alquanto immaginifico e superficiale - una connessione tra le proteste dei lavoratori italiani e quelli di altre imprese statunitensi che fanno capo alla multinazionale proprietaria della Best. Il che mi ha reso ancor più fragoroso e motivato il ridere quando ho scoperto che non si stava saldando nessun fronte proletario tra le due sponde dell'oceano, e che la presunta americanizzazione del conflitto era soltanto il rimbombo mediatico di una dichiarazione congiunta del Sindaco di Cerreto d'Esi e del Sagramolone Nostro. Una dichiarazione che riporto testualmente perchè ricorda una politica sedotta dal bicipite rigonfio e ormonato più che dai tormenti del pensiero: "Non credano i dirigenti della Nortek che la nostra protesta non arriverà a loro. Faremo sentire la nostra voce anche in America perchè stanno facendo del male ai lavoratori e alle famiglie". L'uso della prima persona plurale, in questa posa da mascelloni volitivi nel pasticciaccio brutto, potrebbe essere interpretato come un "noi comunitario", ossia come la volontà dei due sindaci di mettersi alla testa di un vero e proprio sbarco di maestranze Best oltreoceano. Ma non è da escludere che il "noi" sia semplicemente riferito ai due primi cittadini in carne e ossa, pronti alla villeggiatura americana e al gesto eclatante dalle parti del Rhode Island. Insomma Alessandroni e Sagramola, memori dei  motivi di Renato Carosone, vorrebbero fare gli americani e vivere alla moda anche se so nnati in Italy. Buon per oro e peggio per noi. Di ben altro rilievo è invece una notizia che i giornali riportano glissando e che potrebbe rappresentare un punto di svolta nella vertenza cerretana. Secondo i sindacati, infatti, se l'azienda non deciderà di confrontarsi sul piano industriale non è più da escludere l'occupazione dell'azienda da parte dei lavoratori. Ciò significa che la vertenza sta arrivando a uno snodo cruciale che si configura come possibile punto di non ritorno. Ci sono molti episodi di occupazione di fabbriche, di cantieri e miniere. Alcuni magistralmente raccontati anche da un segmento di cinematografi, capace di narrare con tocco d'artista il lato umano e dolente delle questioni sociali. Tanto per restare in zona giusto questa estate si sono commemorati i 60 anni dell'occupazione delle miniere di zolfo di Cabernardi, che finì con la vittoria della Montecatini e la chiusura dei pozzi. L'occupazione, che amo come culmine del vitalismo romantico, di solito finisce con sconfitte epocali che generano riflussi lunghi e un diffuso senso di sconfitta. E' un elemento che va considerato. Così come va valutata la reazione del territorio in cui si attua l'occupazione. La nostra è una terra estranea alle vertenze collettive, figlia di una piccola mezzadria priva di quelle strutture di governo rurale come le fattorie in cui, ad esempio, si concentravano le grandi battaglie mezzadrili per la modifica delle quote di riparto condotte dalla Federterra. E' facile quindi che questa storica estraneità del territorio alla solidarietà orizzontale si tramuti in un senso di fastidio che inibisce la comprensione e la condivisione dei problemi. Si tratta di un elemento decisivo perchè quando i lavoratori sono isolati la sconfitta è pressochè certa. C'è un solo modo per costruire consenso: dare rilievo nazionale alla lotta degli operai della Best attraverso una combinazione inedita di modalità rivendicative. Ad esempio  ruotando i lavoratori tra occupazione della fabbrica e lavori volontari socialmente utili. Mettere squadre di operai e impiegati in fabbrica e squadre esterne pronte a farsi carico di lavori gratuiti a vantaggio della collettività è un modo per dare visibilità, sostegno e consenso alla lotta. Per farlo servono volontà, consapevolezza e la direzione politica di un sindacato che, nella sua natura di corpo intermedio, assolva a una funzione fondamentale di mediazione e raccordo tra lavoratori, cittadini, azienda e istituzioni. A quel punto tutte le posizioni si chiariranno e nel bene o nel male si sarà fatto un grande passo in avanti.
    

20 gennaio 2013

La magra solidarietà del Pd agli operai Best

"'125 è un numero…… solo un maledetto numero! Ma rappresenta il dramma che sta dilaniando le maestranze della Best SPA: 125 licenziamenti su 309 dipendenti!!!!!!!!!!' Non si può non essere sensibili per le difficoltà di questi Lavoratori e delle loro Famiglie a cui va la più sincera solidarietà di tutto il Circolo PD di Fabriano e dell’intera comunità territoriale. Il Circolo PD di Fabriano invita, inoltre, i vertici aziendali della BEST SPA insieme alle Rappresentanze Sindacali e le Istituzioni locali, a prendere iniziative che rappresentino una forte assunzione di responsabilità sociale nei confronti dei Lavoratori e delle loro Famiglie". Il Circolo PD Fabriano

L'energia negativa della crisi, che pervade il nostro territorio, dovrebbe infrangersi in un'energia contraria e reattiva, capace di medicare - quanto meno sul versante psicologico - le ferite di un sistema locale tormentato da crisi aziendali che assumono la forma dello stillicidio. E i problemi che si presentano a gocce, piuttosto che a grappoli, hanno la caratteristica di abituare l'organismo individuale e sociale, innanzandone la soglia di sopportazione e la tendenza all'immobilismo. Ed  anche per queste ragioni fa riflettere il debolissimo argine che la politica - comandata al governo dei procesi sociali - oppone all'inerzia delle cose e alla rassegnazione, ormai esponenziale, dei fabrianesi. Tanto per dare un’idea di questa congenito limite di intervento, ho riportato integralmente le 99 parole – pari a 646 caratteri comprensivi di spazi – con cui il Partito Democratico di Fabriano è riuscito nella magia di non prendere posizione, fingendo però di farlo, sul caso Best, ossia sulla vertenza operaia più rilevante dopo quella della Ardo. Si tratta di un documento emblematico, che sintetizza con brutale chiarezza la difficoltà ideale, culturale e politica che vive il principale partito politico fabrianese. Sicuramente la scelta montiana di Maria Paola Merloni e l'incertezza con cui la sezione di Fabriano ha vissuto le primarie hanno aggravato sintomi e decorso della crisi; una crisi che dipende da molte ragioni ma che, principalmente, è il frutto della marginalizzazione della militanza, sostituita col palliativo della pratica di governo e con l’occupazione militare delle cariche pubbliche. Siccome siamo uomini di mondo conveniamo con quanto affermava il giacobino Saint Just, secondo il quale nessuno, alla fine, governa senza colpe. Ma la stipsi ideologica del comunicato piddino - che riguarda il destino di quella classe operaia guardata sempre come riferimento sociale dai comunisti e con lo sguardo fisso sulla Rerum Novarum dalla sinistra democristiana - è qualcosa che denota un vero e proprio smarrimento, come se al Partito Democratico sfuggissero quasi interamente senso, prospettive e ragione sociale. Scandagliando le poche affermazioni ivi contenute, la sensazione di vuoto incontra sponde e suggelli. Sentite questa: "Non si può non essere sensibili per le difficoltà di questi Lavoratori e delle loro famiglie". Più che una frase chiave somiglia a una frase killer, una perifrasi al limite dell’incaglio linguistico, che fa più comodo di mille politologie per descrivere la distanza che separa il mondo del lavoro fabrianese dal partito che, almeno teoricamente, dovrebbe rappresentarne e convogliarne bisogni e istanze. Una perifrasi cui fa seguito una pigra dichiarazione di solidarietà e l'invito, di pura circostanza, alle parti sociali a trovare iniziative e soluzioni "che rappresentino una forte assunzione di responsabilità sociale". In pratica, nel comunicato del Pd, non trova dignità di pensiero alcuna analisi di contesto, delle dinamiche settoriali, delle scelte aziendali, del destino di questo territorio, delle possibili risposte dei lavoratori e del ruolo del movimento sindacale. Men che meno un cenno alle iniziative politiche che il partito intende sviluppare per ricercare una soluzione concertata e bilaterale per la vertenza Best. Questa rinuncia integrale al primato e alla centralità della politica nella costruzione degli equilibri economici e sociali, trasforma il partito democratico in un marchio commerciale, in una tenda al riparo della quale si consolidano carriere personali al netto di ogni ambizione di governo della società locale. Una posizione rinunciataria e subalterna, accompagnata dall’utilizzo di un linguaggio che non contiene, di conseguenza, né stimoli alla mobilitazione né ambizioni descrittive o di pedagogia politica ed economica. Si tratta, in sintesi, di un pronunciamento indegno di un partito a vocazione maggioritaria. Così indegno da far pensare alla scrittura di getto di un redattore improvvido e non troppo titolato a esprimere posizioni politiche. Perché se dovessimo pensare che sia questo il massimo livello di sintesi politica raggiunto da un partito che annovera almeno tre cervelli pensanti – Sorci, Mingarelli e Becchetti –, ciò significherebbe che la militanza nel Pd è in grado di produrre solo effetti mutageni di rattrappimento delle facoltà intellettuali. Ma siccome non siamo sedotti dall'antipolitica - e quindi non puntiamo alla sostituzione comunarda dei partiti con il partito unico della società civile - preferiamo immaginare questo testo prosciugato e smunto come voce dal sen fuggita e non precipitato di una cultura politica. Perché, nel caso, saremmo di fronte a uno scandalo ideale, all’interno del principale partito cittadino, meritevole di epurazioni  e di punizioni su vasta scala.
    

19 gennaio 2013

Vezzali a Fabriano il 25 gennaio: bionda fiorettista o bionda capolista?

Ancora un segno della brillante fantasia di
Fabrizio Moscè
Jesi ha da sempre una grande tradizione di scherma. Di quelle che sfornano campioni e medaglie d'oro: Cerioni, Trillini, Vezzali, De Francisca. In una logica di campanile, da fabrianesi lamentosi, potremmo tranquillamente invidiare ai nostri amici della Vallesina il rigore e il metodo, l'impegno e il sacrificio di uno sport in cui, spesso, si fatica a distinguere tra le diverse discipline. Certo è che, in un generoso slancio di sinergia territoriale, qualche jesino/a di spada lesta avrebbe potuto organizzare corsi di scherma anche da queste parti, e magari scoprire qualche talento su cui investire e attorno al quale creare interesse, motivazione e coinvolgimento. Invece gli schermidori marchigiani crescono e prosperano solo nella città di Federico II. A ciascuno il suo, direbbe con sicula saggezza Leonardo Sciascia. Fatto sta che, di punto in bianco, anche Fabriano avrà i suoi corsi di scherma per bambini. Corsi che verranno inaugurati il 25 gennaio alla presenza di una testimonial d'eccezione: la super medagliata olimpica Valentina Vezzali da Jesi. Come molti altri genitori attenti alle iniziative rivolte ai bambini mi sono compiaciuto di questa città che finalmente investe su se stessa e sulle sue giovani e giovanissime generazioni; mi sono sentito fiero di far parte di una comunità che si dispone e si propone a misura di bambino anche allargando l'offerta di attività sportive. E mi sono pure detto che la Vezzali è proprio brava a fregarsene di certi campanilismi d'entroterra se la posta in gioco è diffondere la passione per una disciplina sportiva che educa al rispetto delle regole e delle persone. Mi piace questo elemento. Mi piace davvero. Anzi mi piacerebbe davvero un sacco se non ci fosse un piccolo dettaglio, un granello di sabbia capace di inficiare questa straordinaria testimonianza di fratellanza territoriale. Già, perchè il 25 di gennaio è esattamente un mese prima delle elezioni politiche. Mi direte: che c'entrano i corsi di scherma col nuovo Parlamento? Di per sè nulla, sia chiaro. Ma forse c'entra qualcosa che la Vezzali - ossia la campionessa che viene a fare da madrina - sia candidata alle elezioni politiche. Anzi, per la precisione sia la capolista marchigiana della Lista Civica per Monti alla Camera dei Deputati. Certo i bambini non votano e pensano solo alla spada e al fioretto, ma altrettanto certamente votano le mamme e i papà che, magari, sono così indecisi sul da farsi che votare per una campionessa, alla fine, tanto male non fa e non butta. E siccome la Vezzali è una campionessa che ben conosce e apprezza le mille sfaccettature dello spirito olimpico, è facile che sia lei stessa a trovarsi a disagio al cospetto di persone che faticano a comprendere se devono considerarla la bionda fiorettista, la bionda capolista, o entrambe in straordinaria stoccata anfibia. Le soluzioni tampone sono sostanzialmente due: la prima è quella di posticipare il madrinaggio del corso fabrianese di scherma di un mese e un giorno, in modo tale che sulla sua venuta non si addensino sospetti di propaganda elettorale; la seconda è che Maria Paola Merloni inauguri il corso di fioretto - con la spada in mano - mentre la Vezzali ci spiega le recenti scelte industriali del gruppo Indesit. Uno scambio di ruoli davvero provvidenziale, perchè in quei termini non avremmo più dubbi su quale lista non votare.
    

18 gennaio 2013

Caso Best: modernità del conflitto e limiti dell'informazione


Sembra un destino quello di chiudere le fabbriche quando giunge l'inverno. Quasi che la stagione possa servire a rendere più duro e impegnativo il resistere dei lavoratori; come se il freddo e il grigiore fossero la prova metereologica e cromatica di una volontà collettiva che ha bisogno di essere temprata da condizioni difficili. Stamattina scendono fiocchi e per presidiare per ore una fabbrica con zero gradi di temperatura e la neve che cade ci vogliono buone ragioni e la certezza che quel che si sta facendo non è vano. Di fondo credo che Giove Pluvio, o chi per lui, lo faccia apposta, per dare a questa disperata lotta degli operai della Best il sapore del romanzo sociale e di un romanticismo ambientale in cui inserire la quotidianità degli scioperi, dei tavoli e delle vertenze. Era una giornata fredda e grigia, a metà anni ottanta, quando i lavoratori della Lorev scoprirono di non essere una realtà produttiva di eccellenza ma esuberi che non sarebbero stati più riassorbiti. Ero un ragazzo ma ricordo bene quello sciopero di solidarietà delle scuole superiori e la lunga fila indiana di studenti che raggiungeva a piedi lo stabilimento di Marischio. Sinceramente l'augurio è quello di un esito migliore, per la Best, rispetto a quello che conoscemmo allora. Ritornando all'oggi c'è da dire che la cronaca e i resoconti dei giornali evidenziano un elemento nuovo e cioè che gli impiegati si sono uniti agli operai, consapevoli che il destino è comune e che l'antica divisione tra colletti bianchi e colletti blu non ha ragione di esistere quando in gioco non è la diversità di mansioni e di profili professionali ma l'esistenza stessa dell'azienda e di un comune sentire. Così come cominciano a giungere, con un ritardo che induce al sospetto, le dichiarazioni di solidarietà del mondo politico. Dichiarazioni formali, anemiche e prive di coinvolgimento ma, come si dice in questi casi, piuttosto che niente è sempre meglio piuttosto. Quel che colpisce è invece la fatica dei giornali a cogliere gli elementi di modernità del conflitto che si è innescato attorno alla Best. Si parla di picchetti quando siamo di fronte a puri e semplici scioperi; si accenna a un muro contro muro tra azienda e sindacati quando l'asimmetria di un rapporto totalmente sbilanciato, dovrebbe suggerire ben altra immagine e cioè quella di un muro aziendale che si rovescia sulla carne viva e ferita dei lavoratori. La fatica del descrivere nasce dal paradosso di queste terre: essere luoghi ad alta densità operaia ma privi di cultura operaia. Un paradosso che ha trovato la sua espressione più compiuta con la crisi Ardo, quando l'implosione violenta di una grande azienda non ha prodotto, nei lavoratori, alcuna reazione ma soltanto un placido adeguamento alla pantofola degli ammortizzatori sociali lunghi. I lavoratori della Best, consapevoli di non avere il culo coperto dalla legge Marzano, hanno fatto ricorso all'unico strumento di rivendicazione possibile: se stessi, i propri corpi e le proprie vite. Ed è anche a causa di questa modernità "fisica" e non liquida del conflitto - che ha restituito vigore anche alle solitamente quiete federazioni metalmeccaniche dei sindacati confederali - che la politica è sembrata presa in contropiede. Una politica locale senza ragione sociale, senza rappresentanza chiara di interessi sociali, priva di una visione del modello industriale in grado di decifrarne caratteri e contraccolpi non può che faticare ad allinearsi ai cambiamenti. Adesso occorrerà capire il seguito, verificare i rischi di escalation, comprendere la soglia di contrattazione possibile, riflettere sulla sostenibilità di una lotta prolungata e dura, misurare il punto di resistenza delle organizzazioni sindacali e la loro border line psicologica e materiali. Questioni di fondo che incideranno profondamente sull'esito di questa battaglia e che avrebbero bisogno di un'informazione capace di raccontare e divulgare le complesse dinamiche del conflitto sociale e sindacale. Una capacità che ci è negata da decenni di sicuro paternalismo e di retorica armonia. Ma possiamo fare da subito un passo in avanti. Qui ed ora.
    

17 gennaio 2013

Merloni che non vende e Best che non si salva

Operai in bilico sul futuro
Ieri la Lista Civica per Monti si è presentata ai marchigiani. Alla conferenza stampa hanno partecipato, ovviamente, Maria Paola Merloni e Valentina Vezzali, il ticket rosa che guiderà le truppe montiane alla Camera e al Senato. Entrambe molto sorridenti ma l'un contro l'altra armate, come si addice a due primedonne costrette a condividere lo stesso spazio politico, la stessa compagine e gli stessi riflettori. MPM ha detto di aver lasciato il Pd perché il partito di Bersani è diventato troppo di sinistra, smarrendo l'identità riformista sulla cui base era stato fondato. Come se provare a essere semplicemente socialdemocratici non fosse l'equivalente ideale e ideologico dell'essere riformisti. Enigmi culturali irrisolti degli imprenditori prestati alla politica. Ma la Merloni ha parlato anche di altro, di una scelta fondamentale per il destino e il futuro del nostro territorio e cioè che Indesit non sarà venduta a qualche grosso player internazionale del bianco ma resterà saldamente in mano alla famiglia Merloni, unita attorno a prospettive di crescita e sviluppo. E' la prima volta, da anni, che appare all'orizzonte la notizia in controtendenza di un'azienda importante che resta invece di chiudere baracca e burattini e trasferire le produzioni in qualche paese in cui i lavoratori possono essere utilizzati come carne di porco. E certe notizie possono anche essere il propellente psicologico per ricominciare a guardare il futuro con occhio meno incupito. Conta poco, se non in termini di curiosità politica, che la ritrovata armonia in casa Merloni sia stata annunciata proprio in contemporanea con la conferenza stampa di presentazione della lista Monti. Il Professore ci ha messo forse lo zampino? Può darsi. Certo è che la coincidenza temporale ha colpito tutti. Intervistato da questo blog Maurizio Benvenuto, pochi giorni fa, aveva parlato di una lista Monti pronta a mettere radici sul territorio. Operazione alquanto difficile se MPM avesse dato il benestare alla vendita della Indesit. Oggi quella contraddizione tra volontà e realismo sembra essersi risolta grazie a una scelta industriale che sembra legata anche a considerazioni di natura politica. Risolta positivamente grazie alla politica e al centro montiano? Poco male. Per ora.

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Sempre più drammatica invece la situazione alla Best. Il presidio operaio e il confronto di ieri in Confindustria non pare abbiano spinto l'azienda a modificare la decisione granitica di procedere al taglio massiccio di posti di lavoro. La motivazione del pareggio di bilancio da ottenere subito suggella la natura di un management aziendale che pare esprimere una concezione stile mattatoio dei valori economici. E ha probabilmente ragione il sindacato quando sostiene che 125 esuberi su poco più di 300 lavoratori equivalgono a una vera e propria scelta non dichiarata di chiusura degli impianti. In compenso ieri sera sono giunte le parole di solidarietà del Vescovo di Fabriano Mons.Veccerica, che se non cambiano lo scenario di certo tolgono i lavoratori della Best da un isolamento frutto anche degli atteggiamenti assenteisti assunti dalla classe politica locale. Il vero problema è che, a questo punto, il tavolo negoziale non ha alcuna possibilità di decollare perché mentre i lavoratori hanno il disperato bisogno di un accordo l'azienda si trova esattamente nella condizione opposta e può opporre, al fronte sindacale, un argomento che, in tempi di crisi, è capace di far breccia e dividere i lavoratori: meglio dichiarare la resa salvando il salvabile che difendere un principio generale e chiudere la baracca. Sappiamo bene che quando hai ceduto una prima volta, come avrebbe detto Cicerone, hai creato il precedente e dopo qualche mese l'azienda ti farà cedere per la seconda volta, mettendo a segno la chiusura finale. Accettare la politica degli esuberi proposta in questo giorni significa quindi dilazionare l'agonia e poi, magari, rivendicare come una vittoria del sindacato quella che sarà soltanto una dismissione a rate dei lavoratori e della produzione. E siccome non sussistono le condizioni minime per un negoziato sensato ed efficace l'unica alternativa reale è l'occupazione della fabbrica, garantendo la produzione finché possibile - perché il blocco della produzione sarebbe un grande alibi per l'azienda - ed evitando, con la presenza fisica,  il trasferimento materiale degli impianti. Si tratta di una scelta sindacale difficile e complessa, che va gestita da quadri responsabili più ricchi di sangue freddo che di passione, da una politica capace di garantire un cordone di partecipazione solidale e da una comunità territoriale in grado di trasferire calore e sostegno alla lotta. Una combinazione di fattori difficile da realizzare ma a questo punto indispensabile. E' l'unica e l'ultima scelta possibile. Si arriverà a questo per salvare tanti posti di lavoro e la vita di tante famiglie? Temo di no ma spero, senza crederci neanche un po', davvero di si.
    

16 gennaio 2013

La lezione della Best e il mutismo dei candidati

Stamattina ho intravisto gli operai del Comune presi col montaggio delle plance elettorali. Il che significa che stiamo entrando nel vivo della competizione politica per l'elezione del nuovo Parlamento. La campagna elettorale, almeno teoricamente, è uno dei pochi momenti brillanti e coinvolgenti: si dicono verità, si sparano puttanate, si fanno volare stracci, si finge, si simula e si dissimula. Ma il clima e la temperatura della campagna elettorale di queste politiche dipendono profondamente dalla natura del Porcellum, un sistema a liste bloccate che spinge alla pantofola sia chi è certo di essere eletto sia chi è stato messo in lista per pura e semplice riempitura. Ciò significa, come mi ha saggiamente ricordati un amico direttamente coinvolto in questa campagna elettorale, che l'unica scelta sensata e razionale è quella di lanciare messaggi generici attraverso mezzi a larga diffusione come radio, televisioni e affini. Setacciare il territorio, incontrare gente, organizzare conviviali e simposi ha senso, infatti, soltanto se ci sono da accalappiare preferenze e se le scelte dei cittadini dipendono dall'identità e dalla prossimità dei candidati come, ad esempio, accade con le Comunali. Il Porcellum spingerà, quindi, verso una campagna elettorale moscia e insensata, ripulita di posizioni politiche che possano compromettere il riposante equilibrio già raggiunto con le candidature. Nel nostro piccolo abbiamo avuto un assaggio di questa "politica in brodo vegetale" proprio negli ultimi giorni. Dei cinque candidati alle elezioni politiche nessuno si è presentato ai cancelli della Best per cercare un contatto con gli operai, o per provare a rendersi direttamente e fisicamente conto della situazione: Casoli assente, Merloni assente, Ottaviani assente, Terzoni assente, Fucksia assente. Un candidato che abbia in mente altro oltre ai propri anni dorati in Parlamento dovrebbe, invece, avere il coraggio fisico e intellettuale di affrontare gli operai imbestialiti, di prendere la parola in un'assemblea di lavoratori rischiando fischi e insulti, di assumere impegni futuri, magari non di soluzione ma quanto meno di interesse e di rappresentanza territoriale rispetto a questioni che riguardano la vita e la morte di una intera comunità locale. Invece i candidati sono rimasti serenamente e tranquillamente nell'ombra. Così come i movimenti e i partiti che li sostengono, delineando una straordinaria e ingrigita uniformità tra la destra, la sinistra e chi si vanta di essere migliore di tutti gli altri messi assieme. E il grigiore condiviso ha fatto sfuggire a tutti un elemento nuovo e cioè che per la prima volta un segmento minoritario di classe operaia del nostro territorio è stato capace di reagire con rabbia e determinazione a una decisione aziendale, sfidando il buonsenso subalterno del sindacato e l'individualismo di chi ritiene possibile salvarsi da solo. Una risposta inedita che, per ora, ha costretto l'azienda a sedersi attorno a un tavolo, perché accendere un riflettore su certe decisioni è l'unico modo per procurare disagi a strutture manageriali abituate a tagliare e far scorrere sangue senza neanche sorbirsi le grida disperate di chi perde tutto in pochi istanti. Quel che sta accadendo alla Best e che, purtroppo, non è successo prima alla Ardo, fa di questi lavoratori la punta di lancia di una possibile reazione comunitaria che va sostenuta e coltivata. Il prossimo passo potrebbe anche essere l'occupazione della fabbrica. Nel caso si tratterebbe di un gesto duro, impegnativo, che ha bisogno di una solidarietà totale da parte del territorio e di grande sostegno politico. E se ciò accadesse certi silenzi dei candidati e delle forze politiche verrebbero messi direttamente alla prova. Ma temo che anche di fronte a un gesto tanto impegnativo e radicale la politica sarebbe capace di fare, ancora una volta, orecchie da mercante. Senza eccezioni e senza distinzioni.

p.s. in compenso ha preso posizione a favore degli operai il consigliere regionale Dino Latini. Di Fabriano?Nooo!Di Cerreto? Noooo! Di Genga? Noooo! Di Osimooooooo!!
    

15 gennaio 2013

La storia della Best in una sola storia

Enrico Morettini, operaio Best e
sindacalista della  Fiom
Per qualche giorno abbiamo tenuto il riflettore accesso su spezzoni ed esponenti della borghesia locale, affascinato dal moto politico e dalle traiettorie del potere. Una borghesia serena e appagata, ignara di crisi e disagi, che ha in mente di dare ordine sociale al caos, convinta che una giusta lontananza dai problemi prosciughi l'animo e dia l'oggettività con cui il chirurgo lavora di bisturi. L'interrogativo amletico è solo se candidarsi e con chi e quale posizione occupare in lista perché pure da lì si deduce il rango politico acquisito. Ma questo è il lato oscuro, the dark side of the moon. Poi c'è la politica che sconfina fin dentro la vita, quella che comporta un investimento psicologico dal quale ci siamo faticosamente emendati ma di cui sappiamo subito riconoscere l'impronta e il lessico familiare. L'ho ritrovata stamattina sulle pagine locali dei quotidiani, nella foto che ritrae uno degli operai della Best costretti ad azioni estreme ed eclatanti per salvare il posto di lavoro, lo stipendio e la dignità che serve per andare avanti. Quell'operaio si chiama Enrico Morettini. L'ho conosciuto a metà degli anni ottanta quando, da studenti delle superiori, ci affacciavamo alla militanza politica tra coloro che furono ribattezzati i "ragazzi dell'85". Io simpatizzavo per il Pci e lui per Democrazia Proletaria. Lui un ragazzaccio rumoroso e fragoroso, con dentro l'anima la quantità di follia erasmiana necessaria a creare il clima propizio; io più introverso, silenzioso, individualista di pancia seppur cartesiano di cervello. Ed era questa diversità radicale di carattere a concederci quel sapore fraterno che alimenta l'empatia tra gli inconciliabili. Poi, come è naturale, ognuno ha preso la sua strada. A lui è toccata la fabbrica e il volerci stare da protagonista attraverso la Fiom, un sindacalismo su misura per uno come lui. Un destino che non credo abbia subito come una diminuzione di sè ma scelto come la modalità più fervida per essere coerente con i propri ideali di gioventù e la sorridente passione per un comunismo libertario che esisteva solo nei suoi sogni. Ieri era ad Ancona, costretto dalla circostanze e dalle scelte di una multinazionale a trasformare i vecchi giochi e le antiche scelte di adolescente in un Armageddon personale ed esistenziale. E nel guardare la foto me lo sono figurato almeno mezzo metro avanti agli altri colleghi: un po' per gioco - perchè, come cantava Bennato, ogni favola è  un gioco - e un po' per sopravvivenza; un po' per la vita e un po' per il gesto; un po' per il futuro e un po' per ciò che eravamo. Ti auguro di farcela compagno Morettini. The Best.
    

14 gennaio 2013

Un nuovo episodio nella grande saga del centro

Nel film Amadeus - vincitore di otto Oscar e dedicato alla vita tumultuosa di W.A.Mozart, magistralmente raccontata da un Antonio Salieri roso dall'invidia e dall'ammirazione - il grande genio musicale austriaco è ripreso più di una volta in totale solitudine al tavolo da biliardo. Con la musica che prende forma direttamente nella sua mente fulgida e trova la sua forma nella delizia geometrica delle traiettorie delineate dal moto delle sfere da biliardo e dal susseguirsi delle sponde. La politica, di norma più vicina ai sentimenti biliosi di Salieri che non al genio di Mozart, ha le sue geometrie, le sue carambole, i suoi giochi di sponda che servono ai contendenti per trovare la soluzione più adatta a vincere la partita. E in tal senso si parla, proprio in queste ore, di una proposta di nuove geometrie politiche locali, di un gioco di sponda al tavolo verde che si inserisce come ennesimo episodio in quella che si potrebbe legittimamente definire la "saga del centro politico" a Fabriano. Si dice infatti che l'attivissimo Ottaviani abbia cercato un abboccamento col Pdl per ragionare su una sorta di patto di desistenza, su un accordo incrociato in ragione del quale Ottaviani si impegnerebbe a far confluire sul Pdl, al Senato, il pacchetto di voti di cui dispone in cambio di un sostegno del partito di Berlusconi alla lista dell'Udc alla Camera in cui è candidato. In questo modo Ottaviani potrebbe incrementare la sua "dote elettorale" rispetto alla lista Monti, e quindi il suo potere contrattuale sugli equilibri futuri del centro, mentre Casoli disporrebbe di un pacchetto di voti aggiuntivo nella sua sfida personale con Maria Paola Merloni. Da quel che si mormora pare che il Pdl abbia rifiutato l'avance perché la proposta spicca per manifesta assenza di fondatezza politica. Primo perché sia Casoli che la Merloni sono al terzo giro e quindi il sapore del derby tra industriali fabrianesi si è estinto da tempo; secondo perché Berlusconi ha indicato chiaramente nel Pd - ossia nel partito lasciato da Maria Paola Merloni - il soggetto politico da battere; terzo perché sostegni incrociati di tal fatta possono avere senso tra forze che, almeno sul territorio, condividono il medesimo posizionamento politico, mentre da noi Pdl e Udc siedono su fronti opposti. La verità politica è che quella di Ottaviani è una proposta asimmetrica, priva di quella logica del win win che deve necessariamente nutrire i processi negoziali di successo. Con il lodo Ottaviani a guadagnarci sarebbe stato, invece, il solo Ottaviani, dato che la partita politica principale  non è tra Casoli e la Merloni ma tra quest'ultima e il leader del Polo 3.0 e riguarda la contendibilità del centro e dei suoi futuri equilibri interni. Insomma, il tentativo di ampliare il fronte pare sia andato a vuoto e adesso piange il telefono, come avrebbe cantato il grande Domenico Modugno.
    

13 gennaio 2013

Lo scontro al centro che rimette in moto la politica

Un tempo il centro politico era un luogo immobile e tolemaico. E i fabrianesi lo sanno bene, visto che del centro hanno conosciuto una versione di lungo corso e di indubbio successo. Ma adesso qualcosa è cambiato. Anche nella nostra città. Non per una critica proveniente dall'esterno, dalla destra o dalla sinistra, ma dall'interno, come effetto dello sparigliamento montiano, che ha costretto un'intera area politica a mettere in agenda la propria autoriforma. Per ora abbiamo capito, dalla viva voce di uno dei protagonisti locali, che la Lista Civica Monti non sarà un'aggregazione elettorale transitoria, una coalizione yogurt con data di scadenza, ma un vero e proprio partito politico, fondato sul patto tra quel che resta della borghesia e quel che resta della classe operaia. In pratica una Democrazia Cristiana rinnovata ma sempre interclassista, con l'I Phone al posto dell'aspersorio e una visione tecnocratica che subentra al permanente e sotterraneo clericalismo del vecchio partito cattolico. Questo disegno, per la natura materiale e ideologica che lo connota, non potrà che risucchiare nella sua orbita l'Udc fabrianese. Il partito di Casini può percorrere due strade: restare quel che è ora - ossia una confederazione di piccoli potentati individuali attivi nelle frazioni - ed essere assorbito dalla lista Civica per Monti recitando, al massimo, il ruolo di cespuglio subalterno. E questa sarebbe la soluzione più rapida e indolore per il centro a trazione merloniana. Oppure giocare da potenza a potenza e in termini paritari con la componente merloniana. E forse è anche per questo che Viventi ha puntato su Ottaviani alla Camera, collocandolo al quarto posto della lista, ossia in una posizione di tutto rispetto. In questo senso, come si diceva prima, il mandato di Ottaviani è molto chiaro: garantire l'autonomia dell'Udc rispetto a Maria Paola Merloni e rinnovare il partito per contendere, alla ex deputata del Pd, l'egemonia sul nuovo centro. Primum vivere deinde philosophari. Questa prospettiva di rinnovamento dell'Udc ha però bisogno di un accordo tra Ottaviani e Galli, perchè avere in uno stesso partito due rinnovatori spinti che non si accordano può determinare squilibri profondi e sicuri insuccessi. Basti ricordare, in grande, lo scontro che oppose Eltzin e Gorbaciov e la gara a chi dei due fosse più riformista, drammaticamente conclusasi con una nuova glaciazione politica. Da questo punto di vista non è un caso che proprio stamattina l'assessore Galli abbia dichiarato alla stampa di voler incontrare uno ad uno i cinquemila disoccupati e cassintegrati fabrianesi. Una sfida stakanovista che farebbe sorridere se non fosse direttamente connessa a un evidente messaggio di presenza e a una ambizione di leadership sui nuovi processi che coinvolgono il centro politico fabrianese. Comunque vada Udc e Lista Civica per Monti sono condannati a convivere e, alla fine, a fondersi in un unico soggetto. E questo, in prospettiva, significa che non sarà più automatico e scontato l'asse Pd - centro per il governo della città, perchè avremo un centro che potrà allearsi con la destra del Pdl o con la sinistra del Pd, caratterizzandosi come ago della bilancia ed elemento strategico di aggregazione. Piaccia o meno questo scenario rimette in movimento la politica fabrianese scongelando, in una prospettiva di governo locale, i voti della destra e restituendo al Pd un profilo più nettamente di sinistra. Per ora il centro ha fatto la prima mossa, ma siccome la politica è innanzitutto "sistema" è probabile che queste elezioni politiche costituiscano un'occasione per ricostruire una destra forte e una sinistra meno silenziosa e dorotea. E se fossi nei panni di Sagramola inizierei a girare col corno rosso e il nano che fa gli scongiuri.
    

12 gennaio 2013

Ad oggi Casoli e Merloni i fabrianesi eletti

Nel pieno di questa continua altalena di candidature, per le elezioni politiche, forse è utile approfittare dello stacco del fine settimana per fotografare lo stato dell'arte e capire come sta evolvendo la situazione politica locale. Per prima cosa le certezze: Francesco Casoli è capolista al Senato del Pdl e quindi entrerà per la terza volta a Palazzo Madama. Idem con patate per Maria Paola Merloni, capolista della Lista Civica per Monti e quindi sicuramente eletta. Per lei si tratta di un debutto al Senato che, per via dei problemi di omogeneità del risultato legati ai premi di maggioranza su base regionale, diventerà la vera fossa dei leoni del nuovo Parlamento. E' di ieri sera, invece, la notizia della candidatura di Ottaviani alla Camera per l'Udc. Una candidatura che non ne prefigura l'elezione, ma che si caratterizza come mossa direttamente finalizzata a un mutamento degli equilibri interni all'Udc e come linea difensiva da cui partire, subito dopo le elezioni poliliche, per avviare un'aspra guerra di posizione coi merloniani della coalizione montiana. Sempre meno probabile risulta, invece, la candidatura di Urbani alla Camera per il Pdl, perchè senza posizioni di testa disponibili nella lista berlusconiana la sua rischia di essere non tanto una candidatura di servizio o di bandiera, quanto un'operazione sacrificale - la terza in due anni - cpace di eroderne ulteriormente la credibilità e il ruolo politico locale. Più complessa, invece, la situazione delle due candidate del Movimento 5 Stelle. Fino a qualche settimana fa erano date entrambe per certe, perchè i sondaggi assicuravano almeno tre deputati e un senatore al movimento di Grillo. La discesa in campo di Monti, le primarie del Pd e il ritorno prepotente di Berlusconi, abbinati alla radicalizzazione estremista del 5 Stelle stanno invece cambiando, pure da noi, lo scenario e i rapporti di forza. In questo senso pare sempre più improbabile che i grillini possano eleggere più di due deputati nelle Marche. Il che lascerebbe fuori dalla Camera Patrizia Terzoni. Ma pare che nelle ultime ore sia a rischio pure l'elezione, data da tutti per certa, di Serena Fucksia al Senato, nonostante la posizione da capolista. Si sta infatti verificando una stabilizzazione al ribasso del Pd nei confronti della lista Monti, a cui cederebbe uno scranno senatoriale, e, in parallelo, una nuova spinta che si addensa attorno al Pdl - dopo la performance di Berlusconi da Santoro e la conseguente mobilitazione dell'elettorato del centrodestra - che potrebbe far scattare il secondo senatore nelle Marche al Popolo delle Libertà. Il che, in una visione complessiva del risultato, metterebbe a rischio proprio l'elezione della Fucksia. Insomma, ad oggi  i due eletti sicuri sembrerebbero Casoli e Merloni. Ma di doman non v'è certezza.
    

11 gennaio 2013

Ottaviani candidato e l'OPA sull'Udc


E’ stato il blog di Radio Gold, circa un’ora fa, a dare la notizia: Marco Ottaviani si candida alla Camera dei Deputati, con la lista dell’UDC. Si tratta di uno sbocco politico che brucia di molto i tempi perché, nell'ambito del totonomine, si mormorava di un Ottaviani sulla rampa di lancio in paziente attesa delle elezioni regionali. E’ vero che il giorno di Natale, proprio dalla pagine di questo blog, Ottaviani aveva dichiarato il suo endorsement nei confronti del centro montiano, ma nulla lasciava presagire una candidatura alle elezioni politiche. E giusto ieri, tanto per rimarcare qualche frizione nel composito schieramento montiano fabrianese, Maurizio Benvenuto aveva preso, in qualche modo, le distanze da Ottaviani attribuendogli, senza troppa diplomazia, una vocazione elitaria poco compatibile col nuovo disegno centrista. La candidatura con l’Udc consente, invece, a Ottaviani di scartare di lato, di rispondere alla stoccata dei merloniani e di rimanere saldamente all’interno del progetto centrista e del suo consolidamento locale. In questo senso occorre considerare che l’UDC a Fabriano è, oggettivamente, il soggetto politico decisivo nella costruzione di una massa critica montiana. Sia per  il radicamento storico sul territorio che per la quantità di consensi tuttora disponibili. Il che prefigura una dialettica potenziale e potenzialmente devastante, all'interno del centro, tra la componente tecnocratica di matrice merloniana e quella cattolica e curiale incarnata culturalmente e antropologicamente da Ottaviani. Il dato politico essenziale – considerato che l’UDC eleggerà un solo deputato, ossia il capolista Ciccanti – è che Ottaviani ha lanciato, attraverso la sua candidatura - un’Opa ostile sull’Udc di Fabriano. Ciò prelude a una strategia politica in cui è inevitabile l'accordo tra Ottaviani e Galli; un accordo finalizzato a far fuori tutta la vecchia guardia nazionalpopolare favorendo l’accesso alle posizioni di comando dei giovani turchi che già scalpitano all’interno del partito. Si tratta di una partita complessa in cui mosse e contromosse si sovrapporranno sin dai prossimi giorni, ed è sicuramente anomalo - e per questo politicamente di rilievo - che le scosse telluriche della politica fabrianese provengano direttamente dall'area di centro, con destra e sinistra a riflettere su quanto accade senza alcuna tentazione di movimento o di iniziativa. Sarà quindi interessante riflettere non tanto su cosa accadrà da qui al voto ma sugli accadimenti successivi alla tornata elettorale. Nel frattempo, tanto per non farsi fregare dagli eventi, l’unico sguardo rivelatore sarà quello capace di scrutare e indagare sotto il pelo dell’acqua perché è esattamente e tutti lì l’epicentro dei bradisismi politici locali.
    

Quel che dovrebbe fare l'Asse delle Serre

In questi giorni di calda passione politica ed elettorale - anche locale - tiene giustamente banco il caso Best, un altro colpo all'economia del territorio. L'annuncio di circa 120 licenziamenti, successivo a scelte di delocalizzazione dell'azienda che hanno assunto spesso la fisionomia del sotterfugio, costituisce un colpo mortale per il territorio non solo per la perdita di posti di lavoro e per il massacro di esistenze che la crisi sta producendo, ma anche per i contraccolpi psicologici che si generano sul clima di fiducia delle famiglie e delle persone. Tali propositi di macelleria sociale, in stile messicano, somigliano alle ricadute che si verificano dopo le lunghe malattie, alla speranza che si consuma lentamente producendo rassegnazione, rassegnazione e ancora rassegnazione. Ma quel che continua a stupire è la qualità della risposta politica e sindacale alla strategia dei licenziamenti di massa. Una risposta educata e scontata, appenata e penosa. Ora, sappiamo bene che - quale che sia la risposta, da quella più silente a quella più rabbiosa - non c'è nulla che possa opporsi alle dure leggi dell'economia globale e al fatto che produrre altrove è più redditizio che restare e difendere fortilizi produttivi mezzo diroccati. E sappiamo anche che davvero poco può fare la politica, specie quella locale, per fermare processi che esprimono un'inerzia minacciosa e transnazionale. La politica può solo creare un clima negoziale, a partire dal quale contrattare risorse, triangolando cinicamente con le imprese e con lo Stato. Concretamente ciò significa che l'Asse delle Serre, ossia la concertazione decisa tra Sagramola e Alessandroni a tutela dei posti di lavoro alla Best, è solo un modo per far vedere, in termini mediatici, che le istituzioni si muovono e provano a fare qualcosa. Costruire tavoli di trattativa, infatti, non ha senso e non ha prospettiva se non sono preceduti da un'operazione di clima capace di incidere sulla qualità della negoziazione. Perché  allo stato attuale, l'asimmetria di potere tra gli americani proprietari della Best e il territorio e chi lo rappresenta è incolmabile e smisurata. Quindi contrattare non ha senso perché significherebbe soltanto aderire alle condizioni e alle decisioni adottate dall'impresa che taglia la corda. Creare il clima significa invece far diventare il caso Best, come si sarebbe dovuto fare a suo tempo con la Ardo, una questione nazionale su cui accendere i riflettori dei mass media. Lancio una proposta in quattro punti:
  • Sviluppare un'azione propedeutica di conoscenza sulle modalità di lotta adottate dagli operai ternani della Tyssen quando l'azienda decise di riportare in Germania alcune produzioni di acciaio. Giusto per capire quali sono le lotte che portano risultati
  • Dichiarare uno sciopero generale territoriale perseguendo, per una volta, obiettivi di adesione totale
  • Incatenare Sagramola e Alessandroni nudi ai cancelli della Best - immagine già di per sé terribile - chiamando immediatamente una troupe di Sky Tg 24, approfittando del fatto che una delle inviate del telegiornale è una nostra concittadina
  • A telecamere accese incendiare simbolicamente - ad uso della telecamera - il pneumatico di un autoarticolato, in modo tale da restituire un'immagine di conflitto perché quel che conta è l'immagine non la realtà
A quel punto, complice anche la campagna elettorale, interverrebbe il Governo a riportare la calma e l'ordine, utilizzando qualche palata di euro come ammortizzatore sociale aggiuntivo. Perché solo l'intervento del Governo può riequilibrare i poteri contrattuali, fornendo un'alternativa possibile e plausibile alla delocalizzazione delle imprese locali. E' solo fantascienza e fantapolitica?