31 luglio 2013

La Casa di Riposo e le spartizioni in zona d'ombra

Oggi si riunisce il Consiglio Comunale che voterà per la nomina dei componenti del Consiglio di Amministrazione della Casa di Riposo, recentemente trasformata in Azienda Pubblica di Servizi alla Persona (ASP). Tecnicamente, come riportato nella proposta di deliberazione che verrà presentata al consesso, il Consiglio procederà alla nomina di tre membri: due di maggioranza e uno di minoranza. Per ora l’unica certezza pare essere il nome del futuro Presidente nella persona dell’ex Sindaco Francesco Santini, che nonostante l'impegno politico nel Pd offre garanzie di competenza gestionale e di riorganizzazione manageriale della struttura. Ovviamente, considerata la funzione fondamentale che la Casa di Riposo ricopre come strumento di tutela delle persone anziane e cartina di tornasole della qualità del welfare locale, rimane assai indigesto il dover fare i conti con una politica che mette mano alle nomine come fossero scalpi di potere autoreferenziale da esibire e collezionare per finalità che nulla hanno a che vedere con la mission della struttura coinvolta. Ma fare del moralismo sulla decadenza della politica, ormai ridotta a puro sottogoverno e a promozione di uomini senza qualità con forte tendenza alla somaraggine, oltre a servire a poco è pure qualcosa di reiterato e noioso. Ragion per cui vale la pena dare uno sguardo d’insieme alla materia, magari soffermandosi su alcuni elementi di apparente dettaglio che, piaccia o meno, pesano come macigni sule scelte che si andranno a fare. Nella proposta di deliberazione c’è infatti un passaggio assai delicato e ambiguo che potrebbe scardinare quel principio di spartizione delle nomine tra maggioranza e minoranza che, paradossalmente e realisticamente, costituisce una sorta di salvacondotto donato da una burocrazia regolatoria alla democrazia e al pluralismo. La nomina dovrebbe avvenire, infatti, con due votazioni a scrutinio segreto e, proprio per rimarcare l’ambiguità del testo, è opportuno riportare integralmente la formulazione della deliberazione laddove essa propone di “procedere alla nomina dei n. tre componenti il c.d.a. dell’ASP di cui due in rappresentanza della maggioranza e uno della minoranza consiliare mediante due distinte votazioni a scrutinio segreto”. Si tratta di due righe che grondano di ambiguità da ogni poro, perché non si riesce a comprendere il senso delle due votazioni distinte: se si intende una prima votazione in cui la maggioranza vota per i due membri di sua competenza seguita da una seconda in cui è solo la minoranza a votare il suo esponente nel Consiglio di Amministrazione; oppure se si mantiene la distinzione tra due membri scelti dalla maggioranza e uno dalla minoranza con due votazioni distinte ma plenarie, in cui votano tutti i consiglieri comunali, con un devastante potenziale di interferenza da parte della maggioranza, che potrebbe convogliare una parte dei suoi voti su figure indicate da pezzi di opposizione coantigui alla maggioranza nonostante un posizionamento ufficiale nell'ambito della minoranza. Da questo punto di vista la tutela di una spartizione virtuosa – e mi si perdoni l’ossimoro - potrebbe essere garantita o da due sessioni di voto distinte in cui in prima istanza vota solo la maggioranza e poi di seguito solo la minoranza, o da un’unica sessione di voto plenario, con la scelta contestuale di tutti e tre i membri del c.d.a., affinché la necessità di non disperdere i voti e di distribuirli attentamente eviti tentazioni coloniali dei partiti del centrosinistra sulla debole e frastagliata minoranza consiliare. E siccome la democrazia, come insegnava il grande Alexis de Toqueville, è sempre tutela delle minoranze e resistenza alle prevaricazioni della maggioranza, vogliamo credere e sperare che l’opposizione sarà capace di far approvare un emendamento alla deliberazione su una modalità di voto che eviti intrusioni furbette e di convergere unitariamente su un nome che sia davvero espressione della minoranza, senza cadere nella tentazione della corsa solitaria o, peggio ancora, del sostegno a figure che possano essere ricondotte a una zona grigia in cui non si è chiaramente né governo né opposizione, in lode a un mercimonio tutto fabrianese che ha generato rendite di posizione ormai insopportabili e insostenibili.
    

29 luglio 2013

L'Indesit pentastellare che un po' riluce e un po' cannibalizza

Il Movimento 5 Stelle è l'unica forza parlamentare che si è fatta politicamente carico della questione Indesit. Organizzare una manifestazione con una ventina di deputati e senatori di sabato pomeriggio, radunando quattrocento persone e "costringendole" a sfilare in corteo, nel giorno più caldo del 2013, non era nè scontato nè facile. Si tratta, al di là del valore dei numeri, di un evidente successo politico per almeno due ragioni: innanzitutto perchè la piazza grillina era molto più numerosa di quella che, tanto per fare un esempio, ha accolto la Camusso e poi perchè qualsiasi altro partito politico avrebbe radunato, al massimo, un decimo dei partecipanti mobilitati dai grillini. Il Movimento, nella sua declinazione locale e fabrianese, aveva estremo bisogno di una prova di forza, perchè fino ad ora non era riuscito a dare una rappresentazione plastica ed efficace di quella leadership elettorale che, a Fabriano, gli era stata riconosciuta dalle urne. La manifestazione di sabato, sostenuta emotivamente anche dalle recente esperienza ostruzionistica praticata in Parlamento, è stata quindi un'operazione di riposizionamento politico e di rivendicazione egemonica nei confronti di un voto operaio che, nella nostra città, sembra ormai in libera e definitiva uscita rispetto agli schemi e alle fedeltà centriste del passato. E forse non è un caso che i parlamentari grillini, seppur con diverse sfumature e sensibilità, abbiano approcciato alla vertenza Indesit in forma manichea, ossia proponendo alla piazza uno schema moralmente bipolare e politicamente semplificato: da una parte un gruppo industriale ispirato dal maligno che fa utili a palle e scappa col malloppo; dall'altro una comunità ferita nella sua fedeltà storica che osserva, atterrita e incredula, il tradimento di una famiglia e di un'azienda. Si tratta di una semplificazione comprensibile e legittima, di un taglio di accetta che sicuramente inorgoglisce e mobilita la rabbia operaia e il senso di appartenenza dei grillini, ma che non colloca il naturale bisogno di schierarsi e di prendere posizione in un contesto di mercato assai più stringente e spietato di quel che si vuol far credere ricorrendo alla rappresentazione di una lotta tra il bene e il male. I parlamentari grillini, che giustamente rivendicano un esercizio del mandato fondato sullo studio e sull'informazione, dovrebbero essere i primi ad ammettere che il mercato degli elettrodomestici è ormai ridotto a una decina di player dei circa 400 che operavano all'inizio degli anni settanta; che i più competitivi sono gruppi giganteschi fondati sulla diversificazione e quindi su azioni economiche e finanziarie compensative all'interno del proprio "portafoglio delle attività", che a Indesit non sono consentite, in quanto azienda integralmente scolpita dalla produzione di elettrodomestici; che i mercati dove Indesit è più forte sono quelli più colpiti dalla crisi dei consumi e dal crollo degli indici di fiducia delle famiglie; che la competitività, quando il mercato restringe le sue dimensioni, è direttamente legata a feroci razionalizzazioni di costo e in queste condizioni il mercato costringe a sopravvivere o crescendo attraverso acquisizioni o mettendo a punto alleanze con altri player che preludono a una cessione. Questo è il quadro generale e dentro tale perimetro va collocata la vertenza, a prescindere dal fatto che si decida o meno i schierarsi dalla parte dei lavoratori. Una complessità che non mi pare sia emersa con chiarezza da questa prima tappa itinerante del Parlamento in Movimento. Da ultimo c'è un'altra questione su cui vale la pena riflettere e cioè quali effetti possa produrre l'iniziativa politica dei grillini sull'esito della vertenza Indesit. L'impressione è che l'effetto non potrà che essere minimo in quanto le pratiche di concertazione - e i relativi tavoli di confronto - non attribuiscono alcun ruolo specifico al Parlamento, delegando la materia all'autonomia delle parti sociali e alla moral suasion del Governo. E in questo contesto occorre anche tenere conto di un ulteriore elemento negativo di contesto e cioè la tensione, latente e irrisolta, tra Movimento 5 Stelle e sindacati, innescata dalle dichiarazioni di Beppe Grillo contro la Triplice durante la campagna elettorale. Un tempo, quando i sindacati erano le cinghie di trasmissione dei partiti politici, era sufficiente una presa di posizione della politica per generare un automatico adattamento del fronte sindacale. Oggi non è più così e i sindacati non accettano interferenze nel loro spazio egemonico, che è quello della rappresentanza dei lavoratori. Ragion per cui è assai probabile che il sindacato possa aver percepito come un'invasione di campo o come il rischio di una cannibalizzazione della sua funzione sociale il veder sfilare un corteo a difesa dei lavoratori di chiara e dichiarata emanazione politica. E, che piaccia o meno, certe cose contano e incidono profondamente sulla strategia delle alleanze su cui si basa lo sviluppo di una qualsiasi vertenza. E l'affaire Indesit, già segnato dai compromessi e dai cedimenti, ha più che mai bisogno di unità e di attenzione ai giochi di ruolo che lo alimentano.
    

28 luglio 2013

Le pagelle della settimana 21 - 28 luglio 2013


Giovanni Balducci voto 3
Gli uffici comunali dall’8 al 22 agosto saranno aperti solo di mattina mentre il 16 agosto ci sarà il fermo di tutti gli sportelli e di tutti gli uffici municipali, ma l’assessore al personale non ha nulla da eccepire sulla riduzione del servizio ai cittadini. Giudizio critico: menefreghista!
Mario Paglialunga voto 4
Invia in commissione una ipotesi di regolamento di polizia urbana che si focalizza su cani, elemosine, musica, birrette all’aperto e fuochi d’artificio. Temi notoriamente fondamentali per il futuro della città e per la sua coesione economica e sociale Giudizio critico: spaesato!
Claudio Alianello voto 5
Lascia l’aula nel corso della discussione sulla Tares ma non è chiaro se per manifesto disinteresse, per altri impegni non prorogabili o per silente dissenso nei confronti dell’assessore Tini che ormai fa il bello e il cattivo tempo. Giudizio critico: pilatesco!
Daniela Saitta voto 6
Il neocommissario di Impresa Spa, nominato dal Ministero per rimettere in moto i cantieri della Quadrilatero, dichiara che a breve riprenderanno i lavori ma che non c’è una previsione certa sui tempi di completamento dell’opera. Giudizio critico: veritiera!
Giuseppe Galli voto 7
Attiva i servizi autobus a chiamata per le frazioni, combinando esigenze di budget e universalità del servizio anche per le realtà più lontane dal centro urbano. Si spera sia un primo passo verso la razionalizzazione organica di traffico, viabilità e trasporti. Giudizio critico: altalenante!
Giuseppe Ferretti voto 8
Il Sindaco di Moscano lamenta errori e mancanze nel depliant del Comune utilizzato per comunicare le chiusure estive dei pubblici esercizi, col ristorante di famiglia spostato d’imperio da Piaggia d’Olmo a Valleremita e senza manco un recapito telefonico. Giudizio critico: Impepato!
    

Tutti crucchi pazzi d'amore per la città del fare


Nel mese di settembre del 2012 fummo tutti piacevolmente colpiti nell'apprendere che l'architetto svizzero Benedikt Loderer aveva donato alla Biblioteca Comunale un suo volume e i relativi materiali di riferimento, in lingua tedesca, dedicati al centro storico di Fabriano. Ci chiedemmo cosa potesse spingere un professionista di livello internazionale a dedicarsi a un centro storico deturpato dalle mani di barbari industrialisti, affezionati alle demolizioni e alle brutture più che alle riscoperte e alle valorizzazioni. Ma fummo, anche per questo contrasto, assai contenti dell'attenzione e del dono. A distanza di quasi un anno c'è di nuovo sapore di crucco in città: tale Burkhard Stark, identificato dalla stampa locale come imprenditore tedesco, si presenta in Comune e chiede di incontrare Sagramola - Sindaco ormai noto dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno - per donare 20 mila euro alla città; denaro da investire, ovviamente, in opere di pubblico interesse. Il primo cittadino ha immediatamente inarcato il sopracciglio e morso il labbretto per trattenere l'emozione perchè, parole sue, si tratta di un gesto che lo ha molto colpito. Ovviamente Sagramola ha pure colto l'occasione per fare di questo Signor Stark una sorta di fabrianese ad honorem, un prototipo di uomo d'affari forestiero affezionato al territorio e capace di suscitare, col suo gesto generoso, l'emulazione degli imprenditori nativi da ieri stimolati ad agire negli stessi termini e con le medesime modalità. Tutto bellissimo, edificante, inaspettato e, per certi versi, natalizio. Al punto che i giornali hanno fatto diligentemente sponda all'operazione, descrivendo il generoso donatore come un imprenditore che lavora genericamente coi produttori fabrianesi di cappe e senza fornire troppi dettagli e magari pure prosaici. Dando uno sguardo al sito Internet dell'azienda di cui Stark è CEO (www.refsta.com) - con l'ausilio del traduttore di Google - si scopre, invece, che Refsta è da dieci anni il partner per il mercato tedesco della Tecnowind, ossia il soggetto incaricato di commercializzarne i prodotti. Il che, ovviamente, lascia del tutto intatta la legittimità e la generosità della donazione. Ma non ci esime dal rilanciare alcune domande: siamo di fronte a un improvviso slancio di favrianesità d'importazione o questa donazione è connessa al ruolo che l'Amministrazione Comunale ha svolto per trovare una soluzione al caso Tecnowind? Perchè si è cercato di fornire all'opinione pubblica la versione di un imprenditore genericamente amico dei cappari fabrianesi e umanisticamente sensibile alle questioni del territorio quando probabilmente siamo di fronte a un grazie per lo scampato pericolo del fallimento di Tecnowind? E per quale ragione si comunica alla città questo gesto generoso, quasi fosse un elemento di marketing politico, quando si tratta invece di una scelta che poteva serenamente restare in uno spazio di anonima e riservata discrezione? L'impressione è che questa amministrazione riesca nel quotidiano miracolo di destare sospetti e malizie anche quando le cose risultano sostanzialmente lineari e genuine. A riprova che comunicare è un'arte di cui a Palazzo Chiavelli si ignorano del tutto i fondamenti e le logiche.
    

26 luglio 2013

Il nostro Stephan Derrick

Mi capitava spesso di incontrare Paolo Bassani. Specie di mattina, quando lo vedevo passeggiare con la serenità di chi ha compiuto un dovere fino in fondo. Guardandolo mi veniva sempre da pensare se la quiescenza di un poliziotto fosse una sorgente di nuova vita o se invece non rappresentasse un motivo di privazione, una prigione lieve in cui il passeggiare subentra all'inseguire e lo sguardo distaccato sostituisce il pathos dell’occhio abituato all'investigazione, alla ricerca e alla ricostruzione di una scena. Paolo Bassani, senza volerlo e forse senza saperlo, è stato il nostro Stephan Derrick: un poliziotto attento alla dimensione umana che si nasconde dietro i reati e le devianze, il servitore di un’idea di legge come strumento che certamente punisce ma, allo stesso tempo, redime, riallinea e rigenera. Di lui ho un bel ricordo personale che risale a circa trenta anni fa. Era un sabato sera sera del 1983 o del 1984 quando, con alcuni compagni di scuola, ritornammo totalmente sbronzi da una festa matelicese. Con la tipica e sconsiderata leggerezza degli adolescenti  invece di stenderci a letto decidemmo di recarci al Teatro Gentile, approfittando dei biglietti omaggio che venivano distribuiti agli studenti delle scuole superiori. Ci sedemmo nel palco con una gran scia di alcool addosso e tramutammo l’allegria del fine sbronza in un caos incompatibile con la prestazione solenne e ispirata della grande Anna Proclemer che, in almeno un paio di circostanze, interruppe lo spettacolo alzando severamente lo sguardo verso il nostro palco. Poco dopo si aprì la porta in legno e apparvero Bassani – alto come una sequoia e con gli occhi profondamente azzurri – e l’allora Commissario Montalbano, uomo severo e tutto d’un pezzo, omonimo se non precursore del noto personaggio di Andrea Camilleri. Fummo condotti all'allora Commissariato, che se non ricordo male, si trovava nel palazzo che fa angolo destro alla Pisana quando si arriva da Ancona. Montalbano ci fece un cazziatone di ore, alternando minacce di denuncia, carote di educazione civica, moniti meritatissimi sull'idiozia dei giovani, fino a riconvocarci per almeno altri due giorni, giusto per completare la cura omeopatica. In quei momenti - in cui mi sentivo depresso come può esserlo un ragazzino perbene che, senza volerlo, riconosce di aver fatto una cazzata - ricordo nitidamente lo sguardo liquido di Bassani, il sorriso paterno e comprensivo, le parole pronunciate per tranquillizzare ma senza sconti sul fatto che fossimo inciampati in una cazzata da non ripetere. Alla fine tutto si risolse con la classica lavata di capo, poi proseguita tra le mura domestiche con mio padre solennemente silenzioso e deluso, e con il ricordo del nostro Derrick, che provava a farci intendere che sorvegliare e punire da soli non bastano mai ma sono comunque parte di un processo educativo che può renderci buoni cittadini. Da quel giorno l’ho sempre salutato. Tutte le volte che mi capitava di incontrarlo. Come gesto di cortesia ma anche di fedeltà a quell'antico insegnamento. Diceva Hemingway che ogni morte di uomo ci diminuisce. E oggi questo pensiero mi sembra, davvero, più nitido che mai. Buon viaggio, Derrick!
    

25 luglio 2013

Quattro uomini e un coniglio


Ieri sera, all'incirca intorno alle 23 - ora pericolosamente tarda - ho ricevuto una telefonata da quattro concittadini non esattamente anonimi. Erano seduti a "piedi pari" intorno a una tavola imbandita e dal tono della voce mi è sembrato che fossero alquanto ebbri di gioia e contentezza per essersi ritrovati tutti assieme. Mi hanno chiamato, con ogni probabilità, per mettermi al corrente della libagione in corso e con l'idea che ne potessi scrivere già stamane. E io, assai più malizioso e brigante di loro, ben volentieri li accontento. Galeotto, in questo caso, non fu il libro e chi lo scrisse di dantesca memoria, ma un simpatica bestiola dalle orecchie lunghe, favrianesemente nota con la nomea e la fama di "conillo nostrale", destinato ieri sera a essere cucinato in porchetta dalla padrona di casa, secondo tradizione marchigiana e ascendenza sacrificale romano antica. Ma quando si mettono assieme quattro uomini e un coniglio le possibilità sono tre: o si cazzeggia, o si fanno affari o si ordiscono complotti politici. La più probabile sembrerebbe l'ipotesi del complotto politico, giustificata e spiegata dal profilo dei commensali: un ex consigliere comunale destinato a nuovo e prestigioso incarico; un ex assessore ai lavori pubblici, un ex sindaco e un ex candidato sindaco, attuale leader dell'opposizione consiliare. Insomma una cena di larghe intese, di azione catacombale contro gli equilibri di maggioranza, di scompaginamento del risultato elettorale e finalizzata a condire e mettere nella teglia - con finocchio selvatico, aglio, cotiche, fegato e interiora - l'attuale primo cittadino. Non si capisce infatti quale possa essere la mission di un conciliabolo gastronomico che vede assieme soggetti antropologicamente e politicamente differenti come S.U.M.O. - acronimo degli insigni partecipanti - se non una comune e comprensibile preoccupazione circa la deriva politica, economica e sociale che attraversa la nostra città. E i momenti di crisi, storicamente, sono i più adatti a ordire congiure e a immaginare azioni di semplificazione forzata del quadro politico. E forse non è un caso che sia stato M. a garantire la fornitura del conillo nostrale: abituato a muoversi e ad agire in un partito di conigli non poteva che rappresentare in questo modo la metafora di una città sempre più smidollata e bisognosa di una scossa e di una prospettiva unitaria. Insomma, che piaccia o meno a Giancarlone, la sua fascia tricolore è sempre più costellata di macchie e di unto e a ripulirla - in un tempo in cui le lavatrici manco si faranno più da queste parti -  non basterà il costo del coniglio in porchetta diligentemente stilato dall'Imma...colato Tini appena avuta notizia del significato politico di cotanta ricetta.
    

24 luglio 2013

Gioca Jouer e le sottigliezze del Gov


Nel 1981 Claudio Cecchetto ebbe un enorme successo con una canzone tormentone che si intitolava Gioca Jouer. Il pezzo non era altro che una sequenza di parole, accompagnate da un refrain musicale e interpretate in forma di danza con movimenti stereotipati e stilizzati. Leggendo le dichiarazioni del Governatore GMS su Indesit si ha l'immediata sensazione di un motivetto da balera estiva, di un emulo di Claudio Cecchetto proiettato nel crogiolo di decisioni politiche epocali per il nostro territorio: cinesi! tatataratata! iraniani!tatataratata!accordo di programma!tatataratata!invitalia!tatataratata!centro fisico per l'innovazione!tatataratata!contratto di sviluppo!tatataratata!Ci sarebbe da sorridere, da divertirsi e da danzare, con l'allegria dei giorni assolati, se non fosse crudelmente coinvolto il futuro di una comunità di circa trentamila anime. Eppure, al di là delle facili ironie e degli utili sberleffi, c'è un'evidente e nitida sottigliezza nelle posizioni assunte dal Gov delle Marche; un gioco di tombolo che, fino ad ora, è sfuggito alla maggior parte degli osservatori e lo colloca in una posizione mediana. Ciò consente a GMS di essere con i lavoratori Indesit e con l'azienda, di benedire il sindacalismo panzuto di Andrea Cocco e di riverire il menefreghismo elevetico di Milani senza cadere da cavallo e senza sposarne le tesi. In questo senso è davvero emblematica la vicenda del "Centro fisico per l'innovazione e il design" che dovrebbe presto torreggiare come strumento di riconversione dello stabilimento di Melano. Attorno a tale ipotesi, almeno da quanto emerge in questi giorni, sembra giocarsi l'idea stessa di una revisione del Piano di salvaguardia da parte del management di Indesit. In realtà è solo una parola in stile Cecchetto, a cui dare sospetta e controproducente concretezza attraverso il ricorso a risorse pubbliche - ossia a denaro dei cittadini che non hanno la possibilità di eccepire e di dissentire - perchè, da che mondo è mondo, non si è mai visto trasformare in pochi mesi le tute blu in camici bianchi e gli operai di linea in ricercatori e generatori di innovazione tecnologica. In realtà il capolavoro del Gov è di natura politica perchè quando s'intesta la partita del "centro fisico", pur senza dichiararlo apertamente, prende atto delle posizioni aziendali, inglobando nel suo punto di vista la certezza che lo stabilimento di Melano chiuderà i battenti e gli esuberi verranno confermati, come da Piano di Salvaguardia annunciato i primi di giugno. In parallelo, però, GMS trasferisce abilmente alle maestranze e ai sindacati la sensazione di un dinamismo orientato alla soluzione, di un fare da problem solver capace di dare forma a una proposta che concilia le parti e le tira fuori dalle sabbie mobili in cui sono precipitate rincorrendo la logica del rifiuto e dell'escalation. E alla fine ognuno suona come vuole e tutti suonano come dice il Gov: tatataratata! 
    

23 luglio 2013

IRI profumo d'intesa al tavolo del Bianco


Sono da poco filtrate le prime informazioni sull'esito del tavolo istituzionale tra Indesit, Governo e Regioni tenutosi oggi a Roma. Informazioni che è possibile riassumere in alcune indicazioni fondamentali: l'azienda conferma il contenuto del Piano - a partire dal numero di esuberi - ma auspica il ricorso ai contratti di solidarietà, invocando la disponibilità di risorse pubbliche aggiuntive per gli investimenti in Italia e una riflessione sul ricorso ai cosiddetti contratti di sviluppo. Tradotto in parole povere significa che il tavolo istituzionale ha cominciato a profumare maledettamente di IRI, ossia di salvataggi pubblici e di uno statalismo, condannato come bestemmia economica e culturale dai manager liberisti, ma che fa sempre comodo quando c'è da socializzare qualche perdita o qualche deficit strutturale di competitività. I contratti di solidarietà, infatti, non sono formule creative di contrattazione ma istituti del diritto del lavoro che prevedono una riduzione di orario e di retribuzione finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali, con la mano pubblica che si incarica di compensare il delta retributivo che inevitabilmente si produce. In questo senso i contratti di solidarietà sono, essenzialmente, una variazione sul tema degli ammortizzatori sociali, ossia strumenti che attutiscono la caduta e hanno altre finalità rispetto al mantenimento dei posti di lavoro. In parallelo c'è un altro versante in cui è previsto l'intervento pubblico e riguarda i contratti di sviluppo, ossia incentivi regolati dalla legge che possono essere richiesti dalle aziende per investire in settori collegati alla ricerca. In pratica dietro la formula del contratto di sviluppo si intravede il profilo dell'ormai celebre "centro fisico per l'innovazione e il design", ideato dal Governatore Spacca per sostituire gli operai di Melano con supertecnici dediti alla ricerca e all'innovazione. La sensazione, quindi, è che non ci sia nulla di nuovo sul fronte occidentale se non una tendenza all'irizzazione della crisi Indesit che rappresenta una ipotesi finanziariamente vantaggiosa per l'azienda e in grado di svolgere la funzione di specchietto per le allodole per le organizzazioni sindacali, intimamente convinte che l'individuazione di soluzioni non dipenda dalla nogoziazione tra le parti sociali ma da un rigurgito di statalismo rispetto al quale al sindacato spettano soltanto funzioni di stimolo e di sollecitazione. Per la Indesit è un primo passo, perchè l'azienda deve fare i conti con il calo della domanda in Europa e con una forte diminuzione del prezzo di vendita. Fattori che tendono ad aggredire l'azienda sia sul versante della redditività che su quello del fatturato. In questo senso Indesit non può utilizzare verso il basso la leva del prezzo perchè danneggerebbe la redditività, ma non può utilizzarla neanche verso l'alto, riallineando i ricavi ai costi di produzione, perchè questo genererebbe una erosione di fatturato. E questo cul de sac spiega, almeno in parte, l'ostinazione con cui la proprietà e il management restano fermi sulle proprie posizioni iniziali. Sul fronte sindacale accettare l'irizzazione della vertenza significherebbe tornare a casa con quattro spiccioli e con le ossa rotte, ma d'altro canto, le organizzazioni dei lavoratori non possono neanche agire ignorando gli elementi strutturali che mettono a rischio la competitività dell'azienda. Il che, che piaccia o meno, riproponecon forza l'opzione del contratto aziendale in deroga, che riporterebbe il confronto nei binari naturale della negoziazione sindacale, mettendo fuori dai giochi politica e istituzioni; realtà notoriamente più interessate al consenso che non al lavoro e alla competitività delle imprese.
    

Il Municipio inutile nella crisi del territorio

In quest’ultimo mese è come se in città si fosse abbattuto uno tzunami. L’onda d’urto della vicenda Indesit ha travolto abitudini, forme di potere, famiglie dominanti, alleanze innaturali, meccanismi di privilegio e l’autopercezione di un antico, e rmai perduto, primato. In questo scenario di trasformazioni, generate da circostanze esterne e non certo da progressiva maturazione delle menti, è svanita l’idea stessa della rappresentanza politica, al punto che nel giro di poche settimane abbiamo smesso tutti di parlare di politica e di partiti locali. Le forze politiche, infatti, non hanno avuto voce in capitolo – ad onor del vero il Movimento 5 Stelle ha scalciato e provato a farsi sentire -, il Consiglio Comunale ha balbettato mozioni e posizioni segnate dalla preoccupazione di non turbare equilibri e di non far arrabbiare nessuno della santissima casata, la Giunta è stata surclassata dall’attivismo di Sagramola che ha cavalcato l’onda in totale solitudine come un c .iclista sullo Stelvio. E la dissoluzione dei partiti fabrianesi, lo svaporamento di una politica che rinuncia all'esercizio di un primato storico, culturale e costituzionale ha prodotto i suoi effetti anche nel rapporto tra cittadini e Comune e nella percezione del suo ruolo nella vita delle persone e delle famiglie. Per anni abbiamo digerito e rilanciato la retorica del Comune come garante politico della prossimità, del fare amico, delle scelte indirizzate a migliorare la vita quotidiana delle persone, dell’unico livello politico meritevole di passione e di consenso. La crisi industriale di questo ultimo mese ha frantumato pure questa certezza, ponendo i cittadini fabrianesi e l’opinione pubblica di fronte a una considerazione per certi versi estrema ma fondata: a che serve un Municipio baraccone che vive staccato dalla realtà e utilizza il paravento dei servizi per remunerare e giustificare una struttura abnorme? Per rispondere a questa domanda è sufficiente interrogarsi su quali e quante siano le circostanze in cui un cittadino entra in contatto diretto con l'apparato del Comune. L’altro giorno un amico di cervello puntuale e di memoria pignola mi ha raccontato che il suo ultimo contatto risale al 2009 per il rinnovo della carta d’identità. Insomma carte d’identità, bollettini di mense scolastiche care come ristoranti di prima classe per soddisfare costose fisime sulla sana e adeguata alimentazione degli infanti, vigilantes della monnezza che dispensano multe e cazziatoni ambientalisti, cambi continui del senso di marcia delle strade cittadine e scuole elementari a gestione comunale in cui l’imbiancatura delle pareti di fine anno avviene tramite autofinanziamento e lavoro volontario delle famiglie. E’ questo, esagerando un po’, l'ambito strettissimo dell’azione municipale che, non dimentichiamolo, impiega circa duecento persone per gestire una mole di servizi sporadicamente connessa alla vita reale delle persone. In questo senso è sufficiente fare un giro tra strade, vicoli e quartieri per rendersi conto, ad esempio, che la città versa in pietose condizioni estetiche e di pulizia e che, anche per questo, trasmette un senso di abbandono che sancisce quasi fisicamente la crisi di legami comunitari e di relazioni sociali. Ma, udite udite, c'è carenza di risorse da impiegare per lavori di manutenzione e di custodia dell'arredo urbano! La verità è che così com'è il nostro Municipio non ha nessuna utilità che giustifichi una struttura di queste dimensioni. A meno che il Sindaco non prenda la saggia decisione di fare come un tempo a Cuba quando c'era la zafra, ossia il taglio della canna da zucchero, con una larga schiera di cittadini mobilitati coattivamente nelle piantagioni. E forse vedere tante schiene, di inamovibili per editto di legge e di sindacato, piegate a pulire le strade sarebbe più efficace e gustoso dei molti tagli rivendicati dal Ragioniere di San Donato.

    

22 luglio 2013

E' il contratto in deroga la via d'uscita per Indesit



Sulla vertenza Indesit è sopraggiunta la canicola, la smobilitazione da anticiclone, il meriggiare pallido e assorto declamato dal grande poeta ligure. I sindacati hanno riattivato il gatto selvaggio nonostante appaia archiviato l’effetto sorpresa e si debba ricorrere a una fantasia che, lentamente, sconfina nei sorteggi e nelle tombole, togliendo alla lotta l’impronta essenziale del dramma per sostituirla con la bonomia e l’effetto ludico degli scioperi articolati. Dopo lo spasimo possibilista dell’altra settimana, quando l’azienda ha intelligentemente lanciato un mosca nel fiume in attesa di un pesce pronto ad abboccare e felice di farlo, si è ritornati alla routine delle azioni interne e a un vago sentore di isolamento e di melassa. Lo stato dell’arte risulta quasi impietoso, se solo ci concede il lusso di uno sguardo spassionato: il sindacato ha commesso un errore strategico, e per certi versi blasfemo, rendendo propedeutico il tavolo di confronto tra il Governo e l’azienda. In questo modo ha delegato la propria autonomia negoziale, rinunciando al fondamento della concertazione intesa come esperienza triangolare tra parti sociali autonome, coadiuvate da un governo impegnato in funzione terza e arbitrale. La questione di fondo è che il sindacato ha sbagliato all'unanimità, facendo coincidere in un unico snodo, ossia nella richiesta di ritiro del Piano da parte di Indesit, l’obiettivo minimo e l’obiettivo massimo dell’azione negoziale. In questo modo FIM, UILM e FIOM hanno rinunciato a contrattare, accettando che fossero i niet di Milani e la moral suasion ministeriale – per la verità esercitata in forma assai blanda – a definire l’agenda e i termini del confronto bilaterale. Inoltre, respingere qualsiasi altra soluzione o accordo, che non sia la piena sconfitta dell’azienda, trasforma ogni soluzione intermedia in un tradimento. Ma contrattare, che piaccia o meno, significa proporre, incalzare l’azienda e il Ministero con proposte che rispondano non solo a esigenze di tutela del lavoro, ma anche a un oggettivo bisogno di rilancio di un comparto produttivo in crisi di competitività e di redditività industriale. Ci sarebbe una parola magica da spolverare e tirare fuori levigata dal bisogno di uscire dall'impasse; una parola magica che contiene un'idea negoziale e una via di fuga possibile: deroga. Se i sindacati vogliono uscire dall'angolo, costringendo la Indesit a una trattativa sul merito e non sulla rigidità difensiva delle posizioni, devono avere il coraggio di riflettere su una deroga dal contratto nazionale, sul modello di Pomigliano. Cosa significa concretamente? Che se il Governo non ha il coraggio politico e le risorse materiali per attivare una politica industriale per il settore degli elettrodomestici, allora tocca ai sindacati proporre una contrattazione di secondo livello, costruita ad hoc e senza i vincoli del contratto nazionale, per consentire a Indesit un recupero di produttività e redditività compatibile con gli attuali livelli occupazionali. Al momento la strategia della Indesit è molto chiara: contratti di solidarietà per gli impiegati, ricollocamento esterno per i dirigenti e ammortizzatori sociali lunghi per gli operai. Ma se per i lavoratori non può essere questa la base di un accordo possibile, allora spetta ai sindacati fare la prima mossa per disincagliare una vertenza ormai imballata e destinata a ruotare sterilmente sui suoi presupposti iniziali. E i temi da trattare sono quelli amari che emergono nei momenti di crisi profonda: orario di lavoro, straordinari, bilanciamenti produttivi, organizzazione del lavoro, recuperi produttivi, cassa integrazione, clausole di responsabilità e di esigibilità del contratto in deroga. C’è ancora nel sindacato qualche ostinato e vigoroso contrattualista che non teme di sparigliare e di riaprire i giochi?
    

20 luglio 2013

Le pagelle della settimana



Marco Milani voto 3
Al tavolo del Ministero dichiara che Indesit è disponibile a rivedere il Piano e lo stesso giorno in Senato afferma che Indesit non è disponibile a rivedere il Piano. E non si capisce se è tattica, ripensamento o presa per il culo. Giudizio critico: volubile!

Roberto Pellegrini voto 4
Con una fantastica giravolta dialettica, poco consona alla sua corporatura, riesce ad affermare che il voto contro la Tares in Consiglio Comunale non era una sberla politica a Tini ma soltanto un time out necessario per ripartire con più grinta. Giudizio critico: sfacciato!
Gianmario Spacca voto 5
Per uscire dal vicolo cieco della trattativa Indesit inventa il “centro fisico per l’innovazione e il design”, che dovrebbe scongiurare il rischio esuberi. La gente ci ride dietro perché magari più che un centro fisico Spacca aveva in mente un centro estetico. Giudizio critico: solarium!
Demitri Peverini voto 6
Con un emendamento sulla Tares costringe la maggioranza consiliare a votare contro Tini e a far ritirare l’intero provvedimento. Un vero pezzo di bravura ma siccome è appena arrivato qualcuno ipotizza una manina che non c’è più ma continua ad esserci comunque. Giudizio critico: spupazzato!
Gabrio Marinelli voto 7
Dopo molte peripezie realizza un cartone animato made in Fabriano, finalista a Seoul in un’importante rassegna di cartoni animati, che andrà in onda su Rai Fiction. Nell’attesa incassa i complimenti di Spacca come esempio di diversificazione produttiva. Giudizio critico: fantasioso!
Roberto Cardinali voto 8
Acquista la Tecnowind al prezzo di un euro e si fa carico di 27 milioni di debiti. Al momento è difficile capire dove sia l’affare, ma il tempo sarà sicuramente galantuomo. Per ora più che un manager sembra un pokerista. Giudizio critico: misterioso!
    

18 luglio 2013

I nuovi Punti Cardinali in Tecnowind



Alla fine l'operazione ponte su Tecnowind si è stata completata con la cessione delle quote dei manager e dei dipendenti al nuovo acquirente Roberto Cardinali. Al di là dei dettagli societari e delle molte questioni da risolvere in relazione alle modalità di rilancio dell'azienda, un primo risultato importante è stato conseguito e cioè evitare la liquidazione dell'azienda. Il cambio di proprietà garantisce, infatti, una continuità produttiva che troverà sicura conferma anche nella procedura di concordato preventivo, che sancirà il congelamento di una quota del debito accumulato dall'azienda, specialmente negli ultimi ani. Come fabrianesi interessati al salvataggio delle ragioni produttive del nostro territorio, non possiamo che plaudire all'esito positivo di questa operazione ma senza dimenticare - con l'onestà intellettuale di cui ha bisogno la nostra gente, purtroppo allevata a compiacere omertà e a inseguire camarille - che la dinamica societaria non risolve i molti problemi connessi all'operatività, alla redditività e alla capacità competitiva dell'azienda. Ed è qui che entra in gioco il Piano Industriale, che la nuova proprietà dovrà redigere e presentare entro il 30 di settembre. Attraverso di esso sarà possibile comprendere se la nuova proprietà intende il rilancio dell'azienda in termini di sviluppo o se invece punta a un mantenimento dello status quo commerciale, attraverso un recupero di redditività da ottenere forzando sugli esuberi o spostando l'asse produttivo in Cina e Romania, ossia nei due paesi in cui Tecnowind è presente con stabilimenti di proprietà. Con effetti per forza di cose deflagranti sull'economia e sull'occupazione locale. Ma a margine di questo passaggio di quote societarie c'è pure un'operatività immediata che si lega a una domanda molto lineare: che impatto ha avuto sul presente, sul "qui ed ora" l'incertezza di queste ultime settimane? Quali effetti di contrazione del fatturato - causa annullamento degli ordini - possono essersi determinati a seguito di una produzione a singhiozzo dovuta alle recenti difficoltà di approvvigionamento? Le commesse, e quindi i clienti, sono rimasti serenamente "in caldo" in attesa di uno sblocco della situazione o hanno generato una volatilità sul versante della fidelizzazione dovuta a un effetto domino di mancate forniture lungo la filiera? I tempi tecnici del cambio di proprietà hanno forse generato una diminuzione di valore dell'azienda rispetto da quanto preventivato dall'acquirente? E, nel caso, come si concretizzeranno eventuali azioni di recupero di tale valore? Ieri un dipendente della Tecnowind mi ha dato del bamboccio al cubo, su questo blog, per aver commesso il peccato gravissimo di analizzare criticamente e senza sconti la situazione dell'azienda e per aver fatto le domande che si farebbe qualsiasi persona convinta che i lavoratori si difendano con la verità e non con la menzogna. Ed è quel che continueremo a fare, fermo restando il nostro compiacimento per questo primo risultato che allontana lo spettro davvero inquietante della liquidazione.
    

17 luglio 2013

Lettera aperta a Spacca su Indesit

Ombre cinesi

Gentile Governatore Spacca,
chi Le scrive è tra quelli che non hanno mai sottovalutato le sue gesta e che, anzi, hanno scientificamente evitato di immaginare o supporre un suo declino politico. Anche nel momento più difficile della tentazione montiana e dell’aperitivo elettorale, consumato in quel di Genga con la senatrice Maria Paola Merloni, ho resistito alla tentazione dell’epitaffio e di scorgere nella sua mossa, in quel momento azzardata, il segnale di una lucidità di colpo appannata e consunta. Innanzitutto perché lei è un allievo di Aldo Moro, che fu campione di ossimori, di convergenze parallele e di una democristianeria colta e raffinata che tuttora resiste e sopravvive ai profondi cambiamenti della società italiana e del mondo. E poi perché Lei è cresciuto politicamente come rampollo della famiglia Merloni, ossia all'interno di un potere vero, sostenuto da fortissime ramificazioni nei più importanti e influenti ambienti politici ed economici nazionali. Poteri dove si apprende l’arte sottile della mediazione, dell’abile giravolta oltre che la capacità di trarre machiavellicamente profitto politico anche dalle situazioni più critiche e avverse. Ma credo di aver saggiato in modo solenne la sua abilità di politico durante la crisi Ardo, quando per mesi e mesi riuscì a convincere la comunità fabrianese che c’era una soluzione in corso, che l’Accordo di Programma era solo un salvagente temporaneo in attesa che arrivassero motivatissimi acquirenti internazionali. Non a caso la firma col Ministro Scajola su quell'Accordo avvenne una settimana prima delle regionali del 2010, che forse, proprio da quell'accordo vennero orientate e decise a suo favore. E poi scattò la più spettacolare operazione di seduzione politica che questo territorio abbia mai conosciuto, con la narrazione convinta di una Cina comunista tutta intenta a precipitarsi sotto Monte Cucco per acquisire la Ardo e salvare la nostra città. E come non ripensare a quell'indimenticabile bando internazionale in cui i cinesi non versavano la cauzione perché da loro non usa e gli iraniani compravano ma solo a fondo perduto e i fabrianesi ci credevano ma solo a cervello affumicati e perso!. Con lei straordinario e acuto regista di un minuetto e di un incantamento degni della migliore politica di un Mazarino alla Corte del Re Sole. Replicare i successi non è roba da tutti e di tutti i giorni e quando accade vuol dire che si conoscono bene i propri polli, gli istinti che li governano e l’infinito desiderio che nutrono di mettersi l’anima in pace il culo in caldo. Ieri, dopo l’incontro al Ministero dello Sviluppo Economico lei ha replicato la sua magia, mettendo con successo sul tavolo del confronto sindacale una sua soluzione ai tagli Indesit; una soluzione che è un vero capolavoro di linguistica morotea e democristiana: un centro fisico di innovazione e design. Una roba da finanziare a suon di milioni di euro, un po’ presi dalla Indesit e un po’ dalle tasche dei contribuenti marchigiani. Io non so Governatore Spacca se le è capitato di leggere le parole di Papa Francesco sul dovere dei cristiani di parlare chiaro. Ecco, sarebbe molto interessante e importante che lei spiegasse in un necessario “parla come mangi” cosa mai significhi “centro fisico per l’innovazione e il design”, perché sinceramente faccio fatica a decifrare questo linguaggio criptico, da iniziati. Una volta è l’area vasta, un’altra è l’accordo di programma, un’altra ancora l’incubatore d’impresa, con la lingua italiana utilizzata come un vero e proprio muro di Berlino con cui tenere lontano il popolo da ogni comprensione e da ogni razionale esame della realtà. Ce lo dica Governatore Spacca: cosa intende quando parla di un “centro fisico per lì’innovazione e il design”, da istituire magari a Melano: un concentrato di cervelli, di ricercatori con la pelle bianca e le spalle strette, di scienziati pazzi dediti all’oblò e alla domotica? E che ne sarà degli operai, cioè di quelli che per mansione le lavatrici non le pensano ma le fanno? Tutti a spremersi le meningi per innovare e creare? Glielo dico sinceramente Governatore Spacca: lei la sa lunga ma non la sa raccontare. Però riconosco che ha una gran fortuna e cioè conoscere i fabrianesi come le sue tasche, ben sapendo che appena intravedono un lumicino sono pronti a raccontarselo come una perenne fiamma olimpica. E questa capacità di cogliere l’animo della gente è ciò che fa di un abile politico un uomo di potere eterno che eternamente dura. Chapeau.
    

Mutande in acciaio Inox per i lavoratori Indesit. Specie sul lato B.



E’ il giorno del pensiero unico sul caso Indesit. E’ il giorno dello spiraglio, dell’ottimismo ma prudente, del “forse ce la facciamo”, della possibile soluzione. Magari non proprio dietro l’angolo ma quasi. Ma questa è una città con la memoria corta, che ha archiviato e dimenticato rapidamente gli schemi fasulli, le dichiarazioni menzognere, le finzioni e il gioco delle parti che scandirono, passo dopo passo, l’implosione fallimentare della Ardo. La scena è, fortunatamente, diversa e comparare le situazioni sarebbe sbagliato e fuorviante: li c’era uno stato fallimentare oggettivo anche se non dichiarato, mentre qui si parla di un’azienda che macina tuttora sostanziosi utili. Ma di certo colpisce il riproporsi del medesimo entusiasmo, tra l’ingenuo, il pastorale e lo sciocco: a quel tempo il gas esilarante era la parola “rilancio”. Oggi ad anestetizzare è il termine “spiraglio”. Fossi un lavoratore Indesit da oggi indosserei mutande rinforzate in acciaio Inox. Specie sul lato B.

La funzione del sindacato è siglare accordi vantaggiosi per i lavoratori e non lesivi della produttività dell’impresa, perché quando un’impresa va male i lavoratori non hanno polpa da contrattare. Per raggiungere i propri obiettivi negoziali il sindacato utilizza strumenti di lotta e di mobilitazione dei lavoratori. I sindacati, sul caso Indesit, hanno fatto una scelta suicida dal punto di vista negoziale ma molto chiara, chiedendo all'azienda di ritirare il Piano perché solo il ritiro del Piano, coi suoi 1.425 esuberi, avrebbe consentito di intavolare una trattativa vera tra le parti. Su questa piattaforma estrema – e quindi debole - sono stati mobilitati i lavoratori: scioperi articolati, blocchi stradali, serpentoni automobilistici, presidi notturni, scioperi generali e una manifestazione con 5.000 persone venerdì scorso. Ieri al Ministero è stata sufficiente una generica disponibilità della Indesit a entrare nel merito del Piano per cambiare profondamente l’atteggiamento delle federazioni metalmeccaniche. La sensazione è che più che la Indesit sia stato il sindacato a fare una clamorosa retromarcia rispetto all'atteggiamento combattivo tenuto sino ad ora. Fossi un lavoratore Indesit da oggi, anche su questo versante, indosserei mutande rinforzate in acciaio Inox. Specie sul lato B.

La Indesit in questo mese, forse consapevolmente o forse no, ha messo a repentaglio la propria immagine gestendo coi piedi il piano di ristrutturazione sin dal momento dell’annuncio. E per un’azienda quotata in Borsa, che punta sul valore aggiunto del marchio, non è esattamente il massimo: una proprietà muta come un pesce, un amministratore delegato graniticamente immobile sulle sue posizioni, l’azzeramento di ogni relazione industriale e, dulcis in fundo, atteggiamenti arroganti e insensati – poi corretti da goffe marce indietro – come la serrata nello stabilimento di Melano. Ma un’azienda che sceglie questa linea di comportamento, al punto da mettere a repentaglio la propria immagine, può fare marcia indietro, rimettendo in discussione i capisaldi del Piano senza perdere definitivamente la faccia? E’ possibile che Indesit Company abbia scatenato questo caos sociale con il solo scopo di alzare il tiro per elemosinare qualche prebenda pubblica? Ieri in Senato Milani ha confermato le linee del Piano – e a farlo sono stati alcuni parlamentari marchigiani del Pd - proprio mentre al Ministero cominciavano a circolare spiragli e disponibilità. Qualche conto sinceramente non torna. Fossi un lavoratore Indesit da oggi indosserei mutande rinforzate in acciaio Inox. Specie sul lato B. Magari evitando di portare in fabbrica, a furor di popolo, il busto del Fondatore Aristide, come ha scritto oggi un quotidiano locale.

Lo strumento per ammorbidire il Piano Indesit – come scrive il Sole 24 Ore – è l’accordo di Programma della Antonio Merloni. Opportunamente rifinanziato, come hanno chiesto le organizzazioni sindacali. L’accordo di Programma, ovvero un sistema di incentivi a tutela del territorio, nasce per la crisi Ardo, come risposta demagogica e inadeguata a un default aziendale e a una perdita totale di posti di lavoro. Riproporne i termini per un’azienda comunque in salute come la Indesit non ha, evidentemente, alcun senso. Anzi un senso ce l’ha ed è la presa d’atto che tocca alla collettività farsi carico delle esigenze di redditività dell’azienda, finanziando linee di intervento di cui si fatica a scorgere l’utilità e il senso in termini di tutela e difesa del lavoro. I sindacati, in modo particolare la FIM Cisl, hanno subito omaggiato la scelta dell’Accordo di Programma e in questo senso dovrebbero rispondere a una domanda: ritengono forse il modello Ardo una buona prassi a cui fare riferimento per gestire in modo brillante la vertenza Indesit? Errare è umano perseverare è diabolico. Fossi un lavoratore Indesit indosserei mutande rinforzate in acciaio Inox. Specie sul lato B. Ed è tutto un programma! Anzi un Accordo di Programma.

Il Governatore ha ricordato che il Piano Indesit prevede, da parte dell’azienda, un investimento di 70 milioni per lo sviluppo in Italia. Spacca ha rilanciato con la proposta di una piattaforma di sviluppo e innovazione tecnologica a Melano, finanziata coi 70 milioni di Indesit e con la partecipazione finanziaria della Regione. Considerato il numero di operai in esubero e le loro mansioni è difficile immaginare tutta questa manodopera riassorbita in attività di ricerca e sviluppo, che al massimo impiegherebbero una cinquantina di persone ad elevatissima professionalità. Fossi un lavoratore Indesit indosserei mutande rinforzate in acciaio Inox. Specie sul lato B. Per metterlo al riparo dalla ricerca e dallo sviluppo. Perchè i pertugi temono sempre gli spiragli
    

16 luglio 2013

Indesit: dal tavolo s'avanza la resa e il trappolone

Alla fine il tavolo Indesit non è saltato, ma rimandare nuovamente a un prossimo incontro è una mezza sconfitta perché si avanza paurosamente verso quel mese di agosto che, storicamente, non è tempo di negoziazioni controverse e delicate. E forse non è un caso il cauto minimalismo del Governatore Spacca che su Facebook scrive: “Dopo le tensioni di questi giorni è positivo che oggi si sia evitata una rottura del tavolo nazionale: tutte le parti hanno riconfermato l’impegno al dialogo e al confronto nel merito dei problemi, così come abbiamo sempre richiesto.” I primi commenti di fonte sindacale parlano invece di disponibilità dell’azienda a modifiche sostanziali del Piano di Salvaguardia, anche se Ficco della UILM fa riferimento a “una disponibilità ancora troppo generica e in parte condizionata”. Ma sono le dichiarazioni di Cocco a gelare il sangue quando commenta l'esito della giornata odierna chiedendo risorse aggiuntive per il famigerato Accordo di Programma che fu la tomba della Ardo. Segnali contrastanti che rimarcano, senza dichiararlo esplicitamente, non solo un nulla di fatto ma l'embrione di una resa. Perchè in realtà il messaggio è molto chiaro: le decisioni sostanziali vengono rimandate a settembre e questo non era certo un obiettivo dei lavoratori ma un’esigenza di quanti – e sono davvero molti - hanno ritenuto troppo alta la febbre che dal 4 giugno accompagna la vertenza Indesit: una città solidale, categorie economiche partecipi, una chiesa in prima linea, un sindacato sufficientemente combattivo, scioperi generali e a gatto selvaggio, fiaccolate e presidi. Qualcuno ha deciso che la ricreazione è finita e che, come mi ha detto un amico alquanto acuto, è ora di rimpallare sulla Regione e sul Governo, ossia sulla collettività, il costo di eventuale minori esuberi. Evocare spiragli mi sembra quindi ottimistico e fuorviante anche perché il sindacato, fino ad ora, ha agito come se dovesse giocarsi il cuore e l'onore: con le carte in tavola e senza bleffare, alzando il tiro e la posta facendosi carico per intero del rischio negoziale, consumando gran parte delle munizioni per rompere l’assedio di un Piano che prevede solo la resa dei lavoratori, cercando per quanto possibile di aprire un varco divisivo tra il management dell’azienda e la famiglia Merloni. La risposta dell’azienda è stata sempre un niet granitico, confermato, giorno dopo giorno, da una strategia del silenzio che ha fiaccato innanzitutto il morale dei lavoratori e di un’intera città. La sensazione è che, purtroppo, non sempre Davide ha la meglio su Golia e giusto nella mitologia biblica un sasso e una fionda possono avere ragione del gigante. In questa vertenza il confronto tra sindacato e azienda, invece, faceva ritornare in mente quelle scene di cinema minore in cui Bud Spencer, prima di sferrare il cazzotto finale, faceva andare a vuoto, restando semplicemente immobile, tutti i colpi a lui rivolti da personaggi pronti alla rissa ma troppo mingherlini per riuscire a prevalere. E’ questo il quadro del mese appena trascorso e davvero si fa fatica a comprendere quali possano essere i fatti nuovi che spingerebbero l’azienda a modifiche sostanziali del Piano di Salvaguardia. Forse la trasformazione dello stabilimento di Melano “in piattaforma fisica di ricerca e innovazione” come proposto dal Governatore Spacca è l’elemento che ha convinto i Merloni e Milani a soprassedere, a ripensare e rivedere? Uno specchietto per le allodole e nulla di più. A mio modestissimo e umile avviso quel che emerge dal tavolo ministeriale è ben altro e cioè il solito, gigantesco trappolone sospensivo che serve per contrattare la retromarcia sindacale: rimandare ancora le scelte per prendere tempo, corredando l’ennesima democristianata con parole speranzose e felpate. In questo modo si ottiene un effetto immediato: far cessare scioperi e proteste, calmierare gli animi e levigare ogni velleità sociale e conflittuale. Non per niente u esperto di melina come Giulio Andreotti sosteneva che un problema rimandato è sempre mezzo risolto. E le parole di Andrea Cocco delineano una ritirata al cui cospetto quella del Generale Cadorna a Caporetto fu davvero poca cosa.

P.s. In concomitanza con il tavolo in Commissione Industria del Senato si è tenuta l'audizione di Marco Milani, Presidente e AD Indesit. Moloto delusa la senatrice marchigiana del PD Camilla Fabbri, secondo la quale Milani non si è spostato di un millimetro dalle linee del Piano. I nostri sindacalisti hanno nulla di dire in proposito?

P.s 1 Anche l'onorevole Emanuele Lodolini eletto nelle Marche ha definito insopportabile l'atteggiamento di Milani che ha confermato in toto il Piano comprensivo del 1425 esuberi. Ma Spacca lo sa?
    

La politica che prova a battere un colpo sul tavolo Indesit



La più importante vertenza operaia del dopoguerra italiano fu quella alla Fiat nel 1980, quando l'azienda annunciò quasi 14.500 licenziamenti. I cancelli delle fabbriche furono picchettati, in forme a volte anche violente, per più di trenta giorni e rimase nella storia il comizio di Enrico Berlinguer a Mirafiori che promise l'appoggio del partito comunista in caso di occupazione della fabbrica. Alla fine, anche a causa della celebre marcia dei 40.000, la vertenza si risolse in una Waterloo per la classe operaia italiana che, chi vuole, può rileggere e approfondire attraverso un bellissimo libro di Marco Revelli che potrete trovare e scaricare cliccando su questo link (Lavorare in Fiat). L'elemento che induce a riflettere è che neanche la netta presa di posizione di un partito potentissimo e organizzato come  il Pci - che dettava la linea a una CGIL non ancora sedotta dagli agi e dalle tentazioni della modernità - fu sufficiente a spostare l'asse di una trattativa tragicamente incagliata, che si concluse con una resa senza condizioni e con la vittoria del pugno di ferro romitiano. Ho pensato a questo gigantesco precedente storico scorrendo, stamattina, gli articoli dei giornali locali. E' in atto, infatti, una vera e propria politicizzazione della questione Indesit che difficilmente potrà spostare gli equilibri di una vertenza che sembra sempre più sterilizzata dalle posizioni inconciliabili delle parti. Ieri, tanto per dire, i dirigenti delle federazioni metalmeccaniche della Triplice hanno incontrato, a Senigallia, il capogruppo del Pd alla Camera Speranza, che ha rimarcato la necessità di convincere il Governo a fare pressione sul management dell'azienda. In pratica un incontro inutile e vano se è vero che il capogruppo del partito democratico - che non dimentichiamolo è il principale azionista del governo Letta - al massimo può spingersi a una dichiarazione d'intenti, affermando che occorre lavorare per convincere il Governo. Addirittura! Così come non sembra esattamente decisivo il vagheggiato comizio fabrianese di Beppe Grillo che, sicuramente riuscirebbe a infiammare le maestranze ma che, di fatto, non sposterebbe di una virgola gli equilibri negoziali e il gigantesco blocco negoziale che si è determinato attorno alla questione esuberi. Ovviamente nessuno contesta o mette in discussione la necessità di tessere alleanze e di allargare gli spazi di condivisione e di solidarietà, perché sappiamo bene che quando i lavoratori sono isolati - rispetto alle comunità, ai corpi intermedi e alle istituzioni - non si profila mai nulla di buono all'orizzonte. Ma è altrettanto vero che quando comincia a farsi sentire la lunga mano della politica aumentano a dismisura pure i rischi di velleitarismo e di strumentalizzazione e quindi la possibilità che l'incaglio si tramuti in un naufragio. Berlinguer non fu in grado di imprimere una svolta alla vertenza Fiat nonostante la forza del suo partito e la sua personale credibilità. E c'è qualche visionario capace di immaginare oggi, a Fabriano o al tavolo nazionale che si riunisce a Roma per il secondo round, la parola di un politico che possa risultare minimamente pesante o incisiva? Se c'è batta un colpo ma senza martellarsi le dita.
    

15 luglio 2013

E tra bisturi ed ascia fu Shining in Tecnowind

La vendita della Tecnowind, in poche settimane, ha cambiato radicalmente pelle e faccia: da operazione di salvataggio è diventata sceneggiato a puntate, giocato su un susseguirsi di colpi di scena e minuetti consumati alla spalle di alcune centinaia di lavoratori e di una comunità ormai costretta a saltare da una crisi all'altra. Come tutti sanno, dopo innumerevoli pressioni  e giri di valzer, il Fondo Synergo, azionista di maggioranza della Tecnowind con l'89% del capitale sociale, ha sciolto le ultime riserve, annunciando la vendita del proprio pacchetto azionario: il 51% ai dirigenti dell'azienda e il 38% ai lavoratori. Una vendita ponte che dovrebbe aprire la strada a un nuovo "giro di quote" da parte di Fosco Celi & Workers in direzione del vero acquirente, quel Cardinali da Osimo oramai proposto e annunciato con le sembianze ieratiche di un Cristo Redentore sulla collina di Rio de Janeiro. Fatto sta che ad oggi non si comprende ancora se i lavoratori abbiano accettato e sottoscritto la cessione di quote, se intendano davvero assumere il ruolo di azionisti, quale forma, singola o associata, desiderino dare alla propria partecipazione societaria e che ruolo ricoprano - o intendano ricoprire - in questa operazione le rappresentanze sindacali. Certo è che le organizzazioni sindacali hanno deciso di ripetere l'errore che già commisero sul caso Ardo: sostenere qualsiasi soluzione a prescindere, focalizzando l'attenzione non sui contenuti e le prospettive del piano industriale, ma sul formalismo delle migrazioni societarie e dei trasferimenti di quote e azioni. In quel caso le rappresentanze sindacali fecero quadrato attorno alla soluzione JP Industries, accettando di legittimare col proprio consenso un'operazione industriale senza respiro strategico e senza Piano Industriale. Oggi si accingono a fare altrettanto, confidando a scatola chiusa nelle buone intenzioni del nuovo acquirente e senza una riflessione critica su quali possano essere le aree in cui andrà a colpire la nuova dirigenza se vorrà davvero ricostruire un minimo di ritorno sugli investimenti. Il buonsenso, quasi quasi, spingerebbe a dare ragione al minimalismo sindacale perché in tempi difficili, come quelli che viviamo, conta, innanzitutto, necessario mettere in sicurezza la continuità produttiva della Tecnowind, evitarne la liquidazione e creare le condizioni affinché il Tribunale possa sbloccare la procedura di concordato preventivo in bianco. Eppure resta intatta la sensazione di un sindacato che abbassa il tiro e accetta di brancolare nel buio, in attesa che i nuovi acquirenti  - entro il 30 settembre - consegnino al Tribunale il nuovo Piano Industriale. Per 45 giorni i lavoratori e i loro rappresentanti verranno, quindi, tenuti all'oscuro di ogni ipotesi di ristrutturazione e di ogni disegno di sviluppo. E mai come in questi casi il tempo è denaro e l'informazione è vita. E difatti non sono in pochi quelli che sostengono che i veri problemi inizieranno proprio a partire da adesso. Anche perché se uno acquista un'azienda così malconcia da essere ceduta al compratore al valore di un cornetto Algida, per rendere l'investimento conveniente e profittevole c'è una sola ricetta possibile e praticabile: una cura di lacrime e di sangue, col bisturi messo da parte e rimpiazzati da feroci e assai poco chirurgici colpi di ascia, come quelli di Jack Nicholson in una nota pellicola di Kubrick. E tra Fabriano, la Romania e la Cina è facile immaginare, e chissà che ne pensa il sindacato, dove giungerà la lama e chi saranno gli innocenti a pagare dazio. 
    

La città sospesa tra un lutto e un rutto

La questione Indesit ha radicalizzato i poli di una dialettica destinata a trascinarsi senza speranza di sintesi a breve termine: da un lato i molti che si cimentano col lutto, che non si capacitano di un sogno interrotto senza preavviso, che pur consapevoli del fine corsa mitizzano il passato di una vicenda industriale meno convincente di quel che sembra, con la speranza insconscia che una memoria selettiva e trionfale possa trasfigurarsi in un altro scintillante e risolutivo miraggio merloniano; dall'altro quelli del rutto, i dispregiatori di un sistema curvato e incrinato, i partigiani last minute che reclamano una verginità retroattiva, l'onda degli incensatori che, per moda o per comodo, si destano donchisciotteschi e puri e misurano il tasso d'antimerlonismo nel sangue altrui ma mai nel proprio, onde evitare il rischio concreto di fuori scala al ribasso. Ma sia quelli del lutto che quelli del rutto, gemelli e speculari, inciampano sullo stesso sasso: semplificano, travisano e alla fine, denotano la medesima dipendenza ombelicale dalla santissima trinità merlonica: gli uni con l'impeto nostalgico di chi ha subito un abbandono e gli altri per il tramite d'una furia iconoclasta tanto ruggente quanto spesso ipocrita. Il lutto e il rutto uniti nella lotta: o Merloni o morte. Quelli del lutto a chiedersi come faremo a cavarcela senza le certezze lavoriste del buon tempo antico della bellaluce. Quelli del rutto a plaudire al sopraggiungere di un destino pauperista riservato ai nativi e al bello e al buono di una probabile emigrazione cosmopolita e mondialista, che attende al varco i concittadini soggiogati dal sedentario e dal molle di un sistema di polpa ricca e adiposa. Ma entrambe le scuole di pensiero sono pure certe che la fine del merlonismo ideologico - diverso da quello economico - sia la comune e vera catastrofe, perchè c'è chi perde un sistema amico e amicale e chi un potere a cui dare addosso esorcizzando frustrazioni e limiti. Per questo sia gli adepti del lutto che i tifosi del rutto prediligono una visione granitica e marziale del merlonismo, narrato e percepito come sistema unitario che non contempla, al suo interno, diversità e articolazioni di rilievo. In fondo distinguere complica la vita e riduce clamorosamente la forza d'urto dei proclami. Quindi meglio una trama unitaria che mille rivoli. Come quelli che si formano a metà degli anni settanta, quando la creatura di Aristide prende a frastagliarsi in tre realtà autonome, che inaugurano e poi consolidano la stagione policentrica del merlonismo. Tre realtà aziendali che non sono soltanto diverse dal punto di vista produttivo ma anche sul versante culturale e antropologico: la Antonio Merloni, attraverso una vocazione terzista ripulita d'ogni fronzolo, incarna un industrialismo tradizionale e seriale, fondato su maestranze mansuete e fedeli saldamente radicate allo spazio retrivo del contado e delle frazioni; la Merloni Termosanitari rappresenta la discrezione che sfiora il mistero, che fa suo lo stile dell'Ingegnere, più avvezzo al consiglio che al diktat, a suo agio con la relazione persuasiva e con un potere vasto e profondo ma curiale e felpato. Al punto che Merloni Termosanitari è il secondo gruppo industriale delle Marche e a volte manco ce ne ricordiamo conto e non ci si fa caso, perchè essere grandi e grossi e non fare notizia è un modello di leggerezza e di abilità che si nega allo sguardo di supeficie del viandante. Il vero potere, infatti, non suda e non ha bisogno di luci e faretti. E da ultimo la Merloni Elettrodomestici, l'azienda vetrina, la forma evoluta e moderna del merlonismo - di cui Vittorio Merloni fu un vero Ministro degli Esteri - suggellata da quel capitalismo relazionale che lo vide indiscusso maestro di cerimonie e di sostanza, sin dai tempi della presidenza di Confindustria, negli anni duri della scala mobile e del confronto con il riformismo sanguigno del compianto Luciano Lama. E' il policentrismo del modello merloniano che spiega, quindi, mentalità e atteggiamenti. E' la diversità di standing e di lignaggio tra i tre grandi tronconi dell'elettrodomestico fabrianese che evidenzia la diversità di approcci dei cittadini e della comunità rispetto al successo così come innanzi alle crisi e ai problemi: l'indifferenza glaciale di fronte alla crisi Ardo - espressione di un tradizionalismo politico e sociale percepito come estraneo e un po' "buzzurro" rispetto ai bisogni e al dettato della modernità -; il furore caldo scaraventato addosso a Indesit - vanto esterno rinomato e luccicante, vetrina di un territorio saccente e presuntuoso che sente in gioco identità e futuro -; il distacco perplesso e carico di soggezione rispetto alle vicende apparentemente statiche della Thermo Group. Quel che è finita in questi giorni è, quindi, una sudditanza psicologica nei confronti di un sistema economico e aziendale non certo monolitico ma erroneamente percepito come tale dai fabrianesi; una subalternità stranamente intatta sia in chi cerca di elaborare il lutto che in chi prova a risolvere la diatriba rivendicando un rutto. La sfida del futuro, invece, non può che ripartire da un'economia locale liberata dall'ideologia e dal superamento di quel senso del tragico con cui un' intera comunità ha accolto il disinvestimento di uno spezzone della famiglia, pensandolo non come il crepuscolo degli dei ma come la fine della speranza economica e sociale. La Indesit avrà una presenza ridimensionata in città e la Ardo è tecnicamente fallita e, quindi, la più grande azienda fabrianese diventa Ariston Thermo Gruoup e, in una prospettiva che guarda il futuro, credo possa essere utile e interessante capire cosa succede da quelle parti, solitamente taciturne e silenziose. Smettendo di tenere una intera comunità sotto lo scacco di un dolore inguaribile e sospesa tra un lutto e un rutto comprensibili ma velleitari.
    

13 luglio 2013

La pagella della settimana



Angelo Tini voto 3
Mentre la città soffre e protesta per il lavoro il ragioniere di San Donato prosegue nel salasso e bastona i fabrianesi con la Tares, dimostrando di essere totalmente inadeguato a ricoprire il ruolo di assessore al Bilancio in tempo di crisi. Giudizio critico: imma…colato!

Antonella Merloni voto 4
Dopo una lunga quarantena contrassegnata dal silenzio interviene a nome della famiglia Merloni per confermare i contenuti del Piano. Ci mette la faccia (che non si conosceva) e la firma ma non era da lei che i fabrianesi si aspettavano un pronunciamento. Giudizio critico: immolata!

Giancarlo Sagramola voto 5
Accompagna i lavoratori della Indesit in Consiglio Regionale per la seduta dell’assemblea legislativa dedicata alla vertenza dell’azienda fabrianese ma stavolta nessuno gli porge l’ombra di un microfono. Giudizio critico: accantonato!

Luciano Robuffo voto 6
Sulla cresta dell’onda grazie a Revaivol, rassegna amarcord anni settanta che punta a essere il palliativo di Posiesis, tre giorni molto cara e oramai alquanto estinta. E di questo passo al decennio dell’austerity saremo costretti a tornarci e senza nostalgia. Giudizio critico: anticipatore!

Silvano D'Innocenzo voto 7
A distanza di anni torna a fare il Dj, lasciando da parte una politica che sembra attrarlo sempre di meno e ammettendo implicitamente di essere più in sintonia col Fiorello dei villaggi turistici che col Berlusconi di palazzo Grazioli. Giudizio critico: rinsavito!

Andrea Cocco voto 8
Il segretario regionale dei metalmeccanici della Cisl resiste agli incantesimi verbali di Antonella Merloni e respinge il mittente i tentativi di rigirare la frittata messi in campo dagli azionisti della Indesit. Giudizio critico: resistente!

    

La strana quiete dopo un'ordinata tempesta di slogan e fischietti

C'è qualcosa di leopardiano in queste ore che chiudono una giornata intensa e particolare, quasi la sensazione di un epilogo che aleggia sui consuntivi di oggi e si posa sui resoconti di chi già guarda con preoccupazione alle prossime ore. E' uno stato d'animo contagioso che si percepisce nitidamente in città, che si diffonde in forma virale nei social network, circola in mille conversazioni e, come una strana quiete dopo un'ordinata tempesta, si condensa in una sola domanda: e adesso che ne sarà della vertenza Indesit? La sensazione, ancora embrionale ma già ansiogena quanto basta, è che la manifestazione di oggi sia stata una sorta di canto del cigno, il punto di massima tensione prodotta da quel gigantesco e micidiale elastico che é il conflitto di lavoro. Per giorni abbiamo assistito a un crescendo di fantasia e di solidarietà: la fiaccolata, il gatto selvaggio, le deiezioni simboliche, i cinquemila sotto il sole, il tam tam delle magliette e delle condivisioni Facebook. Da domani comincerà a pararsi innanzi il timore delle discese ardite, dei primi segni della fase calante nel ciclo di vita della lotta. E' sicuramente il momento più difficile e impegnativo, quello della vertenza che s'arena nel meriggio, dell'estro creativo che s'inceppa e non riesce più a spiazzare la controparte, della vena che s'inaridisce e smette di produrre iniziative all'altezza della feroce ostinazione della proprietà e del management dell'azienda. In questo senso forse aveva ragione il filosofo francese Georges Sorel quando proponeva una lettura dello sciopero generale come mito in cui si racchiude e si fonde per intero la lotta operaia. Già perchè il mito sembra essersi consumato tra l'alba e il mezzodì di oggi e, da questo momento, sarà sempre più difficile governare e mantenere tensione e temperature. Martedì ci sarà il secondo round del tavolo tra azienda e sindacati, istituito dal Ministro Zanonato, ed è difficile immaginare e supporre uno scenario negoziale radicalmente modificato dalla compattezza e dai numeri della manifestazione di oggi. Il timore è che l'azienda agirà di nuovo con l'obiettivo esplicito di non rompere e quelo esplicito di fruire di un comodo posticipo settembrino. E cosa faranno i sindacati di fronte all'eventualità di questa abile melina suffragata pure da uno snervante gioco di rimessa? Di certo non è mai motivo di vanto il gufare e il pensare sistematicamente al peggio, ma è assai viva e bruciante l'impressione che oggi si sia vinta la più bella battaglia proprio perchè ci appresta a perdere la più importante e strategica delle guerre. Ed è una sensazione che ci rende tutti pensierosi e insonni.
    

12 luglio 2013

Lo sciopero che riesce è un dio delle piccole cose

"I lavoratori a terra, la Regione a cavallo e i Merloni in barca". E' quel che c'era scritto in uno striscione della Fiom, la frase che più e meglio delle altre sintetizza la piramide del potere che è entrata in gioco nella vertenza Indesit. Una piramide che è stata rovesciata dal grande corteo che, stamattina, ha attraversato le vie della città. Una manifestazione operaia vera, rocciosa, quasi ottocentesca nella sua assordante e tradizionale sinfonia di fischietti, un momento di lotta di classe che forse incarna la vera epifania spirituale della nostra città. "Caserta, Fabriano teniamoci per mano", gridavano gli operai di Teverola, a rimarcare una condivisione d'interessi e di propositi, proprio nella città che ha sistematicamente soffocato ogni vagito di sindacalismo e di cultura autonoma dei lavoratori. E di nuovo lo sberleffo verbale nei confronti della Famiglia, ormai percepita come controparte assente e lontana. Come nel titolo di un vecchio film interpretato da Jack Nicholson, davvero "qualcosa è cambiato" e la presenza di Spacca in testa al corteo - l'uomo dei Merloni che manifesta contro i Merloni senza incorrere in labirintismi ed emicranie - altro non era che la cartina di tornasole di un ceto di potere che finalmente arranca, che non ha più la città a seguire da dietro ma è costretto a rincorrerla e non se ne capacita, che guarda gli antichi sudditi sfilare senza più la presa forte dei guinzagli e la paura di un richiamo che ha costretto per decenni al signorsì e al capo chino. La manifestazione di oggi va vissuta per ciò che davvero rappresenta: un pieno di energia, di ovomaltina sindacale e di coraggio che servirà per le prossime settimane, quando il tavolo negoziale rischierà di essere consumato dalle dilazioni, dai rimandi e dagli aggiornamenti a nuova data da destinarsi. Ma ci sarà anche un rinculo depressivo, come nei Vitelloni di Fellini, quando la malinconia di Sordi monta proprio la mattina dopo il ballo in maschera, perché ognuno dei lavoratori della Indesit - che stamattina si sono pacificamente appropriati dell'antica città stato del Bianco - sa bene che in questa battaglia non c'è miele ma soltanto fiele e che l'esito finale, a meno di ripensamenti al limite del miracoloso, sarà quello triste degli ammortizzatori sociali, un'eutanasia del lavoro, pianificata in ambienti asettici e svuotati di passione e proposta come cura palliativa, in cambio di qualche stagione di sopravvivenza solitaria degli esuberi e di un'intera comunità. Ma per oggi godiamoci la festa e il vitalismo di uno sciopero capace di essere culmine di un impegno che non finisce: il dio delle piccole cose.
    

11 luglio 2013

Domani tutti metallurgici feriti nell'onore


Venerdì sarà sciopero generale in tutti gli stabilimenti Indesit. Una giornata di protesta sociale che troverà il suo culmine nella grande manifestazione che si terrà a Fabriano, quartier generale del gruppo. Fabriano fu già teatro di uno sciopero nazionale che ebbe tra i suoi protagonisti i lavoratori piemontesi dello stabilimento di None. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine degli operai fabrianesi, in jeans e camicia, che si staccavano dal corteo per andare a comperare il pane, dimenticando che si sciopera in tuta da lavoro e che la bella giornata non è mai motivo valido di diserzione. Ma era un’altra città, ancora convinta di sfangarla senza troppa fatica.  Oggi siamo di fronte a un’altra scena, del tutto diversa e incomparabile che spinge a cogliere e misurare fondamentali variazioni di atteggiamento. Ad esempio, che piaccia o meno a chi analizza e decifra la realtà attraverso le lenti del pregiudizio, la fiaccolata del primo luglio ha attivato, in città, un vero e proprio click, uno scarto comportamentale, una svolta umorale che ha dato alla partecipazione un risvolto di emozione inedita e seducente. E’ come se la città si fosse strappata di dosso un involucro frenante, un “vorrei ma non posso” che rendeva eternamente titubanti, una tendenza al  ripiegamento privato sempre più percepito come limite di visione e di prospettiva. I fabrianesi hanno cominciato a sciogliere “le trecce ai cavalli” e questo senso di libertà – se vogliamo anche superficiale e ingenua – è ciò che ha spinto i lavoratori a contestare Spacca in Regione e i ragazzi del Fabbri a irridere la Famiglia, ricorrendo al simbolico olezzo della più basilare tra le sostanze organiche esistenti in natura. E in questo quadro di autonomia culturale e psicologica dei fabrianesi, che si compone e si rigenera passo dopo passo, c’è un altro elemento ad elevato simbolismo che non è stato colto a sufficienza; un tassello in grado di restituire la sensazione di una città unanimemente schierata a difesa del lavoro, come forse non accadeva dai tempi della Fiorentini e della Marcia della Fame del popolo di Castelletta: la decisione unitaria di CNA, Confartigianato e Confcommercio di aderire unitariamente alla manifestazione di sabato, invitando i propri aderenti a fare altrettanto. Si tratta di una novità di cui è giusto sottolineare la valenza, perché si tratta di associazioni di categoria che fanno riferimento all'universo datoriale e i cui associati sono imprenditori, qualifica che, ovviamente, prescinde tecnicamente dal profilo societario e dalla dimensione d’impresa. Alla proprietà e al management Indesit ovviamente interesserà assai poco che alcune importanti associazioni di categoria siano schierate a fianco dei sindacati, ma è straordinario pensare a come il Piano di salvaguardia e razionalizzazione, presentato da Milani, sia riuscito nel duplice miracolo di smontare un blocco sociale e di creare il clima adatto alla sua rigenerazione creativa, fondata su un nuovo assetto identitario, culturale e sociale. Se il 4 giugno, appena avuta notizia del Piano, ci avessero raccontato che 37 giorni di lotta sarebbero bastati per cambiare pelle alla città, avremmo accolto la profezia col sorriso che si riserva agli ebeti e ai dementi. Invece, la realtà è stata più rapida e puzzona di ogni previsione, perché i cambiamenti prodotti da eventi traumatici sono i più difficili da inquadrare, i meno governabili nella tempistica e negli effetti ma anche quelli più ricchi di opportunità. E domani niente metalmezzadri ma solo metallurgici feriti nell'onore.
    

Il comunicato della Famiglia conclude una storia e giù il sipario

 
C'era attesa per le parole della famiglia Merloni. Per qualcuno necessarie ad assegnare un responso definitivo sul futuro della Indesit, manco fossero i segni premonitori della Sibilla Cumana o le interiora d’animale degli antichi aruspici; per altri un appiglio su cui rifondare quell’etica metalmezzadra che ancora pare scorrere nelle vene degli autoctoni; per altri ancora parole come pietre e prova empirica di una diversità familiare e genetica su cui scommettere per destarsi serenamente dall'incubo del Piano di Salvaguardia e Razionalizzazione. Alla fine le parole tanto desiderate sono giunte a destinazione, ma nella modalità formale e grigiastra di un comunicato stampa. E a leggerlo, riga dopo riga, si matura la sensazione palatale di un'amarezza che spinge a dedurre il peggio, di una gelida manina che ha costruito un canovaccio esanime di frasi e pensieri. Fino al punto di chiedersi se non fosse preferibile il silenzio di casa Merloni delle scorse settimane, che almeno aveva il merito di lasciare ai lavoratori e ai fabrianesi la speranza e l'attesa, la sensazione scivolosa di giocarsi il cielo a dadi ma anche di avere un ristretto pertugio da cui guardare il futuro con un filo di banale ma umanissimo ottimismo. La firma in calce al comunicato è quella di Antonella Merloni, presidente della Fineldo, la holding che controlla Indesit. Una scelta che ossequia il formalismo societario, gli organigrammi e le certificazioni notarili ma irride la sostanza, perché i fabrianesi – fatti mica pugnette – attendevano al varco Andrea o Maria Paola Merloni. Il primo in quanto ex Presidente di Indesit - seppur fuggiasco come un Ulisse minore e senza lo straccio di mito o di un'epica a inseguirlo tra isole greche e prosecchini - e la Senatrice della Repubblica, ampiamente votata dagli esuberi e tutta intenta a dolersi e a meditare, ma senza il rigore benedettino del silenzio, in qualche refrigerato attico romano. Qualcuno ha detto che almeno Antonella Merloni ci ha messo la faccia. Errore: al massimo ci ha messo la firma, perchè il fabrianese medio, se mai dovesse incontrarla a passeggio lungo il Corso della Repubblica, farebbe fatica a identificarla e riconoscerla. Un segnale chiarissimo di smobilitazione e dismissione, un “arrivedorci” senza se, senza ma e senza grazie, affidato a una figura di seconda linea rispetto al ruolo esercitato, in termini politici ed economici, da due dei quattro fratelli della terza generazione "vittoriana". E il contenuto del comunicato non fa altro che confermare le cattive impressioni dedotte dalla forma, con gli azionisti di maggioranza che fanno quadrato attorno alle scelte del Presidente e Amministratore Delegato Milani, evitando come la peste di fare cenno al numero degli esuberi e al loro destino e reiterando il mantra beffardo di una produzione che resterà in Italia e, a loro dire, continuerà a ingrassare Fabriano, Caserta e Comunanza. Insomma, niente di cui non fossimo già ampiamente a conoscenza, con un colpo di coda, che aggiunge il danno alla beffa, quando AM rimarca che “ l'attenzione da parte della famiglia Merloni ai territori dove Indesit opera é, come da tradizione, altissima”. Segno di una sottovalutazione intellettuale della nostra gente, ritenuta parco buoi manipolabile, e di una cognizione proprietaria della capacità dei fabrianesi di decodificare e dedurre ciò che bolle realmente in pentola, al di là delle parole smunte e delle frasi di circostanza. La verità è che una storia imprenditoriale finisce e, come direbbe Dante, “il modo ancor m’offende”, perché dalle modalità del declino sempre si deduce il valore dell’intero tragitto che, rivisto col senno di poi, sembra alquanto generoso d’osso e misero di polpa E dispiace pensare a una vicenda industriale, decollata grazie alle gesta di una trinità maschile rapidamente convertita al matriarcato, in cui spetta alla donne di famiglia, che almeno teoricamente ci si immagina tessitrici di relazioni sociali e di conciliazioni territoriali, interpretare ruoli diversi - il dissenso accorato, la rivendicazione formale e il disdegnoso silenzio – ma tutti convergenti in un’unica direzione, che non contempla più radicamenti e condivisioni di sangue, di terra e di suolo. Era solo l’ultimo atto. Ora si cali il sipario. Così, senza rancore e senza nostalgia.