31 dicembre 2013

La città fioca e la politica della luce

E' mia intenzione chiudere il 2013 dei Bicarbonati affrontando un tema affascinante sotto ogni punto di vista: la luce. La luce affolla le disquisizioni filosofiche e quelle teologiche, incide sull'arte e sull'estetica, è elemento della fisica e dell'urbanistica. Per tale complesso di ragioni la politica non può e non deve prescindere dalla luce, anche nella sua volgarizzazione quotidiana di ambito prosaico legato alla pubblica illuminazione. Quest'ultima si connota come servizio indivisibile, collettivo; come spazio di intervento municipale non ricondicibile ai servizi a domanda individuale ma ugualmente centrale e cruciale. Non a caso la Tares contiene una quota destinata ai servizi indivisibili e quindi anche alla pubblica illuminazione. Ma, nella quotidiana concretezza amministrativa, alla gestione della luce, nei suoi risvolti urbanistici e identitari, non si dedica l'attenzione che si dovrebbe e il focus residuo tende prevalentemente a concentrarsi sui fattori di economicità e di risparmio energetico; nodi sicuramente qualificanti ma non esaustivi perchè, come si accennava in precedenza, la pubblica illuminazione è un complemento rilevante del disegno urbanistico cittadino, un po' come la combinazione delle luci - in una esposizione pittorica - tende a valorizzare ed evidenziare particolari, dettagli e colpi d'occhio. L'illuminazione pubblica, oltre ai suoi aspetti più quotidiani e funzionali, esprime un forte contenuto narrativo, proprio perchè restituisce l'autopercezione della città e il suo modo di rappresentarsi. Essa è quindi è uno strumento in grado di cambiare totalmente lo scenario di edifici e piazze, senza alterarne le forme e dando vita a veri e propri scenari di progettazione luminosa. In questo senso gestire l'illuminazione pubblica in termini pianificatori è condizione fondamentale per la ristrutturazione della scenografia urbana e, come tale, essa non può essere lasciata all'improvvisazione, al caso e ale pure e semplici dinamiche del risparmio. Ieri sera, passeggiando per le strade del centro, ho provato a concentrarmi sulle luci cittadine e mi sono reso conto che Fabriano è una città terribilmente fioca e ombrosa, illuminata male e senza altre esigenze che non siano quelle più classicamente funzionali di sicurezza e visibilità, con un centro storico che - fatta eccezione per pochi e delimitati tratti - appare quasi soffocato da una cappa lattiginosa e oppressiva di oscurità, rotta qua e là da un'illuminazione pubblica senz'anima e senza passione, che non riesce quasi mai a trasmettere una sensazione decisa di piacevolezza e benessere. Solo di tanto in tanto è possibile scorgere qualche gioco razionale di luci ed ombre che sembrano restituire un significato, ma si tratta di eccezioni che non modificano la sensazione d'insieme di una città ripiegata e gotica. In questo senso è importante che la politica - quando evoca rilanci turistici ed ottimismo futuribile - si metta nella condizione di recuperare anche una cognizione della pubblica illuminazione intesa come elemento di riqualificazione e valorizzazione urbana. Ma pensare la luce in termini di strumento urbanistico rende necessari un cambio di passo amministrativo, una rivoluzione culturale e investimenti rilevanti, ossia disposizioni che non sembrano occupare realisticamente l'orizzonte. Anche perchè, considerato lo stato dei conti pubblici e le casse vuote del Comune, proporre un ripensamento filosofico della politica dell'illuminazione pubblica costituisce un invito sostanzialmente sterile e idealistico. Per queste ragioni ritengo giusto indirizzare questa riflessione al Dott.Guido Papiri perchè credo che, ad oggi, la Fondazione sia l'unico soggetto in grado di finanziare un progetto di nuova illuminazione cittadina, ovvero un'azione in grado di produrre un beneficio all'intera collettività fabrianese e di superare le politiche dei mille rivoli e dei finanziamenti a pioggia che tanto condizionano il fare e l'agire dei fabrianesi. Sperando che la notte di San Silvestro porti non solo fortuna ma anche consiglio!


    

30 dicembre 2013

Il 2013 fabrianese in due puntate: luglio-dicembre

 
Tra la fine di giugno e i primi di luglio del 2013 si apre un altro capitolo dello psicodramma Tecnowind. Un caso ritenuto pressochè risolto a metà  giugno, quando Sindaco e Assessore alle attività produttive convinsero le banche a riattivare le linee di credito a breve, necessarie per smobilizzare il fatturato e far circolare liquidità in azienda. Dopo lo strombazzamento mediatico i pri della soluzione raggiunta si accorgone manca il Piano Industriale perchè il Fondo proprietario della Tecnowind è in liquidazione. A chi glielo fa notare il Sindaco regala l'accusa di "capisciotto" ma poi sul Corriere Adriatico dell'1 luglio è costretto a cambiare il tiro: "Ci siamo impegnati con grande determinazione fin dalle prime avvisaglie di crisi e sembrava che, una volta trovato l'accordo con gli istituti bancari, sarebbe stata emessa liquidità operativa a sufficienza. Invece, sono poi emerse altre questioni di carattere giuridico-amministrativo che la proprietà non aveva fatto conoscere in precedenza, per cui adesso è necessario che Tecnowind presenti un piano industriale e una certificazione che attesti che il lavoro dell'azienda garantisce i creditori." Il 4 luglio tocca a Fosco Cieli, direttore del comparto cappe, chiarire la situazione di Tecnowind: il Fondo Synergo non è disposto a ricapitalizzare ma è pronto a vendere la sua quota al valore simbolico di un euro. Il mese di luglio si annuncia caldo di metereologia e di conflitto sociale. Si comincia con una grande manifestazione che si tiene proprio il primo del mese, una fiaccolata organizzata dalla Pastorale Diocesana del Lavoro a difesa dei lavoratori colpiti dalla crisi. Alla manifestazione, che si snoda tra Piazza del Comune e lo stabilimento Indesit di Melano, partecipano circa 1.500 persone e quello che doveva essere un evento a forte impronta religiosa diventa una manifestazione di popolo tout court. E' la prima volta che la città si schiera dalla parte dei lavoratori in un conflitto sociale che si focalizza su Indesit ma, di fatto, coinvolge tutto il sistema d'impresa e di lavoro locale. Ed è proprio nei primi giorni di luglio che ricomincia a oscillare un'altra tegola, una minaccia che incombe da mesi sulla testa dei fabrianesi e cioè quella relativa alla vendita della Ardo. Il perito nominato dal Tribunale di Ancona, dopo un lungo e approfondito esame, deposita la sua valutazione in cui sostiene che la vendita fu sottostimata di almeno quattro volte rispetto al valore effettivo. Nubi minacciose cominciano ad addensarsi sulla città e sulla JP di Porcarelli. Intanto il 3 luglio si riunisce a Roma il tavolo ministeriale relativo alla vertenza Indesit. Si va al primo round con posizioni incompatibili: da un lato il sindacato, che chiede all'azienda di cambiare radicalmente il Piano; dall'altro la Indesit che continua nel niet, complicando la moral suasion del Governo. Non a caso questa prima sessione del tavolo romano si chiude con un nulla di fatto e il confronto viene aggiornato al 16 luglio, ossia qualche giorno dopo lo sciopero generale di settore che vedrà Fabriano epicentro della mobilitazione e della protesta. Il sindacato risponde al nulla di fatto alzando il livello di creatività della protesta: una carovana lenta di automobili si recherà a passo d'uomo da Fabriano ad Ancona, con destinazione la sede dell'Assemblea Regionale delle Marche, dove si terrà un Consiglio aperto sul caso Indesit. Ma a rompere lo schema classico del conflitto sociale ci pensa il Centro Sociale Fabbri. Il 9 di luglio alcuni suoi attivisti, in tuta bianca come certe frange zapatiste del movimento no global, depositano letame all'ingresso di Bellaluce, la residenza fabrianese della famiglia Merloni. Dopo il parricidio della fiaccolata arriva l'irriverenza del liquame a tagliare il cordone ombelicale tra la città e la sua dinastia. Il clima si fa sempre più teso e "finalmente" arriva il comunicato stampa della famiglia Merloni. La firma in calce è quella di Antonella Merloni, presidente della Fineldo, la holding che controlla Indesit. Una scelta che ossequia il formalismo societario ma irride la sostanza, perché i fabrianesi attendono al varco Andrea e Maria Paola Merloni. Il contenuto del comunicato conferma il sostanziale accordo tra gli azionisti di maggioranza e il Presidente e Amministratore Delegato Milani, evitando qualsiasi cenno al numero degli esuberi e al loro destino. E' il preludio dello sciopero nazionale del 12 luglio, cui partecipano circa 5.000 lavoratori delle aziende Indesit che confluiscono su Fabriano, snodandosi in un lungo e partecipato corteo. Una manifestazione operaia vera, rocciosa, e quasi ottocentesca nella sua tradizionale sinfonia di fischietti e tamburi. Ma la manifestazione rappresenta un culmine simbolico. Dal giorno dopo sarà rinculo depressivo perchè si profila una battaglia dove l'esito finale sarà quello triste degli ammortizzatori sociali e dell'eutanasia del lavoro. Il 16 luglio, quattro giorni dopo la manifestazione nazionale, si riunisce nuovamente il tavolo ministeriale, che si limita a rimandare tutto a un nuovo incontro. Tutti prudentissimi tranne la la Fim che commenta l'esito della giornata chiedendo risorse aggiuntive per il famigerato Accordo di Programma che fu la tomba della Ardo ma fa sempre comodo per rimescolare le carte. Una posizione conciliante che fa leva sul coniglio che Spacca tira fuori dal cilindro: la piattaforma fisica di ricerca e innovazione che dovrebbe rimpiazzare le produzioni declinanti dello stabilimento di Melano. Il tutto mentre Milani è in audizione in Commissione Industria del Senato dove conferma ogni virgola del Piano. La senatrice marchigiana del PD Camilla Fabbri dichiara che Milani non si è spostato di un millimetro dalle linee del Piano mentre l'onorevole Emanuele Lodolini definisce insopportabile l'atteggiamento del Presidente e AD di Indesit. Gli strumenti per ammorbidire il Piano Indesit – come scrive il Sole 24 Ore – sono l’accordo di Programma della Antonio Merloni e la piattaforma fisica di ricerca e sviluppo. Su questo la Cisl apre di brutto ma si tratta di due temi civetta che servono solo ad ammorbidire il sindacato e che spariranno presto dalla scena. Intanto il 17 luglio viene completata l'operazione ponte su Tecnowind con la cessione delle quote dei manager e dei dipendenti al nuovo acquirente Roberto Cardinali. La situazione generale resta congelata fino al 2 agosto quando un corteo di circa 150 operai della indesit salgono fino a Bellaluce per augurare, ironicamente, buone vacanze alla famiglia Merloni. Una manifestazione a cui la Cisl non aderisce, contribuendo a una prima rottura dell'unità sindacale. Ma è la politica, assente per lunghi mesi, a tornare sulla scena grazie all'azione di alcune forze di opposizione che inviano una lettera al Segretario Comunale di Fabriano, in qualità di responsabile della prevenzione della corruzione, per conoscerne il parere in merito all'eventuale incompatibilità tra l’incarico pubblico di Tini e la sua posizione professionale di dirigente della Asur. Una incompatibilità che è il Parlamento stesso a sanare con un emendamento ad hoc, che prevede che la norma sull'incompatibilità sia congelata, nei suoi effetti concreti, se l'incarico politico-amministrativo è stato conferito prima del 4 maggio 2013. Ma il 23 agosto torna di nuovo alla ribalta la vertenza Indesit con Fiom e Uilm che si oppongono alla riapertura anticipata di alcuni reparti e la Fim sempre più distante dalle altre sigle. Una divisione immediatamente raccolta da Milani che l'8 settembre rilascia una intervista al Corriere della Sera in cui toglie dalla scena la parola esuberi e cala l’asso, chiedendo esplicitamente al sindacato di condividere la trasformazione della cassa integrazione in contratti di solidarietà. L’esca del Presidente è di natura previsionale e riguarda la possibilità che il 2015 rappresenti un anno di svolta positiva per il mercato degli elettrodomestici e che alla fine del percorso sia possibile far rientrare tutti i lavoratori soggetti ai contratti di solidarietà. Alle posizioni di Milani dà subito man forte il Sindaco che dopo qualche giorno dichiara: "Le ultime dichiarazioni di Milani qualche incoraggiante segnale d'apertura l'hanno fornito. Obiettivamente la volontà di ricorrere ad ammortizzatori sociali per tre anni e incentivi all'esodo la intendo come un primo passo verso la linea del dialogo con i sindacati". Siamo assai lontani dai cortei di luglio, dalle fiaccolate e dall’ira del primo cittadino in grisaglia. Il 19 settembre la tegola Ardo, che nei mesi precedenti aveva cominciato a oscillare paurosamente, cade in testa alla città. Il Tribunale di Ancona dispone la revoca della vendita della Ardo alla JP Industries, accogliendo il ricorso delle banche relativo alla svalutazione dei crediti e al valore di vendita sottostimato della Antonio Merloni al gruppo Porcarelli. Il 4 ottobre sfila un corteo di lavoratori della JP da Viale Moccia fino alla sede della Banca Toscana di Viale Zonghi per protestare contro gli istituti di credito, colpevoli di aver tutelato, attraverso un ricorso al Tribunale, i propri diritti violati di creditori nell'azione di vendita della Ardo al gruppo Porcarelli. Nel frattempo la politica si muove sotttraccia, approfittando del caos Ardo e del protrarsi della vertenza Indesit. L'amministrazione comunale fa nominare un fabrianese nel Consiglio di Amministrazione della Multiservizi, nella persona dell'avvocato Fiori, titolare di uno studio legale associato assieme all’avvocato Claudio Alianello, assessore ai lavori pubblici con delega all'ambiente. Il 5 ottobre Sagramola rivendica, sui giornali, di aver scelto e indicato personalmente il noto e valente avvocato fabrianese escludendo il sussistere di qualsiasi forma di conflitto di interessi visto che la scelta è stata ispirata dal criterio sovrano della competenza. Ma siccome la fortuna arriva a gocce e la sfiga a grappoli su Sagramola comincia a piovere a dirotto. A partire dal 5 ottobre, quando l’ex Asilo di San Nicolò viene occupato dai ragazzi del Centro Sociale Fabbri. Un vicenda in cui convergono delibere pirandelliane di sgombero e ordinanze presciolose e mai attuate, lettere spedite ma non protocollate e un pressapochismo che svela e traduce la qualità di chi amministra la città. In compenso il 22 ottobre Fabriano viene nominata dall'Unesco Città Creativa ma non si capisce se sia un’opportunità o una forzatura, una sovrastruttura che difetta gravemente di visione e di prospettive reali. Ma prima di gettarsi tra le pieghe della città creativa il Sindaco Sagramola deve vedersela ache con la condanna dell'assessore Paglialunga per falso ideologico. Tra il 28 e il 29 di ottobre si tiene una drammatica riunione di maggioranza che sancisce un punto chiave, ossia che l'assessore resterà al suo posto fino a quando non saranno note le motivazioni della sentenza poi pubblicate, senza decisione conseguente, nel mese di dicembre. Siamo a pochi giorni dal cogresso del Pd e il candidato Segretario Michele Crocetti lancia un candelotto sul caso Paglualunga, affermando che al suo posto si sarebbe dimesso. Una mossa evidentemente finalizzata a vincere al congresso. Infatti il 3 novembre Crocetti diventa segretario del partito, ma mille nubi si addensano sulla sua vittoria per via di un numero esorbitante di iscritti last minute. Di questa operazione diventa simbolo Italia Aghetoni, frizzante rottamatrice di 97 anni che seppe resistere alla sirena di Lenin ma non al magnetico richiamo del giovane Crocetti. Quella compresa tra il 3 e il 10 novembre è una settimana particolare per Fabriano. Prima l'omicidio di un giovane indiano, sprangato a due passi dal centro in un regolamento di conti, poi il suicidio terribile e inspiegabile di un ragazzino appena giunto alle soglie dell'adolescenza. Il 15 novembre si celebrano i sessanta anni della Fondazione Merloni, una giornata che consuma simbolicamente il ciclo di vita del merlonismo e in cui i sindacati si dividono di nuovo tra chi conclude la contromanifestazione al Palasport e chi cerca di forzare la zona rossa di Piazza del Comune. Tre giorni dopo a Roma si riunisce nuovamente il tavolo Indesit. Una trattativa che si protrae per quasi dodici ore e preannuncia l'accordo ma si conclude con un laconico comunicato Ansa: "“E' saltata la trattativa per la Indesit al ministero dello Sviluppo economico, dove sindacati, azienda e istituzioni erano riuniti dalle 17.30 circa di ieri. Secondo quanto si apprende da fonti sindacali, la situazione è degenerata ed è stata aperta la procedura di mobilità per 1.425 lavoratori”. L'apertura della mobilità determina rapidamente il passaggio dal gatto selvaggio al culo puzzò e la chiusura della lunga fase del sindacalismo conflittuale e sborone, con tanto di titoli di coda messi nero su bianco nelle assemblee del 21 novembre; assemblee in cui i lavoratori danno al sindacato la comanda del ritorno al tavolo, dato che, se morte deve essere, è meglio stirare gli zoccoli tra cinque anni che tra qualche mese. Il sindacato torna al tavolo romano con la coda tra le gambe e firma l'accordo: fittiziamente spariscono gli esuberi r Fabriano perde 700 mila pezzi a favore di Caserta. Tutti parlano di buon accordo tranne la Fiom che non appone la propria firma fin quando i numeri del referendum tra i lavoratori la convinceranno a un immotivato dietrofront. L'epilogo simbolico della vertenza si consuma il 23 dicembre, quando il Sindaco e i rappresentanti di Uil e Cisl tolgono lo striscione dal balcone di Palazzo Chiavelli. Come a dire che quello raggiunto era un buon accordo e non invece una montagna che ha partorito il topolino. Ma la vera chiusa del 2013 è contrassegnata dalla Tares, il regalo di Natale della giunta Sagramola, che pur di fare cassa e pagare le tredicesime ai dipendenti comunali salassa famiglie e imprese fino a sollevare una città notoriamente mite. L'epilogo della potesta si delinea nell'assemblea pubblica all'Oratorio della Carità del 7 dicembre, che sancisce una rottura definitiva tra l'amministrazione comunale e la città. Ripensando a quanto accaduto in questo 2013 si ha la sensazione amara di una città che ha vissuto momenti e situazioni terribili smarrendo mano a mano la consapevolezza di quanto fossero drammatici lo scenario e la prospettiva. Una Fabriano che insorge e poi si stanca, che promette fuoco e fiamme e poi, lentamente, comincia ad amare e ricercare acqua e pompieri. E questo è il peggiore lascito del 2013 e la premessa meno entusiasmante in vista del 2014. Buon anno a tutti!
    

29 dicembre 2013

Perchè Sagramola comunica male ma non sa il perchè

Ho letto sul Corriere Adriatico il resoconto della conferenza stampa di fine anno del Sindaco. Si è trattato di un incontro tipicamente didascalico, improntato sulla rivendicazione di un fare esposto come lista della spesa a una stampa locale che, purtroppo, tende a prendere atto di quel che viene propinato senza incalzare troppo, e troppo a fondo, gli interlocutori istituzionali. Ma di certo è difficile comprendere il taglio autoelogiativo impresso dal Sindaco Sagramola, perchè la prevedibile assoluzione e promozione dell'operato dell'amministrazione comunale coincide, in termini di consenso, esattamente con il suo punto di massima caduta verticale. E forse non è un caso che il Sindaco sia riuscito a dispensare uno scampolo di verità proprio "inciampando" in un'ammissione amarissima: quando ha ammesso che il suo rammarico più grande è il non riuscire a far passare l'idea di una Giunta che, pur tra mille difficoltà legislative e di contesto, opera bene e concretamente, generando, al contrario, un effetto ribaltamento tale per cui i cittadini si convincono del contrario, ossia che questa amministrazione, col suo agire, fa del male alla città. Di fatto il Sindaco, con queste affermazioni, si è limitato a riconoscere soltanto un limite - seppur profondissimo - di comunicazione, come se la dispersione di significato fosse effetto di un veicolo imballato e avvenisse precisamente nel passaggio di informazioni e di emozioni dalla Giunta ai cittadini, a causa di problemi di trasmissione e di rumori di fondo alimentati ad arte dalle forze avverse al centrosinistra. Se la verità fosse così lineare e banale sarebbe sufficiente assoldare un esperto di comunicazione capace di lavorare efficacemente sulla reputazione mediatica della Giunta e sulla ripulitura dei messaggi rivolti all'esterno e alla cittadinanza. La realtà è, ovviamente, un'altra e cioè che Sagramola e la sua Giunta non riescono a uscire dal vicolo cieco in cui si trovano perchè non sono in grado di sviluppare un'azione davvero efficace di ascolto. Ascoltare non vuol dire porgere attenzione e orecchie ma sintonizzarsi sulle emozioni della cittadinanza, legittimando e comprendendo ciò che la sinistra elitaria ha imparato a disdegnare più di ogni altra cosa: la pancia. Ascoltare la pancia della gente non vuol dire scatenarne gli istinti più atavici e barbari ma riconoscere che il cittadino, rispetto alla politica, è titolare e portatore di speranze, emozioni, paure e desideri, ovvero di un complesso di istinti, di forze emotive e di motivazioni profonde che vanno riconosciute e legittimate politicamente. Per riuscire in questa operazione di presa diretta è necessario spogliarsi delle proprie convinzioni in modo tale che possano fluire liberamente quelle di chi ci sta di fronte. Solo dopo aver attivato questa formula magica di ascolto attivo è possibile comunicare, ovvero trasferire messaggi e immagini più forti delle distorsioni e delle dissonanze. E questo è esattamente il contrario di quel che fa, normalmente, la politica che tende a oscillare tra la prima persona singolare e la prima plurale, ignorando sistematicamente le seconde e le terze persone singolari e plurali. Riporto, a titolo di esempio, alcune declinazioni verbali utilizzate da Sagramola nel corso della Conferenza stampa così come riportate dai giornali nel loro resoconto odierno: "siamo pronti ad affrontare il 2014"; "cerchiamo di guardare la luna"; "abbiamo ridotto la spesa corrente"; "abbiamo gestito bene i servizi pubblici"; "abbiamo confermato l'esenzione del pagameto della mensa"; "abbiamo mantenuto l'IMU ai livelli dell'anno scorso"; "abbiamo avviato la raccolta differenziata nelle frazioni". Nelle parole del Sindaco la città non esiste, la crisi economica è appena accennata, la tragedia di famiglie e imprese è narcotizzata in un continuo darsi la mano da soli e in un sistematico rimarcare una visione unilaterale del fare. Quale messaggio arriva ai cittadini da parole di questo tenore e di tale significato? Niente altro che l'impronta repulsiva di un'amministrazione abbarbicata, che parla di se stessa e agisce in una torre d'avorio mai intaccata dalla vita reale dei cittadini e dall'odore cadaverico di una comunità morente. E chi si propone dispensando lontananza risulta anche distante, ovvero indifferente e disinteressato. Ed è esattamente il messaggio non verbale che giunge ai cittadini da questa amministrazione che non è capace di praticare l'ascolto in quanto individualmente e collettivamente anaffettiva. Per comunicare con una moltitudine - grande o piccola che essa sia - è necessario l'I Care di Lorenzo Milani, l'interesse, la curiosità, la passione, oltre a un'ambizione personale conciliata e compatibile con un disegno collettivo. Per queste ragioni una cattiva comunicazione non è mai un problema di comunicazione ma un limite di mentalità e di empatia.
    

Il 2013 fabrianese in due puntate: gennaio-giugno


 

Il 2013 comincia con la notizia choc delll'uscita dal Pd di Maria Paola Merloni, pronta a un approdo montiano che in quei giorni appare come la scommessa vincente della politica italiana. Passa qualche giorno, ed esattamente l'11 di gennaio Ottaviani annuncia la candidatura alla Camera con l'UDC, quasi come una ripicca rispetto all'avvocato Benvenuto - allora esponente di spicco di Scelta Civica - che gli aveva attribuito, senza troppa diplomazia, una vocazione elitaria poco compatibile col nuovo disegno centrista. Ma sono anche i giorni della grande crisi alla Best che annuncia 125 esuberi e raccoglie, per qualche settimana, l'attenzione dei mezzi di informazione e dell'opinione pubblica. Il 20 gennaio Sagramola e Alessandroni dichiarano di essere pronti a far sbarcare in America la protesta dei lavoratori Best che istintivamente si toccano e fanno scongiuri. Ma si parla anche di crisi alla Indesit, di liti in famiglia e di ipotesi di vendita. Il 16 gennaio la Lista Civica per Monti si presenta ai marchigiani e in quell'occasione Maria Paola Merloni, capolista al Senato, parla anche dell'azienda e di una scelta fondamentale per il destino e il futuro del territorio: Indesit non sarà venduta a qualche player internazionale del bianco ma resterà saldamente in mano alla famiglia Merloni, unita attorno a prospettive di crescita e sviluppo. Il momento di gloria della Merloni smuove le acque nel Pd e si parla sempre più insistentemente di dirigenti locali del partito pronti a passare armi e bagagli con la Lista Monti. A rafforzare i sospetti di fuoriuscita il 16 febbraio accade qualcosa di inatteso e inedito. A Genga viene organizzato un aperitivo a sostegno della candidatura di Maria Paola Merloni. Partecipano Giancarlo Sagramola, Sindaco del Pd; Maurizio Fini, candidato alle regionali per il Pd nel 2010; Roberto Sorci, ex Sindaco di Fabriano; Claudio Alianello, ex segretario cittadino del PD e assessore ai Lavori Pubblici; Renzo Stroppa, Vicepresidente della Comunità Montana; Guido Papiri, Presidente della Fondazione Carifac; Domenico Giraldi, Presidente dell'allora Carifac; Gian Mario Spacca, Governatore della Regione Marche. Di fatto il Pd sembra in procinto di massicci traghettamenti. Ma alle elezioni la Merloni viene eletta per il rotto della cuffia, il travaso di voti dal Pd a Scelta Civica non c'è e Casoli, fregato da una manovra spericolata del deputato Ceroni, non è rieletto. Passano Serenella Fucksia e Patrizia Terzoni del Movimento 5 Stelle, primo partito in città: sono saltati tutti gli schemi e tutte le previsioni. Il 4 marzo Giampaolo Balelli annuncia le dimissioni da segretario del Pdl e la sensazione di sbandamento a destra diventa sempre più forte e allarmante. Intanto nel pomeriggio del 14 marzo giunge la notizia che Indesit Company si appresta a ricorrere a ventiquattro giorni di cassa integrazione per mille dipendenti fino al mese di agosto. La scena cambia radicalmente: "passata la festa, gabbato lo santo". E' difficile, infatti, liberarsi dalla sensazione di una decisione postdatata, dal sospetto che la Cig sia stata progettata già prima delle elezioni e messa provvisoriamente tra parentesi. Passano pochi giorni e giunge anche la notizia del fine corsa della Carifac: fusione per incorporazione. La storica banca fabrianese cessa di essere un’entità autonoma, con una sua struttura e una sua catena di comando, e si acconcia a farsi marchio transitorio, effimero e destinato a rapida consunzione. In risposta a una crisi sempre più drammatica il 21 marzo l'amministrazione comunale annuncia che si sta attivando per dare vita a un supermercato con prodotti in scadenza a prezzi stracciati, un last minute dei generi alimentari a cui possono accedere le persone più povere e indigenti. Tanto per non farci mancare niente i primi di aprile Francesca Merloni annuncia pure che Poiesis, così come l'avevamo conosciuta, non si terrà più e cambierà nome e format per sopravvivere in un momento di stasi e di crisi. Nasce Po-Etico, un modo per regalare alla città un sottoprodotto più modesto e limitato, conservando intatto il format e il nome originario, magari per operazioni di trasposizione in altri lidi. Ma Poiesis che decade non può far velo all'allarme lanciato sui giornali l'11 aprile dal Direttore della Caritas Diocesana Ercolani, che mette nero su bianco le cifre di un vero e proprio dramma territoriale. La Caritas offre sostegno e assistenza a circa 5.000 cittadini che in termini di nucleo familiare teorico fanno 15.000 persone, ossia la metà della popolazione residente nel territorio di Fabriano. In compenso, se il pane scarseggia non manca il companatico. I primi di maggio la Polizia chiude una casa d'appuntamenti, attiva 24 ore su 24 in pieno centro storico, e capace di coinvolgere un numero imprecisato ma consistente di clienti fabrianesi e di forestieri fatalmente attratti dal "vincere facile". E a proposito di mutande l'ultima settimana di maggio viene aperta la procedura per la mobilità per tutti i dipendenti della Cotton Club. Per anni Cotton Club era stata un vanto dell’industria locale, un’alternativa “leggera” al distretto metalmeccanico, il frutto più avanzato e compiuto di un’abilità produttiva di lungo corso che affondava le radici agli inizi degli anni sessanta quando la famiglia Frigola fondò la Eurobust che ebbe almeno tre lustri di successo prima di chiudere i battenti nel 1985. La radicalità della crisi attira Casa Pound che per i primi di giugno annuncia una manifestazione nazionale a Fabriano contro la crisi economica e sociale della nostra città. Il mese di maggio si chiude con le dimissioni da consigliere comunale di Marco Ottaviani che viene nominato consigliere d'amministrazione della Fondazione Carifac. Ma nessuno immagina quale bomba sta per esplodere in città. E' il pomeriggio del 4 giugno quando le agenzie battono la notizia che mette in ginocchio Fabriano: la Indesit annuncia un Piano di Salvaguardia e di Ristrutturazione che prevede 1425 sacrifici umani di cui 480 a Fabriano. Il Sindaco Sagramola parla di fulmine a ciel sereno anche se il ciel sereno non c'era stato mentre il Vescovo Vecerrica ricorda il debito di riconoscenza che Indesit deve a questo territorio da cui ha avuto la vita e di cui ha macinato vite. Un'epoca si chiude, quella dei Metalmeztechi, civiltà nativa consumata ed estinta, che ha invocato a lungo la sua Divinità Solare, il Dio degli Oblò e l'ostensione del corpo mistico merloniano. "Speriamo non tocchi a me" diventa, in poche ore, il leit motiv che accompagna l'annuncio del Piano. Ossia il futuro appaltato alla dea bendata, al caso, alla benevolenza dei capi, al giro di caricatore vuoto cinicamente dispensato dai vietcong del management aziendale. E’ una cultura individualista che ritorna, capace di scavare fossati e solchi franosi, linee di faglia letali per la tenuta sociale della comunità fabrianese. Ma sono anche i giorni della rabbia e dell'orgoglio: il 5 giugno scattano immediatamente assemblee in fabbrica e una marcia verso la sede centrale corredata dal tentativo, non riuscito, di occupare il piano di palazzina in cui lavorano gli impiegati della Indesit. La politica tace e a nessuno viene in mente di convocare un consiglio comunale straordinario. Si espone appena appena il Pd con un comunicato stampa da cui si evince soltanto l'imbarazzo nei confronti di Maria Paola Merloni, leader del partito fabrianese per diversi anni e da poco rieletta in quota Monti. L'8 giugno arriva il colpo di scena: Francesca Merloni prende pubblicamente le distanze dal Piano di Salvaguardia Indesit con parole pesantissime: "Questa ferita è troppo grande: Fabriano, il nostro territorio, non la meritano. Qui le persone hanno costruito insieme a mio nonno Aristide una grande storia: lavorando insieme, uno per l'altro, con l'uomo sempre al centro. Non è questa di oggi la storia della nostra famiglia". La drammatizzazione della scena si arricchisce di nuovi elementi, a partire dal fallimento della manifestazione di Casa Pound e della contromanifestazione del Centro Sociale coi lavoratori Indesit che tra neri e rossi preferiscono camminare tutta la notte tra Macerata e Loreto intonando canti alla Madonna nera. Ma è anche il momento della crisi in Tecnowind, azienda produttrice di cappe che paga il prezzo di politiche proprietare e gestionali scellerate e si ritrova a fare i conti con un indebitamento che costringe le banche a chiudere i rubinetti. Sagramola, con un colpo di teatro, convoca le banche e le convince a riattivare le linee di credito a breve necessarie per smobilizzare il fatturato. Il 18 giugno a Fabriano arriva Susanna Camusso ed è il giorno in cui uno striscione sindacale viene collocato sul balconcino di Palazzo Chiavelli, dove resterà simbolicamente come monito ed espressione di una città che dice di no. C'è molta carne al fuoco: Ardo, Indesit, Tecnowind,otton Club. Ma in Piazza del Comune non ci sono più di 500 manifestanti. Segno che neanche la presenza del Segretario Generale della Cgil riesce a dare un senso e un indirizzo unitario alla protesta dei lavoratori. Il fallimento della manifestazione spinge alla rottura tra Indesit e sindacati con quest'ultimi che abbandonano la trattativa perché l’azienda non intende recedere dai 1.425 esuberi previsti dal Piano di salvaguardia e riorganizzazione. Il numero degli esuberi diventa la linea del Piave sia per l’azienda che per i sindacati. Il 24 giugno Mons.Giancarlo Vecerrica, durante la celebrazione per la nascita di San Giovanni Battista, patrono della Diocesi e della città di Fabriano pronuncia un'omelia durissima con chiari riferimenti ala questione Indesit: "Educhiamo coloro che sono stati chiamati a dare lavoro, soprattutto si se dicono cristiani, perché non si sentano padroni, non pensino solo ai soldi, che siano consapevoli della dignità dei lavoratori". E proprio in questi giorni appare sulla scena una forma di lotta che diventerà motivo dominante della calda estate 2013: gli scioperi articolati, a gatto selvaggio, proclamati con l'obiettivo di bloccare la produzione e di sollecitare l'attenzione di un management aziendale attento soltanto alla dura legge dei numeri e delle cifre. La risposta della Indesit è durissima: il 28 giugno l'azienda decide di chiudere gli stabilimenti di Melano e Albacina. Ufficialmente si tratta di una scelta dovuta a problemi di approvvigionamenti generati dagli scioperi a gatto selvaggio. In realtà si gioca sulle mille pieghe della lingua italiana che consente di denominare difficoltà di approvvigionamento delle linee produttive ciò che si configura come un vero e proprio lock-out, una serrata non apertamente dichiarata e riconosciuta. Nonostante lo scontro al calor bianco compare sulla scena uno dei simboli più incomprensibili e subalerni della vertenza: la celebre t-shirt con il volto di Vittorio Merloni e la scritta "ci manchi". Giugno termina nel vivo di una vertenza che colpisce per l'energia e la durezza. E la famiglia Merloni non ha ancora pronunciato una sola parola. E c'è chi comincia a reclamarne parole capaci di farla uscire dal cono d'ombra (1.segue).
    

28 dicembre 2013

Domande di pubblica utilità sul Supermarket dei Poveri

 
Il concetto e la struttura. Il Supermarket dei poveri, da poco aperto a Fabriano, va osservato e giudicato separando queste due "viste" parziali ma complementari. Sul "concetto" questo blog si è già espresso in diverse occasioni, rimarcandone l'ispirazione pietistica e il taglio compassionevole dispensati da una Giunta di centrosinistra che, invece di parlare ai poveri parla dei poveri, a cui non ha il sentimento socialista di proporre una transazione di generi alimentari basata sullo scambio tra generi alimentari e lavoro. Ma il dissenso culturale sul concetto non è sufficiente a fornire una lettura completa di questa esperienza. Sono necesarie anche considerazioni gestionali e di struttura per dare sostanza a un giudizio ponderato e olistico.

Il fatto che il trasferimento di proprietà dei generi alimentari avvenga senza un corrispettivo monetario - ma tramite l'utilizzo di una tessera a punti rilasciata in base a criteri che certificano lo stato d'indigenza - non modifica la natura del market sociale come spazio in cui si attiva un meccanismo di scambio caratterizzato dalla combinazione di input, strutture e output. Il primo elemento da considerare è che in output non si producono ricavi caratteristici - neanche quelli necessari a garantire il punto di pareggio - perchè la spesa scarica e consuma i bollini messi resi disponibili nell'apposita card, ovvero moneta simbolica e senza valore corrente. Ovviamente a "zero ricavi" corrispondono "zero costi" solo in caso di cessazione dell'attività. Ragion per cui il supermercato dei poveri è una struttura che, proprio proprio per la sua mission, tenderà a operare prevalentemente in perdita, a meno che non siano presenti in input flussi di entrate non riconducibili alla gestione caratteristica del market sociale. Le eventuali perdite possono essere dimensionalmente consistenti o limitate, a seconda del peso esercitato sulla struttura dalla configurazione e dall'entità dei costi sostenuti.

Esercitare un rigoroso controllo degi input e degli output significa garantire la sostenibilità, e di conseguenza la continuità operativa, del supermercato dei poveri. La massima riduzione dei costi di struttura e di funzionamento può essere conseguita se si verificano alcune condizioni preliminari:
  • lo spazio adibito a supermercato è stato concesso in comodato d'uso gratuito
  • il personale dedicato al funzionamento dela struttura presta la sua opera in forma totalmente volontaria e non remunerata
  • il software gestionale che permette di abbinare beni alimentari e punti, consentendo lo scarico delle card e il controllo delle merci, è basato su software libero o concesso da società specializzata in forma di licenza gratuita.
  • la donazione di generi alimentari è a totale e unilaterale carico dei supermarket commerciali coinvolti
  • al pagamento delle utenze principali (acqua, luce e riscaldamento) si provvede attraverso donazioni e liberalità di privati cittadini, di enti e  di organizzazioni
Ad oggi l'unica informativa certa è quella relativa alla gratuità dei beni alimentari donati da alcuni supermercati commerciali all'emporio sociale. Non sussistono invece informazioni documentate e accessibili circa il ruolo assolto dal Comune. Delle notizie pubblicate dagli organi di informazione locale pare esso si sia limitato a patrocinare l'iniziativa, ma non si è capito se si tratti di un patrocinio economico o di un'adesione al netto di risvolti materiali. L'unica valutazione possibile è di natura deduttiva e riguarda il certosino e pubblico impegno dell'assessore ai servizi sociali, oltre che l'irrituale presenza di un dirigente comunale chiamato a tagliare il nastro il giorno dell'inaugurazione. Segnali distinti e diversi ma che concorrono a delineare un ruolo del Comune non esattamente casuale ed episodico.

Non a caso, proprio con l'obiettivo di finanziare il market sociale, il Comune di Fabriano ha partecipato al bando di gara per la gestione della Riserva Fondo Lire U.N.R.R.A. presso il Ministero degli Interni (Bando Unrra). Il progetto presentato dal Comune di Fabriano si è piazzato al primo posto in graduatoria, tra quelli presentati dagli enti pubblici, per un finanziamento complessivo di 82 mila euro (Graduatoria enti pubblici). Di questi il contributo reale concesso dal Ministero ammonta a 36 mila euro perchè i restanti 46 mila rientrano nell'ambito del cofinanziamento, ovvero la regola per cui un donatore non copre l'intero costo del progetto, ma richiede al richiedente o ad altri partner di garantire una quota attraverso proprie fonti. Trattasi quindi di un'entrata non caratteristica che va a comporre il quadro degli input e degli output della struttura.

Trattandosi di un progetto finanziato era prevista la presentazione ex ante di un budget di progetto e la rendicontazione ex post delle spese sostenute in termini di budget. Di fatto il Comune dovrebbe, quindi, informare nel dettaglio la cittadinanza e il Consiglio Comunale, mettendo a disposizione il progetto presentato al Ministero dell'Interno, il budget con tutte le previsioni di spesa relative al market sociale e, a cronogramma di progetto concluso, la documentazione acquisita in itinere e necessaria alla rendicontazione delle spese sostenute. Oltre, ovviamente, a fornire indicazioni tecniche e di merito su come è stata gestita la questione del cofinanziamento. Esiste quindi una disponibilità di 36 mila euro di fondi pubblici destinati al market sociale, del cui concreto utilizzo sarebbe politicamente necessario rendere conto, a partire dalla destinazione d'uso, non solo al Ministero ma anche alla cittadinanza e ai suoi amministratori eletti.

Dalle considerazioni iniziali sui costi e dal ruolo svolto dalla dotazione finanziaria di origine Unraa destinata al market sociale, frutto di una progettazione efficace e di successo, emergono alcune domande alle quali l'amministrazione comunale dovrebbe fornire meditata e approfondita risposta:
  1. Quali sono i criteri di certificazione dello stato di indigenza e quale atto amministrativo è stato predisposto per attivare la relativa procedura di valutazione?
  2. Chi è il locatore dello spazio adibito a market sociale e chi l'affittuario del medesimo?
  3. Che tipo di contratto di locazione è stato sottoscritto e per quale importo annuo?
  4. I soci lavoratori della cooperativa coinvolta e le figure messe a disposizione dalle associazioni di volontariato sono tutti prestatori d'opera volontari? Hanno diritto a qualche rimborso spese ed eventualmente di che natura?
  5. La cooperativa coinvolta eroga i suoi servizi a titolo gratuito o in forma remunerata?
  6. Quale società ha messo a disposizione il software gestionale? 
  7. La licenza d'uso del software è stata venduta, affittata dietro compenso o ceduta in comodato d'uso gratuito? 
  8. Tra quali soggetti è stato stipulato il contratto per il software? E nel caso quale costo è stato sostenuto per l'acquisizione del medesimo?
  9. Chi si fa carico dei costi relativi al trasporto dei generi alimentari in scadenza donati gratuitamente da alcuni supermercati commerciali?
  10. A nome di sono stati stipulati i contratti di allaccio delle principali utenze (acqua, luce, gas)?
  11. Chi provvede al loro pagamento?
  12. Quali voci di costo della struttura e dell'operatività del market sociale sono stati messi a budget nel progetto presentato al Ministero degli Interni e da quest'ultimo finanziato?
  13. Come è stata gestita la questione del cofinanziamento di 46 mila euro previsto dal progetto e fondamentale per ottenere un elevato punteggio finale?
Da queste domande risulta evidente come siano tanti e interessanti gli spunti che si possono scorgere non appena si abbandonano il pauperismo e il politicamente corretto, per indossare gli occhiali della razionalità economica e liberale. Su questi temi è auspicabile la massima disponibilità informativa da parte dell'amministrazione comunale e la massima volontà ad approfondire da parte delle forze politiche di maggioranza di opposizione perchè la povertà e il disagio non sono un fiore all'occhiello da esibire in un articolo del Soe 24 Ore ma contesti meritevoli di assoluta trasparenza e assoluto rispetto.
    

27 dicembre 2013

L'ordinanza sui botti e il sospetto algebrico

 
L'Amministrazione Comunale è riuscita ad affermare, tra i cittadini, un prepotente e diffuso "sentimento del contrario". Ovviamente non parliamo di quello stato d'animo che, almeno teoricamente, conduce a un umorismo di impronta pirandelliana ma di una sorta di vocazione algebrica, un istinto naturale che spinge a cambiare di segno qualunque scelta venga adottata e attuata dalla Giunta, a decifrarla rovesciandone sistematicamente senso e significato. Prendiamo l'ordinanza che proibisce i botti di fine anno. Se avessimo a che fare con una compagine di governo locale empatica, autorevole e credibile plaudiremmo istintivamente al cospetto di una tale decisione,  dispensando approvazione immediata all'idea di proibire i botti, per tutelare e proteggere gli amici a quattro zampe. Lo considereremmo, anzi, uno scampolo di civiltà, un frammento di politica innovativa e radente, sperimentata vivificando i diritti degli animali in quanto espressione di fattori evolutivi e di compiuto sviluppo culturale di una comunità. Ma è il sospetto algebrico a generare perplessità e dietrologie. E non ha nessuna importanza che esso assuma fattezze delineate e plastiche. E' sufficiente che sorga e si manifesti come un punto interrogativo che aleggia o come un riflesso condizionato che sopraggiunge inesorabile e pignolo. Il sospetto algebrico rende poco verosimile un'ordinanza contro i botti di fine anno suggerita e ispirata da cognizioni animaliste, mentre induce a ritenere plausibili e fondate intenzioni connesse più alla pecunia che non ai diritti del quadrupede. E le connessioni al soldo richiamano immediatamente la condizione delle casse comunali, notoriamente scarne seppur di recente rimpinguate da sadici salassi tributari. Ora è risaputo e noto che i botti di fine anno costano parecchie migliaia di euro, e si tratta, quindi, di spese difficili da giustificare e far digerire giusto quindici giorni dopo aver taglieggiato famiglie e imprese con quel tributo medievale e anticostituzionale denominato Tares. Ma siccome ammettere che non ci sono neppure i soldi per le miccette renderebbe inequivocabile il movente dell'operazione Tares - ovvero fare di ogni cittadino la banca privata del Comune - si è pensato bene di nobilitare la rinuncia ai fuochi in modo tale da uscirne cum laude invece di rischiare un'altra sessione di contestazioni e di uova marce e cetrioli lanciati a casaccio in ogni dove. E quale miglior viatico di nobilità politica e di finezza decisionale di una sana e pacifica causa animalista, già di suo così profondamente ecumenica, trasversale e corretta? Ecco quindi che, a consuntivo, il ragionamento non pecca e non stona: visto che non ci sono i soldi i fuochi non si fanno. Ma visto che non sta bene dirlo con così ruvido piglio, si faccia del tallone d'Achille un'arma: i fuochi, come il matrimonio manzoniano, non si faranno nè ora nè mai. Non per cassa ma a tutela di Fido, Rocky e Pimpa. in questo modo il decidere fa chic e non impegna. Pure se non si profila manco l'ombra d'un cane che sia uno, disposto a credere alla Gunta e ai suoi assessori quando raccontano  compunti e convinti, che il diavolo è davvero morto dal freddo.