17 aprile 2014

Le parole manomesse e il gioco del cerino



 
Faccio una premessa per sgomberare il campo da ogni equivoco: se fossi nella posizione di decidere o di influire sul futuro di Unifabriano sarei tra i più convinti nello scriverne l’epitaffio. Visto che non mi piacciono gli accanimenti terapeutici sugli esseri umani men che meno mi sobillano quelli a tutela di enti a fine corsa e senza più ragion d’essere. Unifabriano non solo ha perso pezzi ma non si capisce neanche più cosa sia e cosa rappresenti. L’unica certezza è che nella sua struttura, già da qualche tempo, non sono più ammessi corsi universitari. Quindi Unifabriano non è più un ateneo ma si acconcia a sopravvivere combinando attività poliedriche che somigliano a una zuppa del casale di corsi, corsetti e master tagliati su misura per tenere in piedi la struttura. Non è quindi accettabile la “manomissione delle parole” che ne accompagna l’improvviso ritorno di fiamma mediatico perché, di fatto, non stiamo parlando del salvataggio di una sede universitaria ma di qualcosa che è sempre più complicato inquadrare e definire. Dire la verità è, quindi, una condizione fondamentale per chiarire la posta in gioco. Invece la mobilitazione che si sta sviluppando anche in queste ore, a difesa di Unifabriano, nasce da una sorta di condivisione della reticenza che attraversa trasversalmente enti, istituzioni e schieramenti politici. Pare sia nato anche un Comitato Cittadino a sostegno di Unifabriano che, per ora, ha limitato la sua fantasia difensiva alla richiesta del classico tavolo tra tutti i soggetti coinvolti, dove si ragiona con logica bipartisan e, alla fine, si sbaglia all’unanimità. Ma, come si diceva in precedenza, l’energia della mobilitazione e delle parole dispensate è direttamente proporzionale all’alterazione linguistica che le sostiene. I fondamenti del politicamente corretto e del linguisticamente alterato prevedono, infatti,, che solo gente brutta, sporca e cattiva si possa tirare indietro dal difendere un’istituzione preziosa come un’Università. Se di Università si trattasse e non di qualcosa che, per dirla alla Johnny Stecchino, non je somija pe gnente. In questo quadro è politicamente emblematico della finzione in atto che Sagramola non abbia alcuna voglia di rimanere col cerino in mano e rientra pienamente in questa strategia la decisione di posticipare di un mese l’assemblea dei soci. Di fatto – dopo il passo indietro corale delle principali aziende fabrianesi – il gioco delle responsabilità se lo andranno a rimpallare Sagramola e Papiri, perchè oltre al Comune è la Fondazione l’altro l’azionista di rilievo rimasto nei paraggi di Unifabriano. Su questo versante c’è da registrare il rapido cambio di registro del Presidente Papiri che l’altro giorno annunciava l’uscita di scena della Fondazione, coi suoi 50 mila euro di sottoscrizione annua, e qualche ora dopo ritornava sui suoi passi, confermando la volontà di recedere dal ruolo di socio ma confermando la disponibilità al versamento del contributo di salvataggio. Il gioco del cerino, a osservarlo bene, non è altro che la diretta conseguenza di quel non detto che tutto condiziona e tutto presiede, ossia che nessuno vuole prendersi l’onere e la briga di spegnere Unifabriano per timore di ritrovarsi di colpo target di un’accusa; quella di essere un affossatore di atenei e un distruttore di saperi universitari. Il Comune e la Fondazione, invece di vestire i panni dei fiammiferai che si rimpallano l’ultima parola, dovrebbero condividere una mossa del cavallo : dire ai fabrianesi che Unifabriano chiude perché non è più un’Università. E che finanziare una struttura non più universitaria senza prospettive accademiche, senza strategie e ormai ermafrodita dal punto di vista della formazione erogata, significa ricorrere a elargizioni a fondo perduto e senza neanche la parvenza di un qualche ritorno sull’investimento. E fatti due conti si tratta di un azzardo che né il Comune né la Fondazione sono più nella condizione leggiadra di permettersi.
    

5 commenti:

  1. E' sempre più interessante leggere i tuoi post!
    Che aggiungere? Hai già detto tutto tu!
    Corvo M. Cristina

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  2. Fortuna che non scrivevi della Fondazione!!!

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  3. Caro Gian Piero, per onestà intellettuale e non per polemica, vorrei fare un commento che spero risulti oggettivo.
    Alla quasi totalità delle "università di quartiere" proliferate in ogni dove negli anni Novanta, sono state tarpate le ali con le riforme ministeriali del 2004 e del 2010.
    Unifabriano è di fatto defunta nel 2010. La situazione poteva essere salvata solo se gli Atenei di Ancona, Camerino o Macerata avessero deciso di investire su Fabriano come scelta strategica, garantendo a Unifabriano il numero di docenti di ruolo imposti dal Ministero per accreditare i Corsi di Laurea.
    Ma se i docenti non c'erano, gli Atenei non potevano fare come i proverbiali aerei di Mussolini; coprire Fabriano significava lasciare scoperti i Corsi di Laurea in altre sedi, magari nella stessa sede primaria di Ateneo.
    I politici locali di fronte alle scelte del Ministero, potevano e possono fare ben poco. Personalmente, nel tavolo per la definizione del programma della coalizione Sagramola, l'ho descritta in questi termini.
    E nello stesso tavolo ho aggiunto questo commento, che ripropongo al dibattito perché, anche nel comunicato stampa del Comitato per la salvezza di Unifabriano si parla solo di formazione e didattica: bisogna farsi una ragione del fatto che un'Università modello "scuola superiore" non ha senso.
    Insegnamento e ricerca possono andare solo di pari passo!
    Non conosco nel dettaglio la produzione scientifica dei Corsi di Laurea attivati da Unifabriano, quindi la mia è una constatazione oggettiva, non certo una critica. Ma ribadisco come le sedi universitarie e i corsi di laurea che non sviluppino ricerca di alto livello siano destinati a morire (o a non vedere la luce).
    E' morta Unifabriano, viva Unifabriano?
    Se un eventuale percorso di rilancio o di rifondazione di Unifabriano potrà essere pensato solo rispondendo ai requisiti sopra ricordati, la chiusura di Unifabriano non significa che a Fabriano la ricerca (e quindi la formazione) sia morta.
    Nel settore della Domotica ci sono progetti in itinere e penso che le multinazionali cittadine continuino ancora ad investire in ricerca e sviluppo (anche a Fabriano).
    Nella programmazione 2014-2020 il settore della ricerca e della formazione mette a disposizione risorse importanti e la strategia di premiare i grandi progetti di rete ci mette di fronte a sfide complesse ma salutari, se vogliamo provare ad uscire a testa alta dalla palude della crisi economica e di visione strategica.
    Quindi è vero che i politici potevano far poco o nulla per salvare Unifabriano, è anche vero che a loro e alle associazioni di categoria spetta il ruolo di playmaker nel sostenere la progettazione europea ad alti livelli.
    La vera sfida della politica è questa, non tanto salvare Unifabriano, ma salvare Fabriano (anche attraverso progetti innovativi di ricerca, capaci di creare formazione e ricaduta occupazionale).
    Naturalmente dentro questa strategia può entrare e dovrebbe entrare anche la Fondazione, più volte chiamata in gioco.
    La Fondazione, quale ente terzo impegnato nello sviluppo del territorio, nei panel di Horizon 2020 potrebbe avere un ruolo importante, considerato che garantisce requisiti di bilancio e di gestione sicuramente solidi. Allo stesso modo potrebbe sostenere i costi di progettazione europea o partecipare con altre forme di sostegno indiretto, peraltro ben conosciute anche dalla Fondazione CARIFAC, visto che fanno anche parte del patrimonio di esperienze messe in campo dalle altre Fondazioni.
    E visto che siamo la Città Creativa UNESCO per l Folk Art, altre risorse ci sono offerte anche dai bandi di Europa Creativa.
    Fabio Marcelli.














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    1. BRAVO FABIO! FINALMENTE UNA VOCE AUTOREVOLE, UN DOCENTE UNIVERSITARIO CHE PARLA DI UNIVERSITA' (E DI UNIFABRIANO). GLI ATENEI, AL CONTRARIO DI SPACCA, NON POSSONO DELOCALIZZARE!!

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  4. Fabio mi sembra un commento tecnico fondatissimo. Purtroppo vige ancora l'idea inestirpabile che su possano salvare i contenitori senza preoccuparsi dei contenuti.

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