18 aprile 2014

Se sugli scrutatori decide Salomone



 
Si avvicinano le elezioni europee e puntualmente ritornano le plance elettorali lungo le strade cittadine. Ma più di ogni altra cosa riemerge, ingombrante e rumorosa come non mai, la questione della nomina degli scrutatori. La normativa ne delega la scelta alla commissione elettorale del Comune e la discrezionalità del pallottoliere  – che è naturalmente frutto non d’arbitrio ma di selezioni e di suggerimenti a monte – scatena polemiche, per la verità noiose e ripetitive, sulle migliori modalità di individuazione degli scrutatori. Le scuole di pensiero che si scontrano - in una gara infinita a chi fa la proposta più bella e più innocente - sono tre, di cui due ufficiali e vocianti e una sussurrata e confermata dandosi di gomito e annuendo in camera caritatis: la scuola Medicea, quella dei Recinti e quella dei Solidali. I Medicei senza se e senza sono quelli che, come per la scelta delle cariche pubbliche nella Firenze rinascimentale, puntano tutto sullo “scrutinio a tratta”, ovvero su una nomina degli scrutatori come frutto di un sorteggio direttamente governato e deciso dal Fato. Con questa procedura, che sembra la quintessenza dell’imparzialità, si mettono formalmente i cittadini sullo stesso piano, ma col possibile paradosso finale di quando piove sul bagnato, ossia che il centinaio di euro previsti per la prestazione al seggio possa essere incassato dal già benestante piuttosto che dall’indigente o dall’impoverito. La scuola maledetta – e quindi meritevole di posizioni soltanto sussurrate - è quella che reclama Recinti: si prende il totale degli scrutatori da nominare e si procede a spartizione politica tra maggioranza e minoranza. Si tratta di procedura assai efficace e sbrigativa ma che presenta alcuni punti deboli: penalizza gli estranei alla politica, i qualunquisti per istinto e per scelta e i cani senza collare, premiando invece la fedeltà e la tendenza alle recinzioni dell’appartenenza. Da qui a dire, come fanno taluni comandati per default a spararle grosse, che tale prassi configura il voto di scambio ce ne corre, perché vendere il proprio voto per un lavoro ci sta pure, ma ipotizzare che si possa farlo per cento euro significa giudicare i propri concittadini degni d’un Achille Lauro che, nella Napoli del dopoguerra, consegnava ai suoi elettori una sola scarpa durante la campagna elettorale, completando il paio in base al risultato finale. La terza scuola è quella dei Solidali e, in apparenza, pare essere quella più convincente, perché inquadra e benedice la remunerazione degli scrutatori nel segno dell' una tantum assistenziale. Il target dei Solidali sono quindi quei cittadini a vario titolo disagiati. Siano essi disoccupati, cassintegrati, inoccupati o in mobilità. Il problema è che la ratifica del disagio si va complicando per via d'una casistica infinita e, al dunque, pure inquinata dalla categoria dei “poveri ma furbi”, ossia da quanti si avvalgono di Isee finalizzati al raggiro, di remunerazioni black, di nuclei familiari gonfiati ad arte e via buggerando. Da questo punto di vista il market sociale, credo abbia consegnato alla politica e alla cittadinanza la prova provata di quanto sia sottile la linea di demarcazione che separa i bisogni reali dal micro tornaconto di chi ci marcia. Di fatto ciascuna delle tre ipotesi di scuola seduce solo in parte ma non convince mai del tutto e fino in fondo. E in questi casi il prevalere dell’una o dell’altra scuola diventa vittoria dell’una scuola sull’altra, ossia ennesimo elemento del conflitto e della polemica politica. Meglio, per una volta, affidarsi a una saggezza orizzontale e paritaria: far contenti tutti, combinando sorteggio, nomina politica e criterio sociale in una stecca para - 33% – 33% – 33% - che di certo non archivia il dubbio ma di sicuro non drammatizza la solita e minuta tempesta nel bicchiere.
    

2 commenti:

  1. Stavolta sono d'accordo con il Giampietro...

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  2. Simonetti quando appare ragionevole me preoccupa più che quando è incazzato

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