16 luglio 2014

Quel comprensibile silenzio dei Merloni


IL RISCHIO DEI BUDDENBROOK
Il valore di una dinastia dipende anche dal modo in cui essa decide di uscire di scena perchè è nell'ultimo atto che vengono portati a sintesi una storia, una visione e un percorso. I quattro fratelli Merloni della terza generazione - lato Indesit - potevano tranquillamente restare al comando e rinserrarsi in un destino stand alone. Potevano sfidare impunemente la logica dei mercati e scegliere un dissanguamento nobile ma inesorabile. In fondo avevano il pacchetto azionario necessario per esercitare controllo e comando. Ma avrebbero recitato la parte dei Buddenbrook, la ricca famiglia borghese - narrata da Thomas Mann - che subisce i tempi nuovi assistendo impotente alla propria decadenza. 

IL MONITO ARDO
E di certo l'implosione ingloriosa della Ardo - frutto dell'apocalittico anacronismo produttivo e padronale di Antonio Merloni - era lì a dimostrare, quasi con geometrica potenza, come un'ostinata sfida alla realtà delal globalizzazione potesse rapidamente condurre alla dissoluzione di un impero. E, probabilmente, è stato anche il timore di una fine senza croci di ferro della storia Indesit il movente materiale e affettivo che ha spinto i fratelli Merloni a vendere. Cedere il controllo dell'azienda, con la certezza di non giocare più alcun ruolo al suo interno, non deve essere stato facile. Non tanto per ragioni materiali e finanziarie, dato che il denaro non credo sia mai stato un problema urgente per i Merloni, quanto per motivi di status e di potere, che sono anelli forti e vincoli onerosi per chi è abituato a vivere quotidianamente il prestigio, la fama e i riconoscimenti che derivano dal ruolo assolto all'interno di un sistema che genera ricchezza e consenso. 

LA RIDUZIONE DEL DANNO
E questa rinuncia quando il vento tiene ancora gonfie le vele di Indesit, volente o nolente che sia, rappresenta una riduzione potenziale del danno, un atto di umiltà verso la potenza di un mercato globale che spazza e screma ogni velleità di resistenza familiare e qualsiasi illusione di competitività senza dimensione. Vendere adesso significava cadere in piedi, senza correre il rischio di un fine corsa fallimentare, magari segnato dall'umiliazione dello spezzatino o dai bandi internazionali che incarnarono l'epitaffio senza epica della Antonio Merloni.

IL LUNGO SILENZIO E LE DUE DICHIARAZIONI
In questo contesto sono stati in molti a criticare il lungo silenzio dei Merloni e il fatto che non abbiano mai voluto rendere pubblici i loro tormenti e le loro intenzioni. Nell'ultimo anno e mezzo la strategia benedettina della discrezione perseguita dalla famiglia ha trovato soltanto due soluzioni di continuità: la prima il 16 gennaio 2013 quando Maria Paola Merloni - in concomitanza con la sua candidatura con la lista Monti - affermò che c'era piena armonia in famiglia, poca propensione a vendere e una piena consapevolezza del ruolo di Indesit nel territorio e nell'economia marchigiana; poi più nulla fino all'11 luglio 2013 quando - dopo 36 giorni di conflitto sociale, frutto della presentazione del Piano di Salvaguardia e Razionalizzazione - fu dato alle stampe un comunicato, firmato dall'allora Presidente della holding Fineldo Antonella Merloni, in cui si sottolineava la storica attenzione della famiglia alle ragioni occupazionali del territorio e un impegno a proseguire in loco le attività di produzone e di ricerca. Poi più nulla fino al laconico comunicato congiunto con il top management della Whirlpool.

IL COMODINO DELLA NONNA MARIA E LE GUERRE PUNICHE
Questo ostinato protrarsi del silenzio è sembrato a molti il tallone d'Achile dell'intera strategia familiare, una sorta di schiaffo all'idea stessa della responsabilità sociale dell'impresa. In realtà azzerare le parole era l'unico modo concreto per evitare che le divisioni della famiglia Merloni emergessero in tutta la loro potenza, determinando effetti negativi sulla quotazione del titolo in Borsa, sul processo di individuazione dell'acquirente e sul morale delle truppe. Del resto, sappiamo tutti benissimo come, anche nelle migliori famiglie, sia spesso sufficiente l'eredità del comodino della nonna Maria per scatenare guerre puniche e per confermare l'assioma "parenti serpenti". Sinceramente, quindi, sarebbe pretestuoso incolpare i Merloni anche della loro linea del silenzio. Una linea sicuramente sbagliata se vista con l'occhio della città e dei lavoratori, ma sicuramente comprensibile se si fa un bilancio equanime dei problemi e delle passioni che insorgono quando non ci si deve dividere il famoso comodino della nonna ma il valore di realizzo di una cessione milionaria.
    

7 commenti:

  1. Simonè siccome un po' te conosco e so che non eri merloniano quando era merloniana la maggior parte dei favrianesi te ce diverti a fare il comprensivo adesso che tutti i vecchi lecchini gli sputano addosso. Fai bene c'hai le carte in regola

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  2. Che devono di'... la crisi della 3° generazione, non sono i primi e non saranno gli ultimi.
    Il nonno crea, il babbo prosegue e vizia i figli, questi ci provano (giusto per ammazzare il tempo), fanno i disastri, poi si fanno la classica domanda "Ma alla fine... con tutti sti soldi de babbo... quanti anni de rendita ce campamo?"

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  3. Il Monastico16 luglio, 2014

    hello darkness my old friend i've come to talk with you again

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  4. Meglio che hanno venduto sono degli incapaci

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  5. Hai detto tutto...non c'è niente da aggiungere!

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  6. Meglio che non si facciano vedere più in giro per Fabriano.

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    1. Si,come no,difatti la signora M.P. faceva spesa al cityper alcuni giorni fa.....

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