29 ottobre 2015

Perchè è impossibile reindustrializzare Fabriano

In un post di qualche giorno fa ho sostenuto che uno dei problemi più insidiosi che deve affrontare Fabriano risiede nella natura del suo trend demografico, ossia nel rischio concreto che certi flussi - inizialmente congiunturali e transitori - si consolidino in forma strutturale e definitiva

Alcuni amici hanno contestato questo approccio "verista", invitandomi a immaginare soluzioni senza troppo badare ai vincoli di contesto. E' una sollecitazione che raccolgo solo in parte ma non prima di aver sviluppato un'ulteriore riflessione su ciò che ostacola la ripresa del nostro territorio.

Il punto di partenza è il numero degli inoccupati. Parliamo di circa 5.500 persone in una realtà di 32 mila abitanti, al lordo dei cittadini in pensione e dei giovani in età non lavorativa. Una disoccupazione così vasta da "meridionalizzare" economicamente e socialmente la città, può essere riassorbita - in tempi decenti e non geologici - soltanto attraverso processi di rendustrializzazione del territorio.

Si tratta di un bisogno ineludibile, ma è una prospettiva plausibile? A mio avviso no, perchè una reindustrializzazione seria e duratura è possibile solo se imprenditori veri investono senza assistenzialismo, senza denaro pubblico e senza utilizzo spregiudicato degli ammortizzatori sociali.

Di conseguenza un industriale potrebbe, realisticamente, investire nel nostro territorio soltanto se trovasse condizioni di investimento favorevoli, ossia vantaggiose rispetto ad altre realtà comparabili.

Siccome la situazione di crisi economica del Paese non consente di richiedere, per Fabriano, lo status di Zona Economica Speciale - in quanto creerebbe un precedente emulabile da decine e decine di altri territori con distretti produttivi in crisi - non sussistono ragioni di vantaggio fiscale, contributivo e di costo del lavoro che possano sollecitare un trasferimento di produzioni nel nostro territorio.

Proviamo, allora, a individuare e descrivere alcune delle condizioni che possono convincere l'imprenditore a investire in un certo territorio, dando loro la forma di un decalogo ragionato e declinato sulla realtà fabrianese.

Adattabilità dei lavoratori. Segnala il livello di riconversione delle competenze dei lavoratori attraverso processi di formazione continua. A Fabriano gli operai metalmeccanici sono stati riconvertiti a pizzaioli, professionalità nobilissima ma inutile per insediamenti produttivo di tipo industriale.

Occupabilità dei lavoratori. Fa riferimento un sistema di competenze che consente ai lavoratori di essere spendibili sul mercato del lavoro e ricollocabili in una dimensione produttiva. Gli inoccupati fabrianesi presentano un basso livello di occupabilità perchè gli ammortizzatori sociali ne hanno invecchiato le competenze diminuendone l'attrattività e il potere contrattuale.

Qualità del capitale umano. E' un indicatore legato alla densità delle attività di ricerca e sviluppo, alle relazioni con Università e istituti di ricerca, alla presenza di autonomi centri di elaborazione culturale e a un livello culturale medio-alto dei cittadini. Su questo versante la città, complice anche l'emigrazione dei giovani più scolarizzati, presenta livelli di qualità del capitale umano assai lontani dalla linea di decollo.

Tasso di crescita delle imprese. Questo indicatore segnala il dinamismo imprenditoriale e lo spirito d'iniziativa di un territorio. L'area fabrianese vive una vera e propria morìa d'imprese che alimenta un saldo negativo. Ciò dipende in parte dalla situazione di stallo economico e in parte da un deficit di cultura d'impresa, come emerse da uno studio presentato, lo scorso anno, dal Prof.Gabriele Micozzi, dell'Università Politicnica delle Marche.

Trend del mercato immobiliare. Il mercato immobiliare è fermo. Il valore patrimoniale degli immobili privati è in caduta libera per eccesso di offerta e per una vendita massiccia di seconde case finalizzata a evitare un pesante prelievo fiscale sulle famiglie. Ciò significa che gli investimenti immobiliari, privati e/o industriali, a Fabriano sono soggetti a una congenita perdita di valore.

Mix industria, commercio, servizi e artigianato. La stabilità economica di un territorio, e quindi la sua attrattività, dipende anche dall'equilibrio tra i settori economici. A Fabriano la crisi dell'industria ha consumato la redditività e il ruolo del commercio (storicamente vissuto a ridosso del reddito industriale e quindi povero di autonomia, innovazione e visione) mentre non è mai esistito un settore avanzato di servizi, ridotto all'azione di professionisti e microsocietà che hanno vivacchiato da terzisti - come molte imprese artigiane - grazie a piccole prebende dispensate dalla grande industria.

Accordi territoriali. Gli accordi territoriali di secondo livello tra le parti sociali e le istituzioni sono utili per generare condizioni di attrattività senza modificare i contenuti del contratto nazionale e la legislazione. Su Fabriano è stato modulato e finanziato un Accordo di Programma che è rimasto lettera morta perchè rigido nelle procedure e burocratico rispetto all'esisgenza di sostenere progetti industriali capaci di creare competitività e occupazione.

Qualità e funzionalità delle infrastrutture. Strade, ferrovie, collegamenti, assi viari sono elementi costitutivi della competitività di un'impresa e quindi di un investimento produttivo. Purtroppo Fabriano risente di un deficit cronico di infrastrutture, dovute oltre che a fattori politici anche alla sua posizione geografica e alla morfologia del territorio, che la rendono poco attrattiva. In questo contesto il completamento della Quadrilatero rischia di arrivare fuori tempo massimo, ossia quando il raddoppio stradale servirà solo per arrivare prima al mare o per fare un salto a Perugia in occasione di Eurochocolate.

Attrattività del centro urbano. La convenienza di un investimento produttivo dipende anche dalla capacità di una comunità di esprimere un qualche "magnetismo" perchè, come scrisse l'economista Giacomo Vaciago, ciò che non attira non trattiene. Una città che non offre svaghi, servizi e opportunità di "consumo" del tempo libero non sarà mai in grado di attirare investimenti perchè le figure professionali più evolute tenderanno a non risiedervi. E sappiamo bene come questo fenomeno abbia inciso, e incida tuttora, nelle dinamiche di alcune grandi realtà aziendali fabrianesi.

Approccio delle amministrazioni locali. I Comuni possono fare poco per favorire materialmente la localizzazione di impianti industriali per via della normativa e per la fattispecie del danno erariale, che ormai aleggia in ogni scelta che non sia puramente ragionieristica e condominiale. Di certo le amministrazioni locali possono lavorare sul clima, ossia assumere atteggiamenti collaborativi e di favore rispetto al sistema d'impresa. La classe politica fabrianese è, invece, mediamente ostile all'impresa il cui valore, dal suo punto di vista, risiede unicamente nella possibilità autoreferenziale di mungerla a livello di tasse e tributi.

Che piaccia o meno questo è lo stato dell'arte e il peso dei vincoli strutturali. Qualsiasi idea e proposta di futuro non può che fare i conti con queste condizioni inesistenti e partire da un dato: abbiamo perso dieci anni in fuinzioni, finendo sempre più in basso. E mano a mano che si scende diminuiscono anche le risorse per risalire e si viene risucchiati sempre più in giù. 

Fabriano ha assoluto bisogno di essere reindustrializzata ma non può essere reindustrializzata perchè la crisi ha reso impossibile conseguire condizioni minime di attrattività del capitale: una verità dolorosa e paradossale, destinata a diventare un rebus e un rompicapo senza soluzione.
    

23 ottobre 2015

Il dramma di Fabriano: serve una rivoluzione ma non ha rivoluzionari

Fabriano è sporca, imbrattata, divelta e rotta. Il Comune, al netto d'ogni polemica politica, non dispone delle risorse minime da dedicare alla manutenzione ordinaria e quotidiana, quella che qualifica la mano pubblica e ne giustifica esistenza e funzione.

Diciamolo: sarebbe fuorviante ricondurre il dramma cittadino alla penuria di risorse, alle clamorose inadempienze della classe politica locale e al suo sigillo culturalmente miserabile e povero rispetto alle sfide di una città che sta arretrando di decenni in ogni campo. 

Sono i trend demografici e sociali a rendere davvero insostenibile – a breve e medio termine – la situazione del territorio. Il primo dato preoccupante riguarda il futuro dei tantissimi fabrianesi disoccupati

Una quota di questi, probabilmente, potrà arrivare alla pensione grazie alla sponda degli ammortizzatori sociali lunghi ma c’è una parte consistente che, per ragioni anagrafiche ma non solo, non può giungere alla quiescenza contando sullo scivolo della cassa integrazione. 

Queste persone, sostanzialmente giovani, dequalificate dal non lavoro e con competenze sempre più obsolete, hanno due possibilità: emigrare in cerca di nuovo lavoro o sopravvivere in condizioni di povertà. Considerata la mentalità dei fabrianesi, poco propensi alla mobilità anche in situazioni di disagio, è presumibile che nei prossimi si assista a una dilatazioe dell'area della povertà. 

Poi ci sono quelli che sono approdati a Fabriano dopo il terremoto del 1997 per trovare lavoro nei cantieri della ricostruzione e nelle aziende del bianco, a quel tempo ancora capaci di assorbire manodopera e occupazione. 

Una parte di questi lavoratori e famiglie ha lasciato e sta lasciando la città seguendo le dinamiche di mercato e di assorbimento della manodopera; gli altri, profondamente segnati e colpiti dagli ultimi anni di crisi, hanno deciso di restare in città perché – almeno per il momento – è più facile essere poveri a Fabriano che nei luoghi di origine.  

Tra i flussi in uscita vanno considerati i giovani fabrianesi che lasciano la città perché - per consapevolezza, cultura e scolarizzazione - non trovano nel territorio una possibilità concreta di stabilizzazione personale e di consolidamento del futuro. 

Si tratta della perdita più grave, di un'emorragia di energie intellettuali, di risorse professionali e di potenzialità demografiche capace di mettere a repentaglio il ricambio naturale delle generazioni, condizione primaria di sviluppo e motore di una relazione aperta e proficua con l’idea stessa di futuro. 

Tale combinazione di fattori, legata alla crisi economica e industriale, determina una conseguenza  e cioè che senza una brutale quanto improbabile inversione di tendenza la Fabriano del futuro sarà una città di poveri e di vecchi, una realtà priva di forza lavoro occupabile e di gioventù capace di connettere la comunità e il territorio alla grandi correnti della vita e del pensiero. 

Questi processi demografici certificano una realtà amarissima e cioè che la decadenza di Fabriano ha raggiunto livelli che rendono difficilissimo ogni tipo di intervento. E' necessario un rivolgimento di mentalità collettiva e una brutale rivoluzione politica per impedire che la ripresa si sposti avanti nel tempo di almeno una generazione.

Fra circa un anno e mezzo si voterà il nuovo Sindaco. Di fronte a un disastro strutturale di queste dimensioni e al fattore tempo che non è davvero dalla nostra parte, servono candidati speciali: gente con il senso del dramma e dell'urgenza, figure che non perdano tempo a raccontare i propri trascorsi, a sciorinare meriti pregressi e a esibire medagliette al bavero. 

Il disastro demografico e sociale di Fabriano merita sovversivi con un disegno di futuro. Tutto il resto è noia. Anche senza scomodare Califano. Il problema è che Fabriano è stata capace di creare soltanto situazionisti furbetti e palloni gonfiati. Servirebbe un papa straniero ma purtroppo anche l'orizzonte è diventato ateo.
    

15 ottobre 2015

La sentenza su Ardo tra la Casa di Ester e il Big Mac di Via Dante

 
Mentre la città sogna improbabili rilanci con la Casa di Ester e s'incaponisce a confondere Mc Donald's e bonifiche, sulla comunità incombe il pronunciamento definitivo della Corte di Cassazione in merito alla vendita della Antonio Merloni a JP Industries.

Per evitare l'ennesima caduta collettiva dal pero, quando l'argomento tornerà di stringente attualità, può essere utile rammentare qualche passaggio e riepilogare sommariamente l'accaduto.

Nel mese di settembre del 2013 la sezione fallimentare del Tribunale di Ancona - nella persona del giudice Edi Ragaglia -  accoglie il ricorso presentato da un pool di banche creditrici, annullando la vendita della A.Merloni a Porcarelli perchè "il perimetro della cessione" del ramo d'azienda a JP era viziato da uno "sconto" improprio praticato sul valore di venedita. 

Nella vendita a Porcarelli era stata, infatti, riconosciuta una previsione di redditività negativa (badwill) di quattro anni, nonostante la normativa vigente sulla cessione di aziende in amministrazione straordinaria prevedesse, inderogabilmente, un badwill di due anni

Questo dimezzamento aveva determinato un valore dell'azienda pari a 12,2 milioni di euro. Da qui la cessione a JP per circa 10 milioni di euro. In realtà, Il ricalcolo del valore - applicando la norma dei due anni di badwill - secondo la perizia del consulente allora nominato dal Tribunale, si si sarebbe dovuto atetstare intorno ai 54 milioni di euro. Un valore cinque volte superiore a quello della vendita realizzata

Rispetto alla sentenza del Tribunale fu esercitato il diritto a ricorrere opposto ma nonostante le pressioni della politica e i provvedimenti ad aziendam ottenuti da alcuni parlamentari - finalizzati ribaltare il pronunciamento del Tribunale - nel mese di aprile 2014, il Tribunale del Riesame conferma l'annullamento della vendita, rimarcando la solidità giuridica delle valutazioni sviluppate in primo grado dal giudice Ragaglia.

A questo punto Porcarelli, sostenuto dalle organizzazioni sindacali e dalle istituzioni locali, decide di ricorrere in Cassazione, delegando alla Suprema Corte il compito di mettere il sigillo conclusivo su questa lunga e controversa vicenda.

Nel frattempo si mette in moto una frenetica diplomazia - tra Ministero delle Attività Produttive, banche, JP, parti sociali e istituzioni locali - con l'obiettivo di trovare un accordo tra Porcarelli e le banche capace di scongiurare una sentenza negativa della Cassazione che difficilmente ribalterà due gradi di giudizio, tra l'altro caratterizzati da sostanziale uniformità di vedute e di punti di vista giuridici.

L'accordo tra Porcarelli e le banche è ritenuto, dai soggetti coinvolti, una condizione necessaria per ottenere dalla Cassazione un pronunciamento positivo. Dal punto di vista giuridico - ma confesso la mia ignoranza in materia - la relazione diretta tra accordo con le banche e pronunciamento della Cassazione appare discutibile perchè sia il Tribunale che il Riesame hanno sancito e confermato l'annullamento della vendita della A.Merloni a JP Industries per violazione di una norma e un accordo tra privati (banche e JP), a lume di ragione e di buonsenso se non in punta di diritto, non può certo rappresentare una sanatoria rispetto alla violazione di una legge e a un procedimento in corso.
 
L'accordo tra Porcarelli e le banche dovrebbe basarsi su un valore compensativo rispetto aii dieci milioni di euro pagati per l'acquisizione e il valore degli asset (54 milioni) stabilito dal perito nominato dal Tribunale di Ancona. E 44 miioni di euro, di questo tempi, non sono esattamente bruscolini.
 
Ora, se l'accordo viene raggiunto e la Cassazione ribalta il giudizio espresso nei due gradi precedenti, JP dovrà dimostrare non solo di avere un Piano industriale ma anche l'impossibile, ovvero che si può essere competitivi in un settore ad elevata concentrazione come quello elettrodomestici anche senza un'adeguata dimensione, ossia una delle ragioni strategiche per cui una multinazionale seppur tascabile come Indesit è stata acquisita da un player come Whirlpool.
 
Se la Cassazione confermasse, invece, il pronunciamento dei due gradi precedenti si creerebbe una situazione paradossale con un Porcarelli parte lesa che avrebbe tutto il diritto di chiedere i danni e una Antonio Merloni rimessa magicamente in mano ai commissari e riportata all'epoca dei bandi internazionali. Con effetti deflagranti e paradossali sulla condizione dei lavoratori messi in mobilità, sul TFR di chi non è stato riassunto da JP, in relazione ai macchinari venduti e alla tutela patrimoniale della Antonio Merloni.

Insomma, comuqnue vada ci troveremo davanti a un groviglio di problemi, a uno gnommero gaddiano che farà tremare le pareti della Casa di Ester e toglierà sapore al Big Mac trangugiato a Via Dante.
    

11 ottobre 2015

L'ammainabandiera Indesit che fa diventare americani i fabrianesi

E infine giunse il giorno dell'ammainabandiera. Indesit non esiste più da qualche mese come realtà industriale autonoma ed era rimasta in piedi soltanto una differenziazione nominale rispetto a Whirlpool, una riserva risicata di simboli che servivano, quanto meno psicologicamente, a marcare il territorio e a tenere in piedi la finzione del "noi e loro".

Anche quest'ultima ridotta è caduta: la gloriosa "I" che campeggiava iconicamente sulla palazzina degli uffici centrali di Fabriano è stata smontata e tolta di mezzo. Come sempre accade quando si chiude un'epoca, quando cade un regime o semplicemente quando cambia l'assetto proprietario di un gruppo industriale.

I fabrianesi - convinti di essere cittadini di un'isola anomala e felice, governata con bontà e giustizia da una casata neorinascimentale -  non hanno mai creduto, fino in fondo, che la storia di Indesit fosse davvero finita. 

L'illusione di un'autonoma sopravvivenza del gruppo, seppur in presenza di un passaggio di proprietà, è stata consegnata a una parola che conteneva un concetto fuorviante e privo di contenuto reale: partnership

Whirlpool ha fatto finta di stare al gioco e in molti hanno creduto che questo atteggiamento da multinazionale rispettosa delle specificità pregresse rendesse plausibile un rapporto paritario, o al massimo non troppo sbilanciato, con il nuovo proprietario americano. 

Qualcuno ha pensato che l'effetto dell'acquisizione fosse una mezza sommatoria e non, invece, una colonizzazione senza mediazioni, giusto attenuata da una fase di transizione resa digeribile dalle necessità mediatiche di Renzi e dal gioco degli ammortizzatori sociali e delle fuorisucite incentivate.

Togliere la "I" dalla palazzina uffici e cancellare ogni residuo di memoria simbolica legato a Indesit è il segnale di una nuova fase; una fase in cui non sarà concesso riconoscersi in una comunità che si differenzia rivendicando know how, specificità e modelli produttivi e organizzativi provenienti dalla passata gestione merloniana e capaci di differenziare e mantenere in piedi un'identità nobile svenduta dai vecchi proprietari a prezzo di saldo.

Ormai o si è Whirpool o si è il nulla. Si chiama assimilazione ed è un processo in cui rasi, pizzi e merletti servono solo ad occultare le lame più aguzze e le operazioni più dure. Saranno i fabrianesi a diventare americani e non certo gli americani a ritrovarsi fabrianesi: una verità a lungo rimandata, che ha eroso le difese e circoscritto gli anticorpi.