31 ottobre 2016

Bravo Sagramola ma adesso acqua in bocca please!


Il terremoto produce uno straordinario impasto di sensazioni: paure ancestrali, danni materiali, notti all'addiaccio, crolli, sopralluoghi, un'improvvisa torsione della vita quotidiana che si fa minaccia latente fino a schiacciare l'esistenza sulla sequenza dei movimenti tellurici. 

In questo contesto, che somiglia a un anomalo scenario di guerra, si consolida un quadro emergenziale in cui ciò che è importante e ciò che è urgente tendono a coincidere: prevale il "qui ed ora", i distinguo perdono sostanza e peso e la qualità degli interventi amministrativi si misura sulla tempestività operativa, sui risultati di coordinamento e sulla capacità di fornire risposte concrete in tempi sostenibili

Partendo da tali considerazioni, e al netto di qualsiasi desiderio di politicizzazione del giudizio, ho espresso pubblicamente pieno sostegno all’azione di Giancarlo Sagramola, che si è mosso bene e ha saputo mettere a frutto l’esperienza del 1997, evitando la drammatizzazione della situazione e il proliferare di una rischiosa polemica politica, a dire il vero evitata da tutte le forze cittadine

Proprio in ragione di questo buon operare, da formica d’entroterra che bada a governare l’emergenza lasciando sullo sfondo l'istinto presenzialista, mi ha colpito negativamente l’intervista rilasciata dal Sindaco di Fabriano al Fatto Quotidiano; un’intervista in cui il primo cittadino strombazza orgoglioso la sostanziale tenuta degli edifici fabrianesi come frutto prelibato della buona ricostruzione successiva al sisma del 1997.  

Non ho ragioni tecniche e di conoscenza architettonica e ingegneristica per eccepire che quanto sostiene Sagramola corrisponda al vero, ma fare certe affermazioni in un momento come questo - con interi paesi rasi al suolo, un numero di sfollati conteggiati a decine di migliaia e un allarme che non sembra destinato a rientrare - ha un retrogusto di evitabile presunzione, un sentore che richiama l’eterna tentazione fabrianese di pisciare più lontano degli altri e di proporsi come modello quando è prematuro farlo e sbagliato pensarlo. 

Lo sciame sismico è nel pieno della sua virulenza, le scosse proseguono ininterrottamente e, come si diceva in precedenza, è solo l‘urgenza delle cose da fare a stabilire l’importanza delle parole e delle opere. 

Non possiamo fare previsioni né sentirci al sicuro solo perché si è ricostruito bene e abbiamo il dovere di essere cauti sperando, ovviamente, di non doverci mordere la lingua per aver fatto gli “sboroni” con troppo anticipo. Anche perchè il modello di ricostruzione evocato da Sagramola fu applicato su scala umbro marchigiana e non solo fabrianese e visto l'accaduto di questi giorni per spiegare la buona performance di Fabriano mi aggrapperei più al culo che alla scienza.

Ed è per questo che chiedo a Sagramola di continuare a fare quel che, fino ad ora, ha fatto bene, senza farsi distrarre dai microfoni e dalla ribalta. E se può respinga al mittente pure uscite come quella del quotidiano che titola “Sagramola, il super sindaco che non dorme mai” perché il primo cittadino assolve a un mandato politico ed elettivo che non prevede nè pose eroiche né vocazioni taumaturgiche.
    

11 ottobre 2016

Fabriano: a ciascun giorno basta la sua pena

Da qualche anno a questa parte abbiamo parlato spesso di Porcarelli, della JP Industries, di piani industriali annunciati, di tavoli ministeriali che non si riuniscono, di vendite annullate e di ribaltoni giudiziari.

Siamo stati così presi e coinvolti dai molti colpi di scena sull'asse Fabriano - Cerreto D'Esi da lasciare sullo sfondo - fin quasi a dimenticarcene - un altro pezzo fondamentale della vicenda Antonio Merloni, ovvero il destino personale, familiare e professionale dei circa 800 lavoratori umbri e marchigiani che non furono riassorbiti nell'operazione JP Industries.

Al grosso di questi 800 "sommersi" scade oggi il diritto all'assegno di mobilità mentre per una quota minore di lavoratori più anziani la scadenza è posticipata al prossimo anno. Ciò significa che molti lavoratori e molte famiglie stanno giungendo al proprio capolinea reddituale.

Ricollocare professionalmente questi lavoratori è un'impresa titanica perchè gli ammortizzatori sociali lunghi hanno consumato le loro competenze residue, disabituandoli psicologicamente alla quotidianità dell'impegno lavorativo.

Per il nostro territorio si tratta di una grave perdita di forza lavoro tra la popolazione attiva, ovvero di un impoverimento economico e sociale che ci coinvolge e ci riguarda tutti.

Dato che i posti di lavoro non si generano per decreto è facile supporre che una parte di questi lavoratori "sommersi" - ovvero quelli più giovani e lontani dalla pensione -  sarà costretta a emigrare in cerca di opportunità occupazionali, determinando un ulteriore calo demografico nel nostro territorio.

Un'altra parte, invece, proverà a sopravvivere consumando quel che resta del patrimonio familiare e facendo conto su un minimo di assistenzialismo. Agli effetti di questo "qui ed ora" vanno sommati anche i rischi occupazionali che incombono su Veneto Banca a seguito dell'acquisizione dell'istituto da parte del Fondo Atlante.

Chi si candiderà a Sindaco dovrà essere consapevole che saranno questi i temi che decideranno le elezioni e di certo il silenzio prolungato non paga, specie se non è discrezione ma attesa paracula del referendum del 4 dicembre. 

Giusto un paio di giorni fa in questo blog scrivevo di Cartiere Miliani e Tecnowind. E' proprio vero che a ciascun giorno basta la sua pena. Eppure stamattina tiene banco un portone rotto da vandali avvinazzati. Dio acceca chi vuol perdere!
    

9 ottobre 2016

Di carta e di cappe e non di lupanare

Il lupanare a Pompei
Il rosso pompeiano sta diventando la tinta dominante in città. Un rosso metaforico - senza ossidi di ferro e senza risultanze ocra, come nelle antiche ville vesuviane - che richiama l'insana passione del lupanare e del meretricio che di Pompei fu regola e simbolo.

Prima lo spropositato allarme per due (dico due!) prostitute in Viale Stelluti Scala, quindi l'irruzione dell'Arma nella massaggeria cinese e infine la notizia di baby squillo in cerca di denaro facile per acquistare borsette e telefonini.

Raccontare Fabriano come Pompei serve a insaporire una città scipita ma pettegola; un sapido che scatena curiosità, alimenta il cicaleccio e stimola conversazioni in pausa caffè e all'ora dell'aperitivo.

In tutto questo - per difetto di intelligente malizia -  non si intravede una regia consapevole, una piccola Spectre che pianifica gli spostamenti di attenzione e indirizza gli umori ballerini di una cittadinanza in cerca di evasione. Ma quali che siano i meccanismi e il movente del rosso pompeiano un dato è certo: l'enfasi puttaneggiante fa ombra a tutto il resto.

In questi giorni al "resto" possiamo attribuire almeno un paio di nomi: Tecnowind e Cartiere Miliani. La storia recente della Tecnowind è nota. Nel corso dell'estate del 2013, dopo diverse vicissitudini societarie, il Fondo Synergo, a quel tempo proprietario dell'azienda, dichiara che non è disposto a ricapitalizzare ma  pronto a vendere la sua quota al valore simbolico di un euro, l'equivalente di un cornetto Algida.

La Tecnowind, all'epoca, ha 350 dipendenti, un indebitamento pesantissimo, serie difficoltà nel rapporto con le banche e costi di struttura incompatibili con il proprio giro d'affari. La salvezza dell'azienda si determinò sulla base di tre elementi: la vendita a un euro all'ing.Cardinali, la richiesta di concordato preventivo con proseguimento dell'attività e lo sblocco di liquidità concesso dagli istituti bancari.

A distanza di tre anni anche i subentranti sembrano intenzionati a vendere, segno che le condizioni generali dell'azienda non sono migliorate come si pensava e come era necessario. Ciò significa che ad oggi va rimesso sulla scena anche un rischio Tecnowind.

Per il momento si sta addensando, su una quarantina di operai, il ricorso alla cassa integrazione a rotazione, sintomo di una difficoltà operativa e gestionale che fa il paio con le voci di una trattativa tra la proprietà di Tecnowind e un gruppo straniero.

Se l'operazione andasse in porto, dopo Franke e Whirlpool, avremmo un'altra proprietà non autoctona in città, con la possibilità che Fabriano possa essere sacrificata a vantaggio delle unità produttive di Tecnowind dislocate in Cina e Romania.

La città e la politica tacciono o parlano di Pompei quando sarebbe il caso di attrezzarsi per dare alla comunità un ruolo in situazioni e scelte che impattano sul tessuto sociale e su un settore produttivo, quello delle cappe aspiranti, fondamentale per lo sviluppo della città. Invece no: è più comodo e più facile parlare di puttane che di fatturati. Così va il mondo.

C'è poi il capitolo Cartiera Miliani. Come già accaduto per il disastro di Veneto Banca chi vive qui non può apprendere notizie interessanti dai canali giornalistici locali e attraverso le sedi istituzionali.

Su Veneto Banca chi voleva farsi un'idea indipendente e non viziata da parrocchiette straccione doveva tenere costamente un occhio alle notizie del Gazzettino. Sulla Cartiera Miliani idem con patate, con la differenza che al posto del Gazzettino c'è L'Arena, il quotidiano di Verona.

In un articolo pubblicato il 30 settembre 2016 L'Arena parla espressamente di un'accelerazione nella cessione del 100% del gruppo Fedrigoni alla cordata Benetton - Bonomi che si dovrebbe chiudere prima della fine dell'anno in corso.

Ciò significa che la proprietà della Cartiera Miliani potrebbe rapidamente transitare da una famiglia storica di industriali della carta - che la salvarono dalla terrificante gestione del Poligrafico e dei suoi manager fabrianesi - a una cordata più interessata agli aspetti finanziari dell'acquisizione che non alle prospettive industriali del gruppo. Il che significa che dove si annidano perdite o diseconomie ci saranno sicuramente tagli.

Come dice un amico cartaio, con cui mi confronto sul tema Miliani, in questa situazione di dinamismo proprietario il Comune dovrebbe giocarsi le carte per accattivarsi la possibile nuova proprietà con l'obiettivo di riportare la sede a Fabriano.

Ma a Fabriano si parla d'altro. Di puttane e puttanate. E così sia.
    

6 ottobre 2016

Ruota destra di scorta!

Il centrodestra fabrianese ebbe il suo momento di gloria elettorale nel 2007 quando - con una coalizione anomala, tutta sbilanciata sull'Udc e sui suoi numeri da entroterra siciliano - ottenne al primo turno il 48,8% dei consensi.

Quel passaggio politico rappresentò sia un culmine non replicabile che l'incipit di un declino caratterizzato da processi politici nazionali, come il fallimento del PDL, e da fattori più strettamente locali come il crollo politico ed elettorale dell'UDC a seguito della crisi Ardo e la sua successiva migrazione residuale nel campo del centrosinistra.

In poco meno di un decennio, una coalizione che aveva ottenuto il voto di quasi un fabrianese su due è stata letteralmente cancellata dalla scena politica fabrianese.

Ora, la distruzione di un disegno politico funziona grosso modo come l'estinzione di una specie vivente: una volta scomparsa non è possibile resuscitarla replicando il laboratorio del Jurassic Park di Spielberg. 

Il che significa che una coalizione di centrodestra potrebbe anche non presentarsi al voto del 2017 oppure partecipare puntando a un ruolo di forza intermedia, ma senza concrete possibilità di arrivare al ballottaggio e con tutti i rischi che a quel ruolo terzo vengono riservati dal sistema elettorale dei comuni.

E' per questo che in tanti si domandano cosa farà la destra la prossima primavera. Non per timore ma per calcolo perchè le sue scelte possono modificare alcuni equilibri di primo turno, nel quadro di un nuovo bipolarismo centrosinistra - Movimento 5 Stelle che, verosimilmente, si contenderanno, al ballottaggio, la carica di primo cittadino.

In questo contesto il centrodestra ha tre possibilità: la più verosimile é una coalizione identitaria che tenga assieme Fratelli d'Italia e Forza Italia, con una forchetta di consensi potenziali compresa tra l'8 e il 10%. Su questa ipotesi gravano alcuni interrogativi irrisolti: le incognite sulla presenza di una lista della Lega e la posizione prudente di Sergio Solari, che non sembra intenzionato a fare l'azione propedeutica alla propria candidatura a Sindaco, ossia a costituire un gruppo consiliare di Fratelli d'Italia in Consiglio Comunale.

La coalizione identitaria, per certi versi, risulta gradita al PD che potrebbe avvantaggiarsi di questa ipotesi per abbassare il risultato del Movimento 5 Stelle al primo turno. Il punto è che un centrodestra politicizzato e identitario, anche senza dichiararlo, al ballottaggio dirotterebbe i suoi consensi sul candidato grillino, per dare uno schiaffo ideologico al centrosinistra.

La destra, se va bene, eleggerebbe un paio di consiglieri comunali di minoranza. E chi conosce il sistema sa bene quale livello di frustrazione sia connesso a un prolungato esercizio di quella funzione.

La seconda strada percorribile è quella di un centrodestra civico, ossia un'ipotesi di coalizione senza i simboli del centro destra. Si tratta di uno schema destinato a dare risultati elettorali residuali perché spingerebbe gran parte dell'elettorato di destra direttamente sui grillini.

Tra l'altro questo approccio avrebbe senso solo in una logica di negoziato col centrosinistra, ovvero di apparentamento in cambio di un assessorato di peso. Anche in questo caso le variabili da considerare sono diverse, a partire dalla figura che si prenderà la rogna di candidarsi a Sindaco tirandosi inevitabilmente addosso l'epiteto di traditore e voltagabbana.

Questo schema, tra l'altro, deve fare i conti anche con un'altro problema ossia la possibilità che un centrodestra senza simboli non elegga rappresentanti in Consiglio. E notoriamente chi non entra in Consiglio non piglia né pesci né poltrone anche se ha portato l'acqua al vincitore.

La terza possibilità è che il centrodestra si divida presentandosi con ambedue le formule, cannibalizzando il proprio elettorato e spingendolo, sin dal primo turno, a foraggiare l'astensionismo o a schierarsi tacitamente coi grillini.

Il sunto di queste simulazioni è chiaro e crudele: quale che sia la formula politica prescelta il centrodestra, anche considerando le sue attuali condizioni numeriche e politiche, si candida a giocare un ruolo subalterno, con il rischio elevatissimo di fare la ruota di scorta di una o dell'altra delle due forze maggiori.

Uno scenario verosimile che, oggettivamente, impoverisce l'offerta politica delle prossime elezioni comunali.
    

5 ottobre 2016

Alcool e prostituzione a Fabriano: l'avete fatto voi!

Abbiamo 5.000 disoccupati, una comunità in frantumi e una generazione che parte. E' uno schianto economico e sociale che chiamiamo pudicamente crisi, per coltivare l'illusione che una parola generica possa esprimere il potere magico di sdrammatizzare la realtà.

Negli ultimi anni non abbiamo avuto modo e fortuna di incrociare un'analisi approfondita e seria della situazione, un punto di vista che non fosse espressione di una miopia popolana e rassegnata, uno scampolo di movimento che andasse in direzione opposta rispetto alla mollezza di un attendismo che confonde prudenza e suicidio.

Va detto: attorno alla crisi si è molto cazzeggiato, molto rimosso e alquanto atteso, confidando nel miracolo, nella risoluzione esterna, nel sopraggiungere di una divinità capace di riassorbire manodopera e di sommare agli antichi fasti della produzione anche il tocco delicato della bellezza e del richiamo turistico.

Abbiamo buttato nel cesso almeno dieci anni di consapevolezza e di lucidità; risorse fondamentali per immaginare una exit strategy che non fosse quella banale di un terziario impossibile e di una creatività inesistente ma raccontata come mantra salvifico, sancita da un riconoscimento Unesco che somiglia sempre di più a un profumo spruzzato a coprire un'ascella a lungo trascurata. 

I nodi economici e sociali stanno arrivando al pettine ma nonostante le molte nubi che si profilano all'orizzonte un'intera classe dirigente e la maggioranza dei cittadini rifiutano di fare i conti con la realtà, cercano diversivi su cui imbastire campagne ridicole e puritane e provano ad assolversi confondendo le cause con gli effetti.

Reprimere le sbronze, allontanare i clochard da Piazza del Mercato, inalberarsi per le puttane in strada, ma non per quelle che lavorano indoor. Eccola la nuova impronta del fare e la quintessenza del decidere!

Il seguito è noto: risorse ed energie dilapidate per comprimere orari, per raccontare certi pubblici esercizi come bettole per classi pericolose, per mettere la museruola all'aperitivo lungo e allegro, per tutelare un diritto al sonno trasformato in feticci cui rendere omaggio obbligato e corale, per rendere astemia una comunità di giovani ferita e irrisa che dovrebbe pure brindare a suon di lacrime e non di spirito, per allontanare qualche prostituta che adesca a prezzi popolari concittadini simili al vecchio professore moralista della canzone di De André.

C'è una classe dirigente locale che ha creato una disoccupazione mineraria, da coke town ridotta a relitto, e si scandalizza per qualche tipica devianza da crisi economica; una classe dirigente incolta che non ha mai visto un film inglese sul lavoro perduto, che non ha letto una sola pagina di letteratura industriale, che ignora quel che accade quando il furto di futuro diventa un elemento strutturale del panorama sociale.

Ed è solo per ignoranza cronica che questa classe dirigente si illude di risolvere i problemi stringendo la cinghia, mortificando le forme di aggregazione, perseguitando lo schiamazzo notturno e il gomito alzato, trasformando qualche schizzo di vomito nella prova schiacciante del degrado.

Si racconta che un ufficiale nazista si avvicinò a Picasso per chiedergli del dipinto Guernica: "L'avete fatto voi maestro?". Al che Picasso rispose: "No, l'avete fatto voi". Le puttane, le sbronze e la disoccupazione sono il prodotto di una classe dirigente. Sono opera vostra. L'avete fatto voi.