22 novembre 2016

Il PD tra la pelata di Giancarlone e i riccioli di Branduardi

Sagramola ha avuto il suo momento magico nel pieno dell'emergenza sisma. Ha fatto quel che era necessario fare: si è distinto per una capacità di coordinamento che gli deriva da esperienze pregresse e ha restituito l'immagine di un Sindaco a suo agio con un'operatività da funzionario esperto più che con la vision necessaria alla funzione politica di primo cittadino.

Questo sbilanciamento sul lato "funzionariale" del ruolo è emerso con nettezza nella discussione sull'inserimento di Fabriano nel cratere sismico, rispetto a cui Sagramola è apparso politicamente incerto e titubante.

La mancanza di un solido equilibrio tra doti operative e capacità politiche ha consumato il credito emergenziale acquisito da Sagramola, risucchiato rapidamente in quel cono d'ombra che ha segnato, senza soluzioni di continuità, il percorso amministrativo del suo mandato.

In modo forse superficiale e sicuramente frettoloso qualcuno ha ritenuto che sisma, calendario e referendum fossero componenti strategiche di un humus adatto alla ricandidatura di Sagramola.

Del resto Stefano Santini e Claudio Alianello, narrati come punte di diamante di un nuovo corso generazionale e renziano, sono scomparsi da tempo per autocombustione: Santini subito dopo la mancata elezione in Consiglio Regionale, Alianello ridotto a desaparecido dalla fine del patronage assicurato da Maria Paola Merloni.

Come accade spesso in queste circostanze ne resta solo uno e l'Uno Sopravvissuto è chi si è visto di meno, il più esperto nell'anguillare e nel passo felpato, l'Apache capace di cancellare qualsiasi traccia lasciata sulla sabbia dal proprio cavallo: Giovanni Balducci.

Pare che l'assessore di Attidium - col fare lieve e riccioluto di un Branduardi prestato alla politica - abbia dato al PD, ossia ai Crocetti d'Attidium, la propria disponibilità a candidarsi a Sindaco. Se uno dà una disponibilità significa che qualcun altro si è premurato di chiedergliela. Ed è esattamente questo, per ora e al di là del nome, l'elemento di interesse su cui conviene spendere qualche parola.

Se lo spiffero di casa PD corrispondesse al vero, la questione politica sarebbe davvero succulenta, col Partito Democratico che, di fatto, sfiducia il Sindaco preferendogli un componente della Giunta: uno schiaffo in sapor di congiura capace di impepare e scuotere una scena politica altrimenti prevedibile e statica.

Siccome la politica, per quanto malconcia, è fondata anche su formalismi e consuetudini sarà interessante capire quale potrebbe essere l'eventuale cerimoniale di defenestrazione di Sagramola

Far cadere la Giunta sfiduciandola in Consiglio, non è possibile perchè in piena emergenza terremoto si tratterebbe di una decisione che l'elettorato non capirebbe. Far giungere Giancarlone a fine mandato e poi fargli la pelata sarebbe invece una puzzonata, di quelle difficili da gestire a livello mediatico oltre che politico. 

Di conseguenza l'unica possibilità per eliminare Sagramola lasciando poche tracce è quella di agire in modo cinico e andreottiano, ossia ricorrendo a Primarie a recinto stretto, riservate ai soli iscritti al PD. In una circostanza del genere, infatti, Sagramola sarebbe politicamente costretto a non partecipare.

Un Sindaco in carica che non viene ricandidato direttamente e accetta le forche caudine di una competizione a due con un suo assessore, è politicamente agli ultimi rintocchi. 

La sensazione, stante la veridicità di certe chiacchiere di corridoio, è che Sagramola sia agli sgoccioli, ma in politica le previsioni durano poco e di solito sbagliano. Specie quando i protagonisti sono vecchi democristiani, notoriamente longevi e maestri nel chiagne e fotte.

Fossi in Balducci non starei sereno! O forse si.
    

14 novembre 2016

Quel cratere sismico che inietta veleno assistenziale

Non possiamo dire se e quanto abbia pesato l'intervista di Sagramola al Fatto Quotidiano nell'esclusone di Fabriano dal cratere sismico. Il "come va come va? Tutto ok tutto ok!" era sicuramente più adatto a un motivetto di Albano e Romina che a un Sindaco del Centro Italia ma il primo cittadino - nei suoi quattro anni e mezzo di mandato - ci ha abituati a un "fuori luogo" puntuale e compulsivo.

Di conseguenza scandalizzarsi ancora, come fosse la prima volta, rende gli indignati tragicamente simili al cane di Pavlov. Per chiudere un'epoca non serve essere sempre impettiti e incazzati. E' sufficiente far scivolare lievemente una scheda nell'urna. Si risparmiano fegato e parole.

E veniamo alla questione del cratere sismico. Tradizionalmente, in Italia, si verificano due terremoti: quello che le abitazioni le distrugge e quello che le ricostruisce. I cataclismi, infatti, fanno circolare ingenti quantità di denaro pubblico ed è quasi fisiologico che una quota ingente di esso finisca per foraggiare opere e cose che col sisma c'entrano davvero poco.

Ciò accade per molte ragioni, non ultima l'assenza di una legge quadro per la gestione degli eventi sismici che costringe i governi ad approvare normative ad hoc ogni volta che un terremoto provoca danni e distruzione.

La scia sismica che da agosto funesta il Centro Italia ha provocato la distruzione di interi centri abitati e danni estesi anche a distanze significative dall'epicentro. Il quadro non è quindi uniforme e non si possono trattare allo stesso modo zone colpite in modo diverso e a un diverso livello di profondità.

Fabriano ha circa 600 sfollati, pari all'1,8% della popolazione residente, riconosciuti attraverso specifici decreti di inagibilità degli immobili. Almeno ufficialmente, quindi, Fabriano risulta colpita marginalmente dal sisma, a meno che non si voglia alimentare il sospetto di danni volutamente non rilevati dai soggetti incaricati di svolgere le ispezioni.

Il che non può essere né escluso a priori né considerato un dato di fatto. In assenza di riscontri oggettivi tutto diventa oggetto di congettura, ovvero di chiacchiera da bar e di complotti da tastiera.

Per esprimere un giudizio dobbiamo, quindi, prendere atto dei 600 sfollati e partire da questo. Può non piacere a chi punta lo sguardo soltanto sul risvolto politico dei fatti ma con questi numeri è comprensibile che Fabriano non sia stata inserita nel cratere sismico.

Se volessimo fare un'obiezione potremmo sostenere che altri comuni sono stati inseriti nel cratere, nonostante l'entità dei loro danni non sia così difforme dalla nostra. In questo caso entrerebbe automaticamente in scena il tema delle coperture politiche importanti che Fabriano aveva e non ha più, ma saremmo comunque fuori da ogni valutazione reale dei danni subiti.

Quando c'è un terremoto i soldi devono essere spesi per ricostruire le prime case e per il rispistino del potenziale produttivo danneggiato. I 600 sfollati fabrianesi potranno accedere, come è giusto, ai fondi per la ricostruzione che verrà finanziata dallo Stato al 100%. Chi ha seconde case danneggiate, e mi sembra giusto anche questo, potrà accedere a un 50% di contributo statale, visto che su questi immobili gravano tasse di rilevante ammontare.

Quel che fa paura - sintomo di una mentalità assistenzialista di cui Fabriano ormai pullula, è il cuore del dibattito e dello scontro politico focalizzato attorno all'idea che lo Stato debba finanziare la paura utilizzando risorse destinate alla ricostruzione per pagare politiche di rilancio dell'economia territoriale di zone non colpite.

Essere nel cratere sismico significa avere la busta paga pesante, sospendere il pagamento dei contributi, sbloccare i vincoli del patto di stabilità nella spesa comunale in vista delle elezioni. Tutta roba che con i danni da sisma non c'entra nulla.

Fabriano, nel suo equilibrio statico costruito a spese della collettività, evidentemente non si accontenta di migliaia di cittadini che svernano a colpi di ammortizzatori sociali che durano decenni e consentono di fare il doppio e il triplo lavoro. No, adesso battiamo cassa pure per farci iniettare un'altra dose di veleno assistenziale.

Se Fabriano verrà inserita nel decreto per un po' di tempo disporremo di qualche soldo in più ma creperemo nell'illusione che per salvarsi tutto faccia brodo: dalla cig ai crateri sismici. Come sei ridotta vecchia città dell'homo faber!
    

3 novembre 2016

Fabriano: la lezione del '97, la paura del 2016 e le incognite degli anni a venire

Il terremoto del del 26 settembre 1997 danneggiò profondamente Fabriano. A distanza di venti anni, sollecitati dalla Terra che trema sotto ai nostri piedi, si ripensa a quella stagione in modo asettico, chiamando in causa soltanto i risultati materiali della ricostruzione: si rievocano modelli, esperienze, buone prassi, normative come se quell'evento sismico non contenesse altro che indicazioni e comparazioni di natura ingegneristica.

Sono in pochi, invece, a ricordare un altro elemento cruciale e cioè che il terremoto del '97 rappresentò il preludio della crisi cittadina. Nel giro di poche settimane cambiarono comportamenti e abitudini, il centro storico - puntellato e imbracato - si trasformò in un'infrequentabile terra di nessuno, i pochi circuiti della socialità esistenti si inaridirono e si perse del tutto quel già esile sentimento di comunità e di provincia che caratterizza l'identità dell'entroterra.

E' il terremoto del 1997 che inaugura la trasformazione della geografia cittadina e rende periferico il centro storico. E' il terremoto del 1997 che erode, nella psicologia dei fabrianesi, la più imponente delle certezze collettive: l'illusione di un'isola felice al riparo dagli effetti della storia che dopo Berlino impenna e accelera e dalle turbolenze di una natura matrigna che i marchigiani, leopardiani senza saperlo, avrebbero dovuto conoscere.

Il varco che il sisma di quegli anni ha aperto nella mentalità dei cittadini, prostrandola senza generare resilienza, forse spiega, almeno in parte, la "non reazione" di fronte alla crisi occupazionale e industriale, la prevalenza di un fatalismo inspiegabile, di una passività estranea anche alle più ingenerose sociologie sul metalmezzadro.

Tra la crisi psicologica prodotta dal sisma del '97 e la crisi industriale degli anni successivi c'è una sfasatura cronologica di circa un decennio che ha consentito ai fabrianesi di non sovrapporre questo doppio fardello.

Il sisma di questi giorni fa pensare alla chiusura del cerchio, alla conclusione - quanto meno simbolica - di un percorso ventennale di crisi. Applicando la ricetta gramsciana dell'ottimismo della volontà si potrebbe affermare che viviamo la coda di una fase difficile, cui farà seguito una stagione diversa. 

In realtà si profila una criticità potenzialmente drammatica perchè adesso crisi economica da deindustrializzazione e crisi psicologica da terremoto coincidono anche temporalmente, scaricando sui fabrianesi un peso rilevante, capace di consumare le energie residue di una comunità sfibrata da una prolungata tensione.

Il rischio che stiamo correndo è quello del colpo di grazia, di una Fabriano condannata a morte dalla natura, dal destino e dalla miopia degli uomini. Gestire bene l'emergenza terremoto e coordinare le forze è un valore in sé, ma si rischia di accontentarsi e darsi la mano da soli senza guardare oltre.

Fabriano è la città più popolosa dell'area colpita dal sisma, quella col territorio più vasto e con la disoccupazione più estesa. Essere lontani dall'epicentro consola ma non basta. Serve una risposta di prospettiva che ci veda capofila di una reazione corale.

Diversamente affonderemo. Assieme a tutta l'area storica dell'Appennino Centrale. E stavolta male in comune non sarà mezzo gaudio.