13 maggio 2016

La concimaia di Arcioni e le spellature montate ad arte

Pochi si ricorderanno di un signore che venne a Fabriano a tenere una conferenza nel 1992. 

Si chiamava Ennio Pintacuda ed era un padre gesuita di Palermo, animatore assieme a Padre Bartolomeo Sorge - anche lui teologo e politologo - del Centro Studi "Pedro Arrupe", il più influente laboratorio di riflessione politica di quegli anni oltre che il luogo in cui furono gettate le basi politiche e culturali della Primavera di Palermo, esperienza di governo cittadino incarnata da Leoluca Orlando.

Ennio Pintacuda - uomo di piccola statura, curvo, di carnagione olivastra e con gli occhi schermati da occhialoni neri - fu il più autorevole teorico del giustizialismo, l'assertore più colto e convinto del principio secondo il quale il sospetto è l'anticamera della verità; al punto che in alcuni ambienti allergici a quell'esperienza venne addirittura ribattezzato Padre Barracuda.

Ennio Pintacuda aveva una concezione alta del sospetto, di uno che si era formato studiando Sant'Ignazio da Loyola, ovvero senza girotondi, senza Fatto Quotidiano, senza Grillo e senza quell'armamentario di pose e di posizioni che trasforma il moralismo in una terrificante giostra puritana.

Oggi la cultura del sospetto è ridotta a tagliola contadina, a trappoletta architettata da soggetti più avvezzi al pettegolezzo di basso conio che alle sottili ed elevate trame del gesuitismo

La degradazione del sospetto è il frutto della sua massificazione, del suo utilizzo esagerato, di un ricorso sistematico ad esso che ha sedotto partiti, movimenti e cittadini convinti che possano esistere giustizieri senza macchia e senza paura. Il risultato è che, oramai, è sufficiente una modestissima ombra per sporcare solide e affermate reputazioni.

Fabriano è una città che non ha mai conosciuto la forma colta del sospetto ma soltanto quella barbarica e rurale delle diffamazioni gratuite, delle scritte sui muri, delle "spellature" montate ad arte, delle persone scorticate e rivoltate come fosse un passatempo leggiadro e leggero.

Questo modo di fare, portato agli estremi dalla degradante massificazione politica del sospetto, è esattamente quello che mette sulla graticola un consigliere comunale del Movimento 5 Stelle - Joselito Arcioni - per una cosa di nessun valore, di quelle che possono capitare a chiunque sia coinvolto in una successione di beni dovuta alla morte di un parente o di un familiare.

L'esponente grillino ha fatto bene a dichiarare pubblicamente che era lui il politico a cui è stata inoltrata una contestazione per abuso edilizio. In questo modo Arcioni ha bloccato sul nascere la panna che stava montando attorno a una notizia alimentata dalla stampa approfittando di quel lievito selvaggio che a Livorno e a Parma ha messo il Movimento 5 Stelle nell'occhio del ciclone. 

La lettera che l'esponente pentastellato ha inviato ai mezzi di informazione risulta convincente, una mossa di judo che consente al Movimento di rilanciare e di uscire in modo brillante dall'angolo.

La situazione che si è venuta a creare adesso può diventare un problemone in casa PD ma resta il fatto che anche il Movimento 5 Stelle è chiamato a una riflessione serena e laica sui rischi congeniti del giustizialismo, specie quando esso diventa strumento di mobilitazione politica, di furore popolare e di costruzione del consenso.

Quando si accusa la classe politica, un giorno si e l'altro pure, di essere una congrega di ladri e di malfattori può accadere che qualcuno ceda alla tentazione di ripagare l'accusa con la stessa moneta e di andare alla ricerca di qualche banalissimo sospetto con cui eccitare l'opinione pubblica.

E, purtroppo per noi, non sempre c'è un padre Ennio Pintacuda in grado di dare al sospetto dignità, spessore e caratura.

Nel frattempo diventa sempre più concreta l'ipotesi di una rateizzazione della sentenza Penzi su tre annualità. Un'eredità che graverà sulla prossima amministrazione come un macigno finanziario e come un impedimento politico. 

E' questo l'abuso che fa scandalo, non certo la concimaia di Arcioni.
    

6 maggio 2016

La giustizia di Salomone tra Veneto Banca, Comune e Fondazione


La notizia è il ribaltone in Veneto Banca, con i soci della lista delle "Associazioni degli azionisti" che con il 12% del capitale hanno conquistato il 57,9% dei voti dei presenti all'Assemblea tenutasi a Marghera.

La perdita di 882 milioni registrata nel Bilancio 2015, la stretta della Banca Centrale Europea e le incognite sulla quotazione in Borsa dell'istituto - aggravate comparativamente da quanto accaduto alla Popolare di Vicenza - hanno sicuramente creato le condizioni di contesto in cui è maturato un voto a sorpresa che ha nuovamente riscritto gli equilibri in Veneto Banca.

Il risultato del voto ha garantito alla lista vincente 12 consiglieri su 14. Per la minoranza sono entrati nel consiglio di amministrazione l'ex Presidente Bolla e l'ex amministratore delegato Carrus.

 La nuova configurazione del consiglio ha un effetto anche su Fabriano dato che nella lista che perso era presente anche l'avvocato Maurizio Benvenuto, non riconfermato nel CDA di Veneto Banca.

Benevenuto è stato per lungo tempo il trait d'union tra Veneto Banca e la Fondazione Carifac. La sua mancata rielezione rompe questa linea di connessione tra Montebelluna e Fabriano e pone la Fondazione di fronte a un nodo difficile da sciogliere e cioè se sottoscrivere o meno l'aumento di capitale di Veneto Banca, ovvero se infliggersi un salasso a cui farà seguito un crollo del valore delle azioni, con effetti deleteri e forse letali sul bilancio della Fondazione e sul suo assetto patrimoniale.

In questo senso la Fondazione sembra davvero in un cul de sac: sottoscrivere l'aumento senza più avere una rappresentanza nel CDA significherebbe svenarsi per essere marginali; non sottoscriverlo vorrebbe dire uscire di scena senza svenarsi, confinando la Fondazione nel recinto stretto della città e del territorio limitrofo.

Quale che sia la scelta che verrà effettuata un fatto è certo: il sole sta tramontando anche sulla Fondazione e sui suoi disegni di potere residuale

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Ed è anche alla luce di questi fatti decisivi che lo scontro tra Fondazione e Giunta assume il profilo di una divertente disputa manzoniana tra capponi condannati alla pentola, di un conflitto che merita di essere seguito perchè all'altezza di quelle storie estive che servono per passare il tempo sotto all'ombrellone. 

Sagramola dice che la Fondazione avrebbe dovuto sganciare 280 mila euro. Ottaviani sostiene che gli euri fossero 150 mila, come da accordi e da delibera dell'istituto. La differenza è di quelle grosse, quasi il cento per cento. Troppo per essere raccontata come incomprensione, equivoco, rumore irrisolto nella comunicazione tra soggetti in latente conflitto. 

A uno dei due è sicuramente scappato il piede dalla frizione ma non si è ancora capito a chi, per la semplice ragione che si può spararla grossa tanto per eccesso quanto per difetto. A chi credere? A nessuno, perché credere significa consegnarsi a un atto di fede che nelle cose degli umani raramente aiuta a distribuire le ragioni e i torti. 

Meglio un agnosticismo curioso e attivo, dato che lo spirito partigiano merita cause migliori, “luoghi meno comuni e più feroci” di un minuetto tra poteri bianchi che si contendono le spoglie dell'ex potere merloniano. 

Eppure la situazione incuriosisce e le cifre in ballo rimandano a una lotteria sballona che ha il suo appeal cronachistico, dato che in città non c’è davvero nulla di serio di cui discutere. E’ anche per questa leggerezza del tema che sarebbe interessante un arbitrato, un lodo dirimente, un giudizio di Salomone che consenta alla verità di emergere, ma senza provocare ulteriori crisi e altri inutili sconquassi. 

E chi meglio di Angelo Tini potrebbe risolvere pubblicamente la controversia? E’ democristiano come Ottaviani e Sagramola, proviene dal mondo della sanità come il Presidente della Fondazione ed è assessore al Bilancio nella Giunta del malconcio Giancarlone. 

Inoltre Angelino è influente in Comune, è decisivo nell’UDC e pesa del suo anche dalle parti di Corso della Repubblica. In più è un sopravvissuto vero del merlonismo, uno che conosce alla perfezione i sottili meccanismi che distinguono un accordo verbale tra sodali da una delibera tra confliggenti e sa bene quanto sia facile inciampare nei corridoi in cui si oliano e si smerdano le relazioni tra poteri affini ma concorrenti. 

Se Tini racconta l’accaduto e dice ai fabrianesi come è andata potrebbe chiudere la diatriba e ridare energia allo slogan del lassativo Falqui dei tempi di Carosello: basta la parola! La sua parola. Ci dica semplicemente, caro Assessore Tini, se a spararla grossa è stato Ottaviani o Sagramola. Tanto alla fine la quadra la si trova perché, come insegna la vecchia scuola dc, una mano lava l’altro e tutte e due lavano il viso.
    

4 maggio 2016

Ottaviani e Sagramola l'un contro l'altro armati

Lo scontro in atto tra il Sindaco e il Presidente della Fondazione Carifac, sul finanziamento di emergenza prima concesso e poi revocato da quest'ultima a seguito delle improvvide dichiarazioni del primo cittadino, può essere letto in almeno tre modi diversi, ciascuno dei quali contiene un pezzo di verità parziale e non esaustiva:

  1. come scontro tra poteri residuali in cerca di nuovi equilibri
  2. come anomalia relazionale tra un organo elettivo e un ente privatistico
  3. come scorno tra personalità confliggenti
1) Fabriano ha conosciuto un potere economico, politico e familiare di impronta monarchica. Quel sistema si è estinto senza successione e ha lasciato in eredità un vuoto di potere che viene colmato da poteri residuali. L'Amministrazione Comunale e la Fondazione Carifac sono gli unici poteri residuali che possono contendersi uno spazio di egemonia, nonostante la prima sia cronicamente in deficit di risorse mentre la seconda deve fare i conti con il salasso patrimoniale subito con la svalutazione delle azioni Veneto Banca e con il colpo di grazia che potrebbe determinarsi con la quotazione in Borsa del titolo dell'istituto di Montebelluna.

La relazione tra Amministrazione Comunale e Fondazione Carifac è, quindi, finalizzata alla ricerca di nuovi equilibri e allo sviluppo di dinamiche contrattuali che dovrebbero puntare al raggiungimento di un equilibrio soddisfacente per entrambi.
Il problema è che l'Amministrazione Comunale ha consumato il proprio potere contrattuale nel momento in cui ha chiesto alla Fondazione un contributo straordinario a sostegno del Bilancio di Previsione 2016.
Una scelta che ha sbilanciato gli equilibri a favore dell'istituto presieduto da Marco Ottaviani, cui ha fatto seguito il tentativo di rilancio politico attuato dal Sindaco con l'ormai noto comunicato, che ha consentito alla Fondazione di fare macchina indietro e di recedere dal finanziamento con motivazioni assolutamente pertinenti dal punto di vista statutario ma poco plausibili per un occhio attento ed esperto.

Analizzando lo scontro in atto come ricerca contrattuale di nuovi equilibri è del tutto evidente che l'oggetto del contendere non è l'ammontare dell'erogazione ma la possibile rottura del meccanismo di contrattazione politica sotteso all'operazione.

Gli equilibri contrattuali tra poteri, è bene tenerlo a mente, nascono sempre da rapporti di scambio che chi ragiona politicamente deve provare a scandagliare senza farsi tentare dai buoni sentimenti e dal politically correct.

2) Lo scontro tra poteri residuali, di per sé, non presenta nulla di scandaloso, ma può anzi rappresentare un elemento di vivacità e di dialettica delle idee. Il problema è che a Fabriano tra Amministrazione Comunale e Fondazione Carifac sussiste una relazione anomala, frutto dell'oggettiva anomalia di alcuni presupposti.

La prima anomalia è che il Sindaco, espressione locale della sovranità popolare, per stilare il Bilancio di Previsione - ossia il documento politico e programmatico fondamentale - ricorra non alle risorse di cui dispone l'ente ma al sostegno di un soggetto privatistico, determinando una privatizzazione di sovranità che deriva dall'incapacità politica dell'amministrazione di gestire le sue risorse.

A fronte di ciò va parimenti rilevata l'anomalia di una Fondazione il cui Presidente non è un tecnico, ma un ex candidato Sindaco in concorrenza nel 2012 con il primo cittadino, leader indiscusso dell'opposizione consiliare nella prima parte di questo mandato amministrativo e candidato alla Camera alle politiche del 2013 per l'UDC, il partito che esprime il Vicesindaco di Fabriano e assessore al Bilancio nella persona di Angelo Tini.

E' evidente che questa duplice anomalia fa sì che qualsiasi posizione assunta dalle parti abbia sempre un persistente retrogusto politico alimentato da semplici domande:

  • Il Sindaco è così autolesionista da aver praticamente raddoppiato, nel suo comunicato, l'ammontare del contributo della Fondazione? 
  • L'assessore al Bilancio e Vicesindaco UDC Tini concorda con le cifre del Sindaco o è allineato ai 150 mila euro deliberati dalla Fondazione? 
  • Il conflitto tra Ottaviani e Sagramola è l'effetto di due caratteri spigolosi l'un contro l'altro armati o, invece, di una guerra interna all'UDC legata alla conclamata autonomia decisionale e operativa del Presidente Ottaviani?
3) Da ultimo ma non per ultimo potrebbe esserci un problema legato alle personalità del Sindaco e del Presidente della Fondazione. Si tratta di figure diversissime per visione, empatia, concezione della politica, cognizione del potere e divergenza di fondo nel modo di intendere l'impegno politico e sociale dei cattolici.

Inoltre è bene ricordare che tra Ottaviani e Sagramola forse esiste anche una ruggine che risale al 2012, quando Marco Ottaviani fu accreditato a lungo come candidato sindaco del centrosinistra. Una ipotesi che fu bruciata con le primarie del PD che spianarono la strada a Sagramola e spinsero Ottaviani verso  l'esperienza di un raggruppamento civico di cui divenne il candidato a Sindaco.

I lettori si domanderanno per quale motivo ho dato così poco spazio all'ammontare e alla destinazione del contributo della Fondazione. La ragione è semplice: il senso degli scontri di potere risiede sempre nella tentazione dell'egemonia di cui anche la spesa sociale è conseguenza e funzione.

Per questo spero mi perdonerete se nella valutazione di questa vicenda tendo a rifarmi più a Machiavelli che non alle dichiarazioni ufficiali di Ottaviani e Sagramola di cui, ovviamente, ho ben chiaro il differenziale di approccio e di visione politica.