26 gennaio 2017

Il ritorno del mediocre invidioso: spunti per un'antropologia fabrianese

Il potere dei Merloni è stato una cosa seria. Non solo perchè ha creato un modello produttivo e un'antropologia funzionale ai bisogni di stabilizzazione territoriale e sociale dell'industrializzazione senza fratture, ma anche perchè ha generato una stratificazione sociale compensativa rispetto ai limiti di mentalità dei fabrianesi.

La struttura sociale alimentata dal merlonismo è stata tipicamente piramidale: al vertice la Famiglia e poi, a scendere, i dirigenti e i quadri aziendali più prossimi, una schiera di liberi professionisti subalterni per cultura e portafogli, alcuni pezzi della classe dirigente democristiana - spesso decentrata dalle aziende di famiglia -, e infine i mitici capi e capetti formati e rodati, a ridosso delle linee di montaggio, al controllo produttivo e sociale.

Per concludere, alla base della piramide trovava spazio un ampio ceto operaio - nel caso fabrianese è inutilizzabile un approccio classista al ruolo dei colletti blu - naturalmente docile e "lavorato" fino a costituire una massa passiva di consenso sociale e politico.

Questo schema gerarchico - al di là del giudizio di merito e di valore che si può dare a una configurazione sociale interamente costruita attorno al monoprodotto - ha rappresentato un fondamento della vita cittadina e il presupposto di un equilibrio di lungo periodo.

Uno dei punti di forza del modello, sottostimato rispetto alle classiche chiavi di lettura economiciste, è stato la sua capacità di frenare - tenendolo a guinzaglio corto all'interno di uno schema rigido - un tratto fondante e deleterio della mentalità cittadina: la mediocrità invidiosa.

All'interno della gerarchizzazione merloniana, per dire, una qualsiasi carriera veloce suscitava ammirazione e non invidia perchè l'ascensore sociale si muoveva lungo le linee verticali di una piramide sociale accettata a tutti i livelli ed era governato da una "consolle" rigorosamente controllata dalla Famiglia dominante.

Il crepuscolo dell'epoca merloniana sta cancellando l'antica stratificazione sociale. Il risultato è una città afflosciata, in cui, come da una grotta carsica, sta riemergendo quella mediocrità invidiosa che costituisce l'ostacolo principale per una comunità chiamata a fare corpo per uscire collettivamente da una dimensione critica.

Il mediocre invidioso è un distruttore di talenti, detesta le differenze, adora il pensiero unico, accusa di protagonismo chiunque cerchi di fuoriuscire dalla melma, ricerca l'elemento losco in qualsiasi percorso di successo altrui, sogna un gregge senza pastore e senza pecore nere e se può infanga utilizzando soldi e talamo come classiche sorgenti d'infamia.

Il problema di Fabriano è che la gerarchizzazione merloniana ha funzionato fin quando il modello industriale ha vissuto sull'onda del successo, ma non ha scavato a fondo, non ha superato ma messo tra parentesi una mentalità che, adesso, sta riemergendo in tutta la sua geometrica potenza.

"Heri dicebamus". Benedetto Croce aveva commentato con queste parole la fine del fascismo. Per dire che si ripartiva dal punto in cui il discorso era stato interrotto più di due decenni prima. Forse vale anche per Fabriano: il ritorno sulla scena di una mentalità vecchia, datata e controproducente ci riporta drammaticamente indietro nel tempo. 

La differenza è che per Croce heri dicebamus era una promessa di futuro. Per noi é un balzo all'indietro che non ci possiamo permettere.
    

24 gennaio 2017

Primo round tra grillini e PD

Il Movimento 5 Stelle ha presentato la lista dei candidati al Consiglio Comunale. E' la prima tappa di un percorso che si dovrebbe concludere rapidamente con l'annuncio del candidato a Sindaco e della squadra degli assessori.

Non era mai accaduto, da quando è in vigore la legge per l'elezione diretta del Sindaco, che una forza politica fabrianese decidesse di ufficializzare lista, candidato Sindaco e assessori a distanza di qualche mese dal voto.

Fino a poco tempo sarebbe stato considerato un gesto suicida, perchè si pensava che rivelare i nomi rallentasse la corsa dei cavalli di razza delle preferenze in vista della formazione della Giunta e fosse poco funzionale per negoziare posizioni e apparentamenti tra il primo e il secondo turno.

Oggi questo senso comune non vale più ed è probabile che la "mossa suicida" metta in difficoltà il centrosinistra, l'altro grande competitor di questa tornata elettorale: la chiarezza, in questa fase della storia della città e del Paese, esercita più appeal dell'ambiguità ed è difficile convincere gli elettori - compresi quelli progressisti - che un approccio più lento e macchinoso sia il modo migliore per tutelare una prospettiva politica.

Il Movimento 5 Stelle è sicuramente avvantaggiato nella rottura dello schema classico perchè esclude formule di coalizione e basa la propria azione su una forte componente motivazionale e di militanza. Un punto di vista che consente di aggirare due problemi: gestire la complessità delle coalizioni e armonizzare gli obiettivi e gli umori di figure politiche a bassa motivazione ideologica ed elevata ambizione personale.

Nonostante queste peculiarità, che distinguono profondamente il campo del centrosinistra da quello dei grillini, è possibile, anche se non probabile, che la mossa del 5 Stelle finisca per generare un'accelerazione di sistema in cui anche il centrosinistra dovrà velocizzare le proprie scelte. 

Quel che è interessante della lista presentata dal 5 Stelle - al netto delle polemiche sulla frequenza dei cognomi e sulle procedure utilizzate per la sua composizione - è l'impronta politica che lascia scorgere. 

Il Movimento ha optato per una lista “militante”, di quelle che garantiscono più compattezza che apertura. Nessuna candidatura civetta, nessuna apertura di credito al professionista che acchiappa, nessun tentativo di strutturare la lista in base a un disegno di rappresentanza fondato su una segmentazione di soggetti e di ceti sociali.

La lista del Movimento 5 Stelle è frutto di una constatazione e cioè che l’appeal politico ed elettorale del grillismo è legato alla reputazione del brand, al traino d’opinione del grillismo e non alla volontà/capacità di costruire alleanze. 

La lista militante contiene un  rischio e un'opportunità: il rischio è credere che l'autosufficienza sia la carta vincente per scardinare le abitudini di una città allevata, anche politicamente, a colpi di accordi e negoziati concepiti come l'essenza di un moderatismo ancora in grado di fare presa; l'opportunità è rappresentata dal fatto che, in un elettorato sfiancato dalla crisi e da un'amministrazione comunale immobile, l'approccio "senza indugio" dei grillini possa essere visto come la rottura salutare di un quadro asfissiante.

In questo senso la mossa dei grillini sembra indirizzata a due platee: il sistema politico, ovvero il Pd e i suoi alleati, e gli elettori. Il Partito Democratico, schiacciato in una sanguinosa battaglia interna, per ora non ha inviato segnali né alla controparte né alla città. Si tratta di un deficit di politica e di comunicazione che i democratici dovranno colmare al più presto perchè nel bipolarismo brutale di questa tornata elettorale la tempestività delle scelte e dei messaggi vale quanto la capacità di costruire un disegno politico vincente.

Stavolta l'attendismo non paga.
    

17 gennaio 2017

Fabriano e la neve: una riflessione non polemica

Non spenderò parole sul Piano Neve. Non lo farò perchè non sono arrabbiato con l'amministrazione comunale. Ti arrabbi quando sei deluso. E la delusione, di solito, nasce da un'aspettativa insoddisfatta, da un'attesa tradita.  

Dalla Giunta Sagramola e dalla sua flaccida burocrazia comunale non mi aspettavo nulla, neanche il minimo sindacale d'un intervento finalizzato a minimizzare danni e disagi.

Quel che mi colpisce è altro e cioè la mutazione genetica di una comunità pedemontana, abituata da sempre a convivere con il freddo e con la neve, che va fuori di testa appena la città s'imbianca. Un tempo le comunità vivevano con una certa dose di fatalismo la potenza degli eventi atmosferici, si adattavano ad essi, sapevano rispondere al disagio senza scagliarsi contro l'inevitabile susseguirsi dei cicli naturali.

Oggi non è più così: vogliamo controllare tutto. Anche i capricci di Giove. Siamo convinti sia sufficiente organizzarsi, equipaggiarsi come si dice adesso.E ci rosichiamo il fegato quando la nostra fragile illusione previsionale e organizzativa s'infrange per via di variabili più grandi di noi e non riconducibili al mancato montaggio delle gomme termiche.

Il cambiamento d'approccio e di comportamento della comunità spiega molto ma non dice tutto. C'è anche una base materiale che rende il disagio prodotto dalla neve meno sopportabile che in passato. Innanzitutto la morfologia urbana della città. Fabriano ha cambiato forma. Fino agli inizi degli anni '80 si era evoluta a cipolla attorno all'anello del centro storico.

Raggiungere i luoghi cruciali della vita cittadina era semplice perchè tutti vivevano a ridosso del centro. Basti pensare che via Campo Sportivo era considerata zona periferica e andare la domenica al vecchio palasport per vedere l'Honky una vera e propria gita fuori porta.

Oggi Fabriano ha un centro storico che è diventato periferia, scuole e supermercati ubicati nella periferia più estrema e una serie di poli residenziali dotati di pochissimi servizi e staccati dal vecchio centro storico: Borgo 2000, Aldo Moro, Santa Croce.

In questo quadro è evidente che una consistente nevicata rende difficile fare quel che abbiamo fatto per decenni: lasciare le macchine in garage e andare a piedi. Oggi utilizzare l'auto diventa indispensabile per fare le cose minime che si fanno in una giornata normale: accompagnare i figli a scuola, fare la spesa, andare a lavoro.

La trasformazione morfologica della città e il cambiamento di struttura dello spazio urbano di Fabriano rendono necessaria, specie quando gli eventi atmosferici ti sbattono in faccia il problema in tutta la sua portata, una diversa politica del trasporto pubblico locale.

A Fabriano i mezzi pubblici sono pochi, vuoti, costosi e fanno dei giri immensi che ne sconsigliano l'utilizzo. E' una situazione inaccettabile e incompatibile con la nuova configurazione della città oltre che con i suoi tradizionali disagi invernali.

Il Piano Neve è una risposta all'emergenza. La ristrutturazione del trasporto pubblico una questione strategica e di lungo periodo. Ovviamente politica e opinione pubblica si scannano sul Piano Neve. L'eterna ripetizione del medesimo.
    

12 gennaio 2017

Ecco perchè evocare la paura dei grillini non li fermerà

Trapela con sempre più insistenza, dalla stampa locale e dagli addetti ai lavori, l'ipotesi di aggregazioni e di esperimenti elettorali pensati per fermare l'avanzata grillina.

Ciò significa che c'è una parte della classe politica locale, che attraversa trasversalmente la destra e la sinistra, convinta di poter contare su un pezzo di elettorato fabrianese orientato a scegliere in base a sentimenti di paura nei confronti del Movimento 5 Stelle.

Sappiamo bene che la polarizzazione politica ha bisogno di nemici e sappiamo altrettanto bene come una lunga fase della storia politica italiana sia stata segnata dal Fattore K, ossia dalla convenzione a escludere il Pci poggiando anche su un diffuso e radicato sentimento anticomunista degli italiani.

La differenza sostanziale è che il Movimento 5 Stelle non è il Pci e che il voto delle comunali a Fabriano non decide il destino del Paese ma soltanto chi debba amministrare una piccola città pedemontana del Centro Italia.

Già queste banali considerazioni dovrebbero spingere a considerare pretestuose le motivazioni "frontiste" che ispirano certe liste civiche trasversali e le relative opzioni di desistenza con il PD su cui si starebbe lavorando.

Fingiamo, per qualche istante, di essere cittadini potenzialmente attratti dal messaggio antigrillino. Sulla base di quali contenuti reali potrebbe essere alimentata la nostra paura del Movimento 5 Stelle? Si paventano rischi di esproprio della proprietà privata surrettiziamente pianificati dal mite Arcioni? Santarelli sta forse trasformando le comunanze agrarie in un agghiacciante arcipelago Gulag in cui confinare gli oppositori?

Non sembra, per cui l'unico timore - difficile da utilizzare e da sostenere - è che una vittoria dei grillini consegnerebbe la città a un gruppo di persone inesperte e, quindi, incapaci di governare. Vista l'esperienza romana della Raggi ci sono buoni motivi per coltivare tale timore, ma resta il fatto che questo argomento non funziona per congenita debolezza. 

La ragione è semplice: un cittadino medio potrebbe avere paura dell'inesperienza amministrativa solo in una circostanza, ossia quando essa può mettere a repentaglio una stagione di governo contrassegnata da cose buone e da scelte virtuose che hanno migliorato la qualità della vita dei cittadini. 

Non è sicuramente il caso di Fabriano, dove il PD - e le eventuali forze disposte a fungere da cespugli - dovranno fare un'operazione davvero fondata su una premessa che incute paura: difendere l'indifendibile di questi lunghi anni di governo del centrosinistra.

A me sta bene che si contesti radicalmente il progetto grillino a Fabriano. Ma dopo averne conosciuto le linee e i fondamenti. Diversamente è un'altra la sensazione che si trasmette e cioè che dietro il paravento del fronte antigrillino si nasconda una solidarietà tra soggetti tenuti assieme dal potere e dal bisogno di nascondere e di nascondersi.

L'inviato del Ministero delle Finanze al Comune di Fabriano, al termine della sua ispezione, ha scritto: "L’esame degli atti ha consentito di rilevare alcune patologie ricorrenti nella gestione degli appalti facenti capo al settore Servizi al cittadino. Già dal mero esame dell’elenco degli affidamenti, che si intende qui richiamato, emerge il pressoché sistematico ricorso ad affidamenti diretti ed a proroghe: appalti di servizi dati ab origine in affidamento diretto sono stati poi più volte prorogati, creando catene di attività totalmente sottratte al confronto concorrenziale. Proroghe continue, sistematiche, non previste nell’affidamento originario e a breve termine, spesso mensili, hanno con ogni evidenza l’effetto di deprimere l’interesse all’ingresso nel mercato di nuovi soggetti, favorendo con ciò stesso il formarsi o il rafforzarsi di oligopoli e di veri e propri cartelli.".

A Fabriano si debbono temere queste parole o la vittoria degli inesperti? Agli elettori l'ardua sentenza.
    

10 gennaio 2017

Il sale di Giancarlone e la metafora di Cartagine

La perdita di lucidità politica è un fenomeno interessante ed emblematico. Di quelli che meritano attenzione perchè, in genere, denotano l'inizio della decadenza.

In genere la perdita di lucidità si manifesta quando un politico restringe il campo delle relazioni a una cerchia di persone che - per fedeltà, opportunismo o necessità - cominciano a dargli ragione quando ha torto, a incoraggiarlo quando i fatti lo sconsigliano o a frenarlo quando sarebbe opportuno accelerare.

In questo modo si genera un microcosmo di finzioni, un mondo perfetto che non c'è, in cui il politico in deficit di lucidità è convinto di agire in modo lineare e coerente mentre il mondo reale lo osserva e lo giudica con lo sguardo incredulo di chi si trova di fronte a qualcosa di inspiegabile e di inverosimile. 

Guardare la foto di Sagramola che toglie il ghiaccio davanti alla sede del Comune e apprendere dalla stampa della sua ira per come è stata gestita, in questi ultimi giorni, la questione neve da parte della struttura comunale, trasmette una sensazione di incredulità che può essere risolta solo ipotizzando una definitiva perdita di lucidità politica da parte del primo cittadino.

Sono, infatti, sicuro che Sagramola sia del tutto sincero nei suoi sfoghi e credo anche sia convinto di aver agito bene e tempestivamente. 

Il problema è che il mondo esterno ha sviluppato considerazioni d'altra natura. La neve risale alla mattina del 5 gennaio. Una nevicata annunciata da giorni e consumatasi in poche ore, per la precisione da dalle 7.30 alle 12 di giovedì scorso. C'era quindi tutto il tempo per agire ed evitare gli effetti delle gelate, che vanno avanti da cinque giorni, sulla circolazione stradale e sui movimenti delle persone.

Farsi fotografare dopo quattro giorni mentre si toglie un po' di ghiaccio davanti alla sede del Comune, significa che il campo delle relazioni del Sindaco è ristretto a Suor Pasqualina e che la realtà non fa più capolino, neanche una volta ogni tanto, nell'azione di Giancarlo Sagramola.

E pensare che sarebbe stato sufficiente spargere un po' di sale per le vie cittadine. Quel sale che, invece, si è riversato sulla ricandidatura di Sagramola sempre più simile ai ruderi di Cartagine su cui i romani sparsero sale per sterilizzarne le vestigia e sancirne l'impossibilità di un ritorno alla gloria: Carthago delenda est.
    

5 gennaio 2017

Il PD in stallo fregato dai capponi di Renzo

Lo scontro tra Sagramola e Balducci - che ha infiammato gli ultimi giorni del 2016 - pare si sia risolto in una tregua concordata tra i due protagonisti del Grande Scorno piddino; una tregua segnata da un orizzonte minimo: arrivare a fine mandato senza i morti che careggiano i feriti.

Se volessimo cedere a una tentazione qualunquista potremmo dire che la tregua era il passo obbligato di una finzione, l'esito prevedibile di una schermaglia apparente. In realtà questo passaggio è il prodotto di uno scontro vero, interpretato male sia da Sagramola che da Balducci che, proprio in ragione di questa cattiva performance parallela, si sono reciprocamente azzoppati.

L'esito della battaglia è tipicamente manzoniano e richiama il celeberrimo capitolo 3 dei Promessi Sposi, quello in cui Renzo Tramaglino si reca dall'avvocato Azzeccagarbbugli tenendo in mano due coppie di capponi. Scrive Manzoni che mentre Renzo camminava "dava loro di fiere scosse, e faceva sbalzare quelle teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura."

Da qui la lezione politica di questi giorni: Sagramola e Balducci si sono beccati senza accorgersi che il modo in cui battagliavano li stava trasformando in compagni di sventura destinati congiuntamente alla pentola. La conseguenza é che il PD si è giocato, per mala gestio politica, gli unici nomi spendibili a sua disposizione.

La decimazione della prima linea dei Democratici papabili ha determinato una situazione di totale stallo politico nel centrosinistra: non si va né in avanti né indietro, nessuno sa come muoversi e anche il movimento più lieve sembra destinato a infrangere vetri e cristalli.

Di fronte a questo scenario - anche considerando la complessità politica di una candidatura Sorci e l'impraticabilità di una soluzione Francesca Merloni - è possibile, anche se al momento forse non probabile, che inizino a muoversi le seconde linee spendibili del PD, quei democratici in do minore che potrebbero emergere come soluzioni border line, i cosiddetti candidati da ultima spiaggia.

La loro possibilità di successo è legata a due fattori: la certificazione politica dell'azzoppamento delle prime linee e il fallimento di un'eventuale Operazione San Sebastiano, ovvero un candidato  da immolare, preso dai ranghi della cosiddetta società civile.

Tra essi spiccano due assessori e il segretario del PD: Claudio Alianello, che pare abbia riversato sulla pacificazione tra Sagramola e Balducci tutta l'energia risparmiata in un'inesistente attività assessorile; Barbara Pallucca, di cui si ignorano iniziative legate alla cultura ma alquanto generosa in sostegno e consigli a Sagramola, come a suo tempo Suor Pasqualina con Pio XII; Michele Crocetti, segretario del partito non certo adeguato al ruolo ma forte del peso e della copertura fornita dal padre Riccardo, uomo forte del PD anche se non candidabile a Sindaco per motivi di opportunità rispetto alla carica ricoperta dal figlio e alle possibili accuse di privatizzazione familiare del partito.

Per la prima volta dal 1998, quando venne candidato Francesco Santini, il centrosinistra fabrianese non sa che pesci prendere e dove mettersi le mani. Una novità politica che, già di suo, rappresenta un preludio di sconfitta.

P.S. Domenica 8 gennaio si vota per il rinnovo del Consiglio Provinciale di Ancona. Sagramola non è in lista. La sua uscita del 28 gennaio era un azzardo senza paracadute e senza compensazione. Di questo bisogna dargli atto. Per ora.
    

3 gennaio 2017

Il PD come Cimabue che fa una cosa e ne sbaglia due

"E' comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta". Niccolò Machiavelli appartiene ai fondamentali della scienza politica. E' uno di quegli autori che chiunque abbia velleità di protagonismo politico o di osservazione dei fatti politici dovrebbe rigorosamente tenere sul comodino.

Se il giovane segretario del Pd di Fabriano, Michele Crocetti, avesse aderito a questo propedeutico dovere di conoscenza, non si sarebbe trovato a gestire in modo platealmente goffo e impacciato l'inatteso autoinvito alla ricandidatura reso pubblico da Sagramola lo scorso 28 dicembre.

Invece di considerare per tempo il rischio di una possibile tempesta, il Pd cittadino ha finto che la bonaccia si potesse prolungare all'infinito e che fosse la condizione migliore per logorare Sagramola e farlo uscire di scena in totale mutismo e rassegnazione.

Puntualmente la tempesta è arrivata, perchè Sagramola è un introverso a sangue caldo, costretto dalle circostanze a navigare a vista e a muoversi a scatti, come è tipico di quanti si guardano intorno e non hanno più nessuno a sostenerli.

Giancarlone si è accorto che il Pd lo stava circondando con una schiuma di silenzio funzionale alla sua estromissione a vantaggio di Giovanni Balducci e il martellamento mediatico sul cosiddetto "Patto di Attiggio" ha sicuramente funzionato da esca e da detonatore.

L'autocandidatura di Sagramola rappresenta, quindi, lo start up del processo politico che si concluderà con l'elezione del Sindaco. Di conseguenza è da essa che bisogna partire. Su cosa scommette Sagramola nel momento in cui - contro ogni tradizione di calendario - decide, a cavallo tra Natale e Capodanno, di rendere pubblica la sua disponibilità alla ricandidatura?

Punta a giocarsi la carta della sorpresa, a suo avviso il modo migliore per uscire dall'angolo facendo sponda su una tempistica da blitzkrieg adatta a sparigliare i piani del PD. Si tratta di una mossa che "costringe" il PD a prendere posizione tenendo il cerino in mano; un immediato successo sagramoliano accompagnato da un elevatissimo rischio di rappresaglia politica da parte del Partito Democratico; una paritita giocata dal primo cittadino in totale assenza di una exit strategy efficace e spendibile.

Questo contraddittorio mix di successo immediato e di probabile sconfitta futura, trova conferma nella duplice reazione del Pd, emblematica di come la risposta a un rischio non calcolato bene possa prendere la forma dell'epitaffio politico per il Sindaco in carica.

Il segretario del PD, infatti, risponde a Sagramola prima in via ufficiosa e poi in via ufficiale. La via ufficiosa prende la forma di un messaggino del cui contenuto Sagramola mette al corrente la Giunta: Crocetti scrive che dopo le feste convocherà il Direttivo per iniziare subito la campagna elettorale.

Di fatto sembra un via libera alla ricandidatura e non è un caso che nel corso della stessa riunione di Giunta Sagramola faccia esplicito riferimento ai due milioni disponibili - come conseguenza della sospensione dei mutui causa terremoto - per sottolineare che quelle risorse saranno assegnate agli assessori disposti a fare quadrato attorno a lui. In Giunta, a parte la fedelissima Pallucca, tutti tacciono. A Sagramola, come al solito, sfugge il piede dalla frizione e sarà proprio questa incauta postilla, come vedremo, a fregarlo, forse definitivamente.

Il problema è che Crocetti, nel giro di qualche ora, rilascia la dichiarazione ufficiale di risposta a Sagramola. E' l'ormai celebre comunicato del prendo atto, del me ne fotto dei nomi é solo il programma che determina il candidato. Di fatto si tratta di una sportellata in faccia al Sindaco che somiglia tanto a una sentenza, la mossa del cavallo escogitata da Sagramola che si tramuta in un boomerang fatale.

L'uno due si completa il giorno dopo quando, dalle colonne dei quotidiani locali, Giovanni Balducci - nei secoli dei secoli più silenzioso di un pesce di fondo oceano - raccoglie l'incauta postilla sagramoliana, trasformandola in un violento attacco al Sindaco sulla distribuzione delle risorse aggiuntive ottenute dalla sospensione dei mutui.

Anche a Balducci, senza volerlo, sfugge il piede dalla frizione perchè se è fuori dal mondo autocandidarsi alla Sagramola non è certo una mossa da Sua Altezza scendere in campo addentando il polpaccio del contendente dopo cinque anni di adesione conformista alla sua politica.

Dopo l'incauta postilla di Sagramola e il doppio fondo di Crocetti, quindi, arriva pure il decibel assordante di Balducci. Tutti fregati da una medesima maledizione, quella del Cimabue di una vecchia pubblicità televisiva: fare una cosa e sbagliarne due.

E' la maledizione di Cimabue che, sul finire dell'anno, apre la strada a soluzioni terze, come spesso accade in "una situazione in cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano in modo che la continuazione della lotta non può concludersi che con la distruzione reciproca." (A.Gramsci).

E' esattamente questa la prima conseguenza dell'incaglio. La seconda è il temporaneo stop a tutte le operazioni finalizzate ad apparecchiare la corsa di Balducci, come la costruzione di una lista civica trasversale in grado di assorbire la sinistra più radicale e la destra meno ideologica in un'azione di sostegno al candidato del PD per segare la pretenziosa, seppur ridotta all'osso, Udc del vicesindaco Angelo Tini.

E' in questa scena che sono cominciate a circolare le voci più disparate sul profilo del Terzo Incomodo, del moccolo che si fa reggere dai due fidanzati litigiosi. Il nome che va per la maggiore è quello di Roberto Sorci, personalità in grado di dare coesione ed energia alla formula PD + Lista civica trasversale; un democristiano anomalo, capace di dialogare anche con le figure culturalmente più lontane ma portatore di due congenite debolezze: il poco appeal di un terzo mandato, Spacca docet, e la candidatura alle regionali con Marche 2020 che ha ratificato un declino di consenso elettorale e politico del Sindaco emerito.

Un altro nome è quello di Francesca Merloni, ma non sembra in grado di incarnare una soluzione forte perchè il cognome Merloni, negli ultimi cinque anni, è stato associato al fallimento della Ardo e alla vendita di Indesit, ossia a processi industriali e societari che hanno rappresentato un trauma per la coscienza collettiva dei fabrianesi, nonostante F.M., nel pieno della vertenza Indesit, si sia pubblicamente dissociata dalle scelte dell'altro ramo della famiglia.

C'è un elemento unificante in questa frattura che attraversa il Pd e il campo del centrosinistra: l'imperativo condiviso di fermare l'avanzata del Movimento 5 Stelle, scongiurando la possibilità di una Fabriano grillina legittimata dal voto popolare.

Di fronte a questa esigenza il centrosinistra sta mobilitando tutto il repertorio dell'autolesionismo: cooptazione di ex grillini, tappeti rossi alle figure più spendibili del centrodestra, alchimie traversali pronte a trasformarsi in operazioni civetta.

Opporsi ai grillini è legittimo e fa parte del gioco democratico. Ma per farlo servirebbero più politica e meno ammucchiate omologanti. Non a caso il M5S serenamente tace: quando i concorrenti fanno una cazzata dopo l'altra la cosa migliore è lasciarli fare e sperare che non smettano mai. E siamo solo all'inizio.